Novellino/LXXIX
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E’ fue un signore ch’avea un giullare in sua corte, e questo giullare l’adorava sì come un suo iddio, e chiamavalo Dio. Un altro giullare, vedendo questo, sì liene disse male, e disse:
«Or cui chiami tu Iddio? Elli non n’è no ma’ un».
E quelli, a baldanza del signore, sì ’l batteo villanamente; e quelli così tristo, non potendosi difendere, andossene a richiamare al signore e disseli tutto il fatto. Il signor se ne fece gabbo. Quelli si partì, e stava molto tristo intra ’ poveri, però che non ardiva di stare intra buone persone: sì l’avea quelli concio.
Or avenne che ’l signore fu di ciò molto ripreso, sì ch’elli propuose di dare commiato a questo suo giullare a modo di confini. Et avea cotale uso in sua corte: che, cui elli presentasse, sì·ssi intendea d’avere commiato da·llui e di partirsi fuori di sua corte. Or tolse il signor molti danari d’oro, e feceli mettere in una torta; e, quand’ella li venne dinanzi, sì·lla presentò a questo suo giullare e disse in fra sé:
«Da poi che li mi convien donare commiato, io voglio che sia ricco uomo».
Quando questo giullare vide la torta fu tristo. Pensossi e disse:
«I’ ho mangiato: serberolla e darolla all’oste mia».
Andandone con essa all’albergo, trovò colui, cui elli avea così battuto, misero e cattivo. Presegline pietade: andò inverso lui e dielli quella torta. Quelli la prese: andossene con essa: ben fu ristorato di quello ch’ebbe da lui.
E tornando al signore per iscommiatarsi da lui, il signor disse:
«Or se’ tu ancor qui? non avestu la torta?».
«Messer, sì ebbi».
«Or che ne facesti?»
«Messere, io avea allora mangiato: diedila a un povero giullare che mi diceva male perch’io vi chiamava mio Iddio».
Allora disse il signore:
«Va’ con la mala ventura: ché bene è miglior il suo Iddio che ’l tuo»:
e disseli il fatto della torta.
Questo giullare si tenne morto: non sapea che si fare. Partissi dal signore e non ebbe nulla da·llui, et andò caendo colui a cui l’avea data. Non fu vero che mai lo trovasse.