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XVII XIX
Qui parla della grande liberalità e cortesia del re giovane

Leggesi della bontà del re giovane guerreggiando col padre per lo consiglio di Beltrame dal Bornio: lo quale Beltrame si vantò ch’elli avea più senno che niuno altro. Di ciò nacquero molte sentenzie, delle quali ne sono scritte qui alquante.

Beltrame ordinò co·llui che·ssi facesse dare al padre la sua parte di tutto lo tesoro. Lo figliuolo lil domandò tanto ch’elli l’ebbe. Quelli lile fece tutto donare a gentili genti et a poveri cavalieri, sì che rimase a neente, e non avea che donare.

Un uomo di corte li adomandò che li donasse; quelli rispuose ch’avea tutto donato: «ma’ tanto m’è rimaso ancora: ch’i’ ho nella bocca un laido dente, onde mio padre ha offerti duomila marchi a chi mi sa sì pregare, ch’io lo diparta dagli altri. Va’ a mio padre e fatti dare li marchi, e io il mi trarrò alla tua petizione».

Il giullare andò al padre e prese i marchi, et elli si trasse il dente.

E un altro giorno avenne ch’elli donava a uno gentile uomo dugento marchi, e ’l siniscalco (overo tesoriere) prese que’ marchi e mise uno tappeto in su la sala e versollivi suso, et uno luffo di tappeto mise di sotto, perché il monte paresse maggiore. Et andando il re giovane per la sala, lile mostrò il tesoriere dicendo:

«Or guardate, Messere, come donate: vedete quanti sono dugento marchi, che li avete così per neente!».

E que’ li avisò e disse:

«Piccola quantitade mi sembra a donare a così valente uomo! Dara’line quattrocento: ché troppo credeva che fossero più i dugento marchi, che non mi sembrano a vista».


(A)

Qui parla della grandissima liberalità e cortesia del re d’Inghilterra

Lo giovane re d’Inghilterra spendea e donava tutto. Un povero cavaliere avisò un giorno un coperchio d’uno nappo d’ariento, e disse nell’animo suo:

«Se io posso nascondere quello, la masnada mia ne starà molti giorni».

Misesi il coperchio dell’argento sotto.

I siniscalchi, al levare delle tavole, riguardarono l’argento; trovarlo meno; cominciarlo a metterlo in grido et a cercare i cavalieri alla porta.

Il re giovane avisò costui che l’avea e venne sanza romore a·llui e disseli chetissimamente:

«Mettilo sotto a me, che non sarò cerco»; e lo cavaliere, pieno di vergognosa vergogna, così fece: miselile sotto, e ’l re giovane lile rendé fuori della porta e miselile sotto e poi lo fece chiamare e donogli l’altra partita.

E più di cortesia fece una notte che poveri cavalieri entrarono nella camera sua credendo veramente che lo re giovane dormisse. Adunaro li arnesi e le robe a guisa di furto. Quando ebero tutto furato, ebbevene uno che malvolentieri lasciava una ricca coltre che ’l re avea sopra. Presela e cominciò a·ttirare.

Lo re, per non rimanere scoperto, prese la sua partita e teneva. Siccome que’ tirava tanto, che per fare più tosto li altri vi puosero mano, allora lo re parlò e disse:

«Questa sarebbe ruberia, e non furto, cioè a torre per forza!»

Li cavalieri fuggiro, quando l’udiro parlare, che prima credevano che dormisse.

Un giorno lo re vecchio, padre di questo re giovane, lo riprendea forte dicendo:

«Dov’è tuo tesoro?»

Et elli rispuose:

«Messere, io n’ho più che voi non n’avete».

Quivi fue il sì e ’l no. Ingaggiarsi le parti. Aggiornaro il giorno, che ciascuno mostrasse suo tesoro. Lo re giovane invitò tutti i cavalieri del paese, che a cotal giorno fossero in quella parte.

Il padre quello giorno fece tendere uno ricco padiglione e fece venire oro e argento in piastre e vasella, et arnese assai; pietre preziose versò su·ppe’ tappeti, e disse al figliuolo:

«Ov’è il tuo tesoro?».

Allora il figliuolo trasse la spada del fodero. Li cavalieri adunati trassero per le rughe e per le piazze: tutta la terra parea piena di cavalieri. Il re vecchio non poteo riparare: il tesoro rimase alla signoria del re giovane, lo quale disse a’ cavalieri:

«Prendete il tesoro vostro».

Chi prese oro, chi vasello, chi una cosa, chi un’altra, sì che di subito fu distribuito.

Il padre ragunò poi suo sforzo per prenderlo; lo figliuolo si rinchiuse in uno castello, e Beltrame dal Bornio con lui. Il padre vi venne ad asedio. Un giorno, per troppa sicurtà, li venne un quadrello per la fronte disaventuratamente, che la contraria fortuna che ’l seguitava l’uccise. Ma, innanzi ch’elli morisse, vennero a·llui tutti i suoi creditori e adomandaro loro tesoro che a·llui aveano prestato.

Il re giovane rispuose:

«Signori, a mala stagione venite: ché ’l vostro tesoro è dispeso, li arnesi sono donati, il corpo mio è infermo: non avreste ormai, di me, buono pegno. Ma fé venire uno scrittore».

Lo scrittore fue venuto.

«Iscrivi» disse quel re cortese «ch’io obligo l’anima mia a perpetua pregione infino a tanto che voi pagati siate».

Morìo. Questi, dopo la morte, andaro al padre suo e domandaro la moneta. Il padre rispuose loro aspramente dicendo:

«Voi siete quelli che prestavate al mio figliuolo ond’elli mi facea guerra; et imperò, sotto pena del cuore e dell’avere, vi partite di tutta mia forza!»

Allora l’uno parlò e disse:

«Messere, noi non saremo perdenti, ché noi avemo l’anima sua in pregione»;

e lo re domandò in che maniera, e quelli mostraro la carta. Allora lo padre s’umiliò e disse:

«Non piaccia a Dio che l’anima di così valente uomo stea in pregione per moneta»;

e comandò che fossero pagati, e così furo.

Poi venne Beltrame dal Bornio in sua forza, e quelli lo domandò e disse:

«Tu dicesti ch’avei più senno che uomo del mondo. Or ov’è tuo senno?».

Beltrame rispuose:

«Messere, io l’ho perduto».

«E quando l’hai perduto?».

«Messere, quando nostro figliuolo morìo».

Allora lo re conobbe che ’l vanto che si dava sì era per la bontà del figliuolo: perdonolli e donolli.