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38 | novella xxii. |
atto di gratitudine, si apparecchiava con magnanimità a rispondergli, lo vide tutto ad un tratto spiccarsi da lei e correre quanto potea; sicchè in due minuti non vide più lui, né il fardello, e rimase a piangere la sua pazza credulità ed il suo amore.
XXII.
Di uno che morì per avere scioccamente ingojato dell’oro.
Molte volte è accaduto che un infermo per isbaglio, non intendendo la ricetta, prese una medicina per bocca, che dovea entrare per luogo più segreto, o si fece schizzare di sotto quello che dovea entrare nello stomaco. Nuovo è però che una persona facesse quello ch’io narrerò al presente.
Un venditore di frutte, che sta a S. Barnaba, dopo una lunga e gagliarda malattia ricoverò la sanità in parte; ma in parte rimaso malaticcio, senza forza, di mal umore e svogliato lungo tempo, come si fa dopo una lunga infermità, chiedeva a tutti i suoi conoscenti e amici qualche rimedio per rinvigorire. Chi gli dicea questa cosa e chi quella, ed egli ogni cosa sperimentava; tanto che il corpo suo era fatto bottega di speziale, e conciavasi per modo che di giorno in giorno peggiorava. Trovandosi dunque un giorno di profonda malinconia ripieno, e udendo per caso alcuni i quali diceano che l’oro fa allegrezza, e intendeano per poterlo spendere; egli, che non avea altro in capo che ricette, intese ad inghiottirlo, e, presa una certa quantità di zecchini e fattone pallottole, le inghiottì tutte, aspettandone in pace l’effetto. Gli zecchini, fattogli nodo e peso negl’interiori, l’hanno sì ajutato, ch’egli è a letto con gravissimo male e con dubbio di lasciarvi la vita. Quasi si potrebbe trarne una sentenza morale, che l’oro dà la vita a chi lo sa usare, e ammazza chi fa il contrario.