Occhi e nasi/Il Contribuente
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Il Contribuente
Io mi chiamo Serafino Faccialei; età quella che hanno tutti; scapolo senza figli; temperamento linfatico-elettorale, con scrutinio di lista; di professione contribuente.
Non ho mai fatto parte di nessuna società nè politica, nè protettrice degli animali; ma voglio un gran bene ai medesimi. In questo, confesso il mio debole, mi sento greco. Giove, in Omero, si muove a pietà dei cavalli di Achille e cerca di consolarli: Licurgo fa una legge che vieta di ammazzare i bovi da lavoro: Atene inalza un monumento al cane fidato che muore insieme col suo padrone.
Poveri animali! Così modesti e senza nessuna pretensione; nemmeno la pretensione ridicola di ragionare. Quanta differenza coll’uomo!
Fra loro, anche i più fieri, i più indomiti, i più selvaggi finiscono prima o poi, coll’addomesticarsi. Prova ne sia il terribile Orso italiano, chiamato dai nostri Naturalisti col soprannome di Agente delle tasse, forse perchè non venga fatto di scambiarlo coll’Orso bruno delle Alpi, o coll’Orso bianco dei mari polari.
Di questo carnivoro che, pochi anni addietro, era affatto sconosciuto nella Fauna d’Italia, io posso darvene qualche cenno elementare; perchè io sono un Semplicista, vale a dire che tengo aperta una piccola rivendita di erbe medicinali, di radiche e di mignatte: e queste, se capita il bisogno, mi faccio un dovere di applicarle anche al domicilio, usando, s’intende bene, tutti i riguardi dovuti ai tre sessi, mascolino, femminino ed ecclesiastico.
Questa piccola, ma oserei dire onestissima industria, mi rende in media un profitto lordo di circa ottocento lire. (Lo chiamo lordo, perchè la padrona di bottega è lei che pensa a ripulirmelo ogni sei mesi, depurandolo di quattrocento lire a titolo di fitto anticipato).
Sicchè dunque, reddito netto: quattrocento lire residue.
Ebbene, volete crederlo? Queste quattrocento lire, vere come vero il Vangelo, piacque all’Orso italiano (o Agente delle tasse, come lo chiamano i nostri Naturalisti) di elevarle al grado onorifico di quattromila lire.
Esso fece su per giù questo giuoco di parole:
— «Il signor Serafino Faccialei esercita la professione di semplicista: una professione d’oro, massime in questi tempi di cure radicali, di decotti politici, di flussi parlamentari, di riscaldamenti democratici e di eruzioni cutanee d’un’indole più maligna che religiosa. Mettiamogli dunque
per vendita di erbe medicinali | L. 1000 |
«E le radiche? Con la richiesta che oggi ce n’è, le radiche in Italia hanno toccato un prezzo di affezione. Mettiamogli allora per vendita di radiche un utile di altre | » 1000 |
«Per vendita di acque purgative | » 500 |
«Per mignatte semplici | 500 |
«Per mignatte attaccate al domicilio | » 500 |
«In tutto, tirata la somma | L. 3500 |
«Per far la cifra tonda, gli porteremo il reddito addirittura a quattromila lire, e che il signor Faccialei non si provi nemmeno a rifiatare».
Questo ragionamento dell’Orso, come è facile avvedersene alla prima, tornava a capello: se non che fra il conteggio fatto da Lui e quello fatto da me c’era una impercettibile differenza di sole tremila dugento lire.
Allora un amico mi disse: — Ricorri e reclama! —
Non conoscendo il vero significato di questi due verbi, presi il Dizionario dei sinonimi, e trovai:
— Ricorrere e reclamare, verbi regolari ma sempre sinonimi di sciupare il tempo o i quattrini.
Incoraggiato da questa definizione, andai difilato all’uffizio dell’Orso: il quale dopo avermi lasciato esporre il fatto mio, brontolò digrignando denti:
— Può darsi che lei non abbia torto, ma io sono obbligato, per legge, ad aver sempre ragione: dunque arrivedella! —
E io, per dir la verità, me ne venni via impaurito: tanto più che l’Orso quella mattina aveva tutta l’aria di non aver fatto ancora colazione.
Accadde intanto che, pochi mesi dopo, vennero fuori le circolari Depretine, quelle circolari veramente miracolose che ebbero la virtù, dall’oggi al domani, di addomesticare e rendere più miti e più ragionevoli tutti gli orsi e gli orsacchiotti della finanza governativa.
Io non potevo rassegnarmi a credere in questa metamorfosi più mitologica delle Metamorfosi d’Ovidio: nondimeno, fatto un animo risoluto, tornai daccapo dall’agente delle tasse (per chiamarlo, al solito, come lo chiamano i nostri professori di Storia Naturale).
Dio di misericordia! Quanto lo trovai cambiato da quello d’una volta! Non si riconosceva più. Era diventato una pasta di zucchero, un uovo filato, un budino ripieno di complimenti e di buone maniere.
Appena seppe dall’usciere che nell’anticamera c’era un povero contribuente che voleva presentargli un ricorso, venne tutto garbato sulla porta della stanza e con un sorriso amabilissimo mi disse:
— Passi, la prego.
— Grazie.
— Si accomodi. Metta pure il suo cappello in capo.
— Mille grazie, non sono avvezzo.
— Come sta la sua signora?
— L’avverto che sono scapolo.
— Non importa. E i suoi bambini stanno bene?
— Non ne ho dei bambini.
— Non importa: ne potrebbe avere: è così bello, così giovine, così vegeto: posso offrirle qualche cosa?
— Mille grazie.
— Un bicchier d’acqua.... senza zucchero?
— Non ho sete.
— Vuoi farmi il regalo di venire oggi a mangiare una zuppa da me?
— Accetterò, per non passare da scortese.
— Per l’appunto oggi ho di già pranzato. Ma, sarà per un’altra volta. Me lo promette, non è vero?
— Glielo prometto.
— Mi dia la sua parola.
— Eccole la mia parola.
— E ora vorrebbe dirmi in che cosa posso servirla?
— Mi sbrigo in due parole. Io son tornato da lei per ottenere, ai termini di giustizia, una diminuzione di tassa....
— Volentieri, volentierissimo, con tutto il piacere, con tutta l’anima.... se potessi ma disgraziatamente non posso: proprio non posso. Mi chieda qualunque altra cosa e son qui per contentarla. Vuole un bicchiere del mio sangue?
— Grazie, non ne prenderei. Prenderei piuttosto che ella si persuadesse che io sono stato tassato in un modo ingiusto, enorme, intollerabile!…
— Non aggiunga altro, per carità! Lei non può figurarsi come i suoi giusti lamenti mi straziano le viscere!… come mi fanno sanguinare il cuore!… Se vuole, possiamo piangere insieme! Ecco tutto quel più che posso fare per lei. Ma io mi avvedo che lei ha fretta e vuol andarsene. Dunque stia bene: mille e mille cose alla sua signora, un bacio ai bimbi, e si ricordi di quella zuppa!… —
E così dicendo, mi messe fuori della porta con una grazia e una compitezza da innamorare.
Da quel tempo in poi, bisogna confessarlo altamente a onore del vero, il nostro sistema tributario è raddolcito di molto, e l’orso italiano si è fatto agevole come una tortora e festoso e garbato come un canino terriero. Oggi di veramente duro e sgarbato non c’è rimasto che una cosa sola: le tasse! Ma questo è un accessorio da nulla, e i contribuenti un po’ ragionevoli se ne mostrano contentissimi come tante pasque. Non volete crederlo?… Interrogateli, e poi ci riparleremo!…