Occhi e nasi/Gli ultimi fiorentini/I fiorentini al teatro
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I fiorentini al teatro.
Firenze, allora come oggi, contava molti teatri: fra i principali, la Pergola per la musica, il Cocomero (oggi Niccolini) per la prosa, e la Piazza Vecchia per lo Stenterello Amato Ricci, primo e ultimo dei veri Stenterelli.
I fiorentini che frequentavano il teatro del Cocomero, erano avvezzi da secoli e secoli a Cavarsi il gusto di sentite le migliori compagnie drammatiche d’Italia con la modica spesa di un paolo, che, tradotto in moneta italiana, voleva dire cinquantasei centesimi di sordido rame. Quest’uso, col tempo diventò un diritto; e i diritti si difendono, ma non si discutono: tant'è vero che il giorno nefasto, in cui l’impresario Somigli, per ragioni forse più economiche che politiche, osò inacerbire il biglietto d’ingresso, portandolo alla cifra draconiana di ottantaquattro centesimi (parafrasi di una lira toscana) fu un giorno di lutto universale per tutta la città. Si chiusero le botteghe, i cittadini tumultuarono nelle vie, e il Granduca, ispirandosi alla gravità del caso, fece consegnare i suoi giandarmi in caserma, per paura che in tutto quel subbuglio non rimanessero sotto qualche carrozza.
Quanto alla Pergola, era un teatro che aveva questa singolarità: che il suo pubblico non cambiava mai! Da un anno all’altro e in tutte le stagioni di spettacolo, sempre i medesimi visi, i medesimi malcontenti, i medesimi discorsi nei palchi e nella platea. Invece di un pubblico teatrale, variato e variabile all’infinito, pareva piuttosto una Associazione politica in sera di elezioni, o una Camera di deputati in tempo di crisi ministeriale.
Oggi la Pergola è morta, e forse morta per sempre: e i pochi fiorentini superstiti se ne addolorano sinceramente, non tanto per la morte immatura di quel teatro, quanto per la dispersione della sua orchestra, dei suoi coristi e più che altro delle sue coriste. Povere coriste! Così modeste di voce e d'intonazione, e così aliene dal gareggiare per eleganza e sensualità di forme colla civetteria procace della Venere greca!
Sulla rovina della Pergola si sono dette molte ragioni, ma forse la vera non è stata ancora detta. La vera ragione eccola qui: gli è che i fiorentini, negli ultimi tempi, si trovarono costretti a mettersi sulle spalle una Compagnia di canto, che costava un occhio e che, prima o poi avrebbe finito coll’avviare quel povero teatro sulla scorciatoia che mena diritta diritta al fallimento. Figuratevi che avevano dovuto scritturare una prima donna soprano, conosciuta nel mondo musicale col nome di Tassa fondiaria, la quale, dotata com’era di una voce estesissima, andava dal do sotto i righi fino al 46 per cento sulla rendita imponibile!
C’era poi un contralto, una vera celebrità artistica, che qui in Italia si faceva chiamare Ricchezza Mobile, e che aveva un solo difetto, un difetto, del resto, comunissimo a molti cantanti: cresceva sempre!
Aggiungete una donna mezzo soprano, detta Tassa di famiglia, che per molto tempo cantò di grazia; ma poi sull’ultimo cominciò a cantare di forza, e strillava in modo così sguaiato da rompere non solo i timpani dell’orecchio, ma pur troppo anche i segni simbolici della pazienza umana. E come se quest’insieme d’artistoni non bastasse, fu giocoforza prendere per giunta un tenore serio, ma dimolto serio, di nome Macinato, che quando cantava lui, tutti i mugnai d’Italia, a furia di moccoli ereticali, gli facevano la terza sotto.
Un altro teatro che vuoi essere rammentato, è il teatro Pagliano.
Chi fosse Girolamo Pagliano è inutile ripeterlo qui: oramai tutti gl’intestini d’Europa lo sanno a mente.
Il teatro Pagliano, nella prima intenzione del suo fondatore, non poteva chiamarsi un teatro sinceramente inalzato al culto delle Muse canore e ballerine, ma piuttosto un immenso avviso in quarta pagina o, come si direbbe oggi, un gran soffietto monumentale (con cinque ordini di palchi) fabbricato e tirato su a maggior gloria e diffusione di quel celebre siroppo, calunniato da per tutto come depurativo del sangue e degli umori.
I fiorentini, con uno splendido plebiscito, battezzarono il nuovo teatro col nome di Pagliano.
Allora il povero Pagliano, che di tanto in tanto soffriva di vertigini per ripienezza di devozione verso la dinastia regnante, volendo disinfettare il suo teatro da quel profumo farmaceutico di siroppo depurativo, supplicò ed ottenne di poterlo intitolare col nome dinastico di «Teatro Ferdinando».
Ma i fiorentini non se ne dettero per intesi. I fiorentini, sempre un po’ estrosi, dovendo scegliere fra purgante e purgante, preferirono forse il siroppo alla dinastia di Lorena, e seguitarono sempre a chiamarlo col vecchio nome di teatro Pagliano.