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XL XLII
Una novella di messer Polo Traversaro

Messer Polo Traversaro fu di Romagna, e fu lo più nobile uomo di tutta Romagna, e quasi tutta Romagna signoreggiava a cheto.

Aveavi tre cavalieri molto leggiadri, e non parea loro che in Romagna avesse nessuno uomo che potesse sedere con loro in quarto. E però, là ov’elli teneano corte, aveano fatta una panca da tre, e più non ve ne capevano: e niuno era ardito che su vi sedesse, temendo la loro leggiadria; e, tuttoché messere Polo fosse loro maggiore — et ellino nell’altre cose l’ubbidiano —, ma pure in quello luogo leggiadro non ardia sedere, tutto ancora che confessavano bene ch’elli era lo migliore uomo di Romagna e ’l più presso da dover essere il quarto che niuno altro.

Che fecero i tre cavalieri? Vedendo che messer Polo li seguitava troppo, rimuraro mezzo l’uscio d’un loro palagio perché non vi entrasse. L’uomo era molto grosso di persona: non potendovi entrare, spogliossi ed entrovi in camisa. Quelli, quando il sentiro, entraro nelle letta e fecersi coprire come ’ malati. Messere Polo giunse che li credeva trovare a tavola: trovolli nelle letta. Confortolli e domandolli di loro malavoglia, e avedeasine ben; e chiese commiato, e partissi da loro.

Que’ cavalieri dissero:

«Questo non è giuoco»:

andarne a una villa dell’uno (quivi avea bello castelletto con bello fosso e bel ponte levatoio): posersi in cuore di fare quivi il verno.

Un die messere Polo v’andò con bella compagnia. Quando volle entrare dentro, que’ levaro il ponte. Assai poté dire, che non v’entrò; e ritornossi indietro.

Passato il verno, ritornaro i tre cavalieri alla città. Messere Polo, quand’elli tornaro, non si levò; e que’ ristettero, e l’uno disse:

«O messere, per mala ventura! che cortesie sono le vostre? Quando i forestieri giungono a città, voi non vi levate per loro?».

E messere Polo rispuose:

«Perdonatemi, messere: ch’io non mi levo se non per lo ponte che si levò per me».

Allora li cavalieri ne fecero grande festa.

Morìo l’uno de’ cavalieri; e quelli segaro la sua terza parte della panca ove sedeano, quando il terzo fu morto, però che non trovaro in tutta Romagna neuno che fosse degno di sedere in suo luogo.