Novellette e racconti/XXI. Modo con cui un condannato fuggì dalle carceri
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Modo con cui un condannato fuggì dalle carceri
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XXI.
Modo con cui un condannato fuggì dalle carceri.
Non è cosa che più desideri l’uomo della sua libertà, e all’incontro non è cosa ch’egli cerchi continuamente di perdere più di questa. In ogni condizione di vita si veggono persone che si legano e subito cercano di slegarsi; poi si rilegano, poi si pentono di nuovo. Ad un giovane par essere un da poco se non ha moglie, e si annoda nel vincolo soave che gli fa perdere la pazienza di là ad una settimana. Un altro che può liberamente vivere, gli par di morire se non s’innamora, e a poco a poco entra nel gineprajo, e trovando mille avviluppamenti, vorrebbe essere un’altra volta come prima. Ma quelli che peggio fanno di tutti, sono coloro i quali potendo con qualche lavoro o ingegno vivere finchè a Dio piace, fanno tanto, che si trovano legati in una prigionia. So dire che, come sono entrati, par loro strano che tutti gli altri possano vedere il sole intero, ed essi solamente per le inferrate a scacchi; e non è cosa che non tentino per uscire di là dove sono entrati; ma a pochi riesce, come avvenne ad uno in una città poco di qua lontana a’ passati giorni. Un certo sfaccendato quando si avea a far del bene, e vigilantissimo nelle male opere quanto potea, fu posto in prigione, e quivi piangea amaramente la sua vita passata. Volle la sua buona ventura che il custode delle carceri avea moglie, e che a lei spesso dava le chiavi della prigione, non so se perch’ella fosse inclinata a consolare caritativamente e con le buone parole quegl’infelici, o perch’egli alle volte dividesse le sue fatiche e i pensieri con la sua compagna. Ma comunque si fosse, la buona femmina ebbe più volte opportunità di parlare al novello prigione e di confortarlo con le riflessioni; ed egli, all’incontro, mostrandosi grato alla sua affettuosa bontà, incominciò a ragionarle di amore, e non la trovò senza orecchi. Ma perchè i ragionamenti non erano la sostanza che volea l’incarcerato, il quale cercava la sua libertà, incominciò fra le altre cose a proporre alla buona femmina, che se a lei dava l'animo di farlo uscire da quelle mura, egli le avrebbe fatto fare una vita da reina; e colorendo mille castelli in aria, le promettea che, volendo ella andarsene seco altrove, dove avea molti beni e facoltà, l’avrebbe fatta contenta. Oltre di che ell’avrebbe fatto un atto molto meritorio a sciogliere un infelice; ma ch’egli però più volentieri si stava nella sua carcere vicino a lei, che fuori di là da lei lontano; e che s’ella non pensasse di andarsene seco, egli intendea di muffare e marcire. La buona femmina, tocca dall’amore che gli facea parere pietà e coscienza quello ch’era tutt’altro, consentì alla sua liberazione; e côlto il tempo che il marito era fuori, fatto un certo fardello delle cose sue, per poter fare un viaggio fino alla cuccagna promessagli dal prigione, andò con le chiavi all’uscio, l’aperse, e, datogli il fardello, si mise in via con esso. Il valent’uomo, uscito appena della città, si volse a lei con atto di gentilezza, e, trattosi di capo il cappello, la ringraziò della beneficenza ch’essa usata gli avea, e disse che se ne sarebbe ricordato per tutto il corso della sua vita. E mentre ch’ella, credendo ciò un atto di gratitudine, si apparecchiava con magnanimità a rispondergli, lo vide tutto ad un tratto spiccarsi da lei e correre quanto potea; sicchè in due minuti non vide più lui, né il fardello, e rimase a piangere la sua pazza credulità ed il suo amore.