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106 novella lx.

glie: come lo volevate voi? — Oh, non si sa egli, cervelli d’oca, che sì bel pesce voleva essere affettato e arrostito? E c’è anche dell’arrosto, dice la moglie. Lucia, arrecaci l’arrosto. Viene Lucia con un piattello che fumicava e mandava un odore che solleticava il palato. Il marito fiuta e gli pare che sappia di arsiccio, e grida come un invasato: Almeno avessi tu fatto quella tua salsa: che maledetto sia il punto in ch’io spesi i danari in questo sì bel pesce, per dovernelo gittare alla gatta: oh borsa mia dispersa al vento! Intanto eccoti Lucia col tegame; ma venne in mal punto, perchè avendolo la moglie pregato ad acquietarsi, egli era tanto più montato in furia e bestemmiava; sicchè venuta la fante e presentandogli il tegame, poco mancò che non gliene lanciasse in faccia; di che indispettita la fanticella, gli disse: Che diavol dunque volete voi, poichè non vale nè lesso, nè arrosto, nè altro modo di cuocere? lo voglio, rispose il padrone quasi fuori di sè, voglio della .... Al che la fanticella rispose: E c’è anche di quella, e andò pel celone acconcio già dal fanciullo.


LX.


Inutilità del pensare a’ casi avvenire.


Io non so al mondo chi meglio l’indovini: se coloro i quali fanno ogni cosa misuratamente, e si studiano a prevedere il bene e il male che può avvenire, o quelli i quali pigliano il mondo come viene e lasciano la briga di ogni cosa alla fortuna. Sarei piuttosto inclinato a dare la ragione a questi ultimi, perchè gl’indovini sono pochi; e veggo per prova che le cose in fine succedono come le vogliono, e si hanno due danni: l’uno del male che accadde, e l’altro dell’essersi stillato il cervello ad antivederlo per non potervi poi riparare. Oltre a questo i sangui di cotesti uomini pensosi si fanno malinconici, onde travagliano se e altrui, aombrando sempre di tutto quello che può essere; laddove gli altri sono