Novellette e racconti/LX. Inutilità del pensare a' casi avvenire
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LX.
Inutilità del pensare a’ casi avvenire.
Io non so al mondo chi meglio l’indovini: se coloro i quali fanno ogni cosa misuratamente, e si studiano a prevedere il bene e il male che può avvenire, o quelli i quali pigliano il mondo come viene e lasciano la briga di ogni cosa alla fortuna. Sarei piuttosto inclinato a dare la ragione a questi ultimi, perchè gl’indovini sono pochi; e veggo per prova che le cose in fine succedono come le vogliono, e si hanno due danni: l’uno del male che accadde, e l’altro dell’essersi stillato il cervello ad antivederlo per non potervi poi riparare. Oltre a questo i sangui di cotesti uomini pensosi si fanno malinconici, onde travagliano se e altrui, aombrando sempre di tutto quello che può essere; laddove gli altri sono una lieta compagnia e quasi sempre di buon umore. Poi, che vale il pensare se avvengono al mondo di quelle cose che non si potrebbero sognare, non che altro? Io vidi, per esempio, pochi giorni fa, quattro persone che sedevano sopra una banca fuori della bottega dello speziale in Campo a San Salvatore, e non dubitavano di nulla. Intanto certi fanciulli sopra il capo loro in una casa altissima frugarono tanto in una finestra molto ben grande, che mezzo balcone, uscito dei gangheri, ne venne giù tempestando e percuotendo per la muraglia con un rumore che parea la fine del mondo. Quei poveri uomini tra per lo fracasso del balcone e tra le voci che gridavano: guarda guarda, si sbandarono chi qua, chi là impauriti, tanto che furono a tempo di salvarsi. Sicchè anche da’ casi improvvisi si può fuggire senza avervi pensato prima. Peggior caso avvenne, poche sere fa, in una famiglia, dove il padrone vuole ogni cosa vedere con diligenza e provvedere che non vi sia chi lo inganni. Una fanticella, presa in mano la lucernetta e il boccale, ne andò pel vino, e il padrone ne andava seco con le chiavi per vedere di non essere truffato. Spillasi il vino, ritornano indietro; dice il padrone alla fanticella: Va innanzi tu, ch’io chiudo, e lasciami il lume. Ella va di pratica; ma mentre ch’erano stati in cantina, era caduto la scala da due o tre scaglioni infuori di sotto, e due o tre di sopra. La fanticella che non potea immaginare questa disgrazia, monta sicuramente in sul primo, in sul secondo, in sul terzo; alza il piede per metterlo sul quarto, lo mette in aria e si sprofonda: poco mancò che non si rompesse il collo. Parendole di essere caduta in inferno, mette uno strido; il padrone spaventato corre senza saper che sia, e sbalordito piomba nella caverna anch’egli. Il romore si raddoppia; la moglie del padrone corre in capo alla scala, e mentre che dice, Che è? misericordia! fa tre gradini, e fu a un dito per cacciarsi le costole in corpo, perchè cadde dall’alto ed azzoppò malamente; e a tutti e tre parea di essere in una sepoltura. Sentendo il vicinato le strida, credendo che vi fossero ladri e uccisioni, accorsero in frotta con lanterne, lumi e con arme, atterrarono l’uscio, e udendo le voci che pareano uscire di sotterra, alzano le lanterne e veggono la scala caduta. Trassero fuori quei poveri pericolati, e gli condussero zoppicando chi ad una casa, chi ad un’altra, fino a tanto che fosse riedificata la scala.