Novelle d'ambo i sessi/Sotto zero
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SOTTO ZERO.
— Ing. Enrico Castel?
— Primo piano nobile, a destra.
Perchè io andassi dall’ing. Castel, è inutile sapere. Basterà dire che era il 28 gennaio dell’anno 1917, e la temperatura era di dodici gradi sotto zero.
Primo piano nòbile! Ma tutto in quella casa era nòbile! Le scale erano di nòbile marmo; la balaustra di nòbile metallo.
La nòbile casa era degna dell’ing. Enrico Castel, perchè egli è fra gli uomini che maggiormente onorino le scienze esatte fra noi. Anche nell’abito esterno mai un’inesattezza, e il sorriso signorile che ornava le sue labbra era indìzio della esattezza interiore. Io non ricordo che una sola disparizione del suo sorriso, anzi direi la sostituzione di una certa qual contenuta indignazione invece del sorriso; e fu, se non isbàglio, nel 1916 quando dopo due anni della guerra orrenda potè dire:
— Questo non lo avrei mai creduto!
Si parlava della Germania.
*
Al contrario di certi uomini di scienza che trattano gli uomini di lèttere come una zoologia inferiore, egli era urbanissimo; anzi se mi vedeva un libro in mano, appariva festevole e mi chiedeva: “Che libro ha?„. E si compiaceva nell’aprire il libro e rinnovare la conoscenza con Dante, Machiavelli, Leopardi che egli onorava moltissimo, benchè.... benchè questi studi non fossero esenti dal perìcolo di privare l’uomo di quella esattezza, di quella normalità di cui il suo sorriso era indizio.
Questo benchè lo dico io.
Non egli disse, nè io osai insinuare per domanda.
Egli, pur conversando dottamente di Dante, del Machiavelli, del Leopardi, pur signorilmente sorrideva; e quel sorriso mi pareva come la lastrina di cristallo delle preparazioni scientifiche, che concede di vedere, ma impedisce il contatto. Egli vedeva l’umanità attraverso una lastrina di puro cristallo.
Ma quel giorno, 28 gennaio 1917, quando la porta si aprì e si presentò l’ing. Enrico Castel, non soltanto notai che il sorriso era sparito, come l’altra volta nel 1916, ma c’era di più: anche l’esattezza esteriore era scomparsa.
— Bisogna che venga io ad aprire, — disse, — perchè sono successe cose gravi.
Cose gravi? Ma sono quattro anni che nel mondo succedono cose gravi: il volto di molti uomini da quattro anni è deformato nel dolore, ma soltanto quella mattina vidi il volto dell’ing. Enrico Castel deformato. Il suo volto, come un delicato cartoncino bristol, pareva anzi spiegazzato.
— Venga, venga avanti, — disse, — e tenga il cappello in capo. Veda come sto io.
Egli era infatti irregolarmente avvolto in una pelliccia, e una specie di passamontagne imbacuccava la sua testa.
— Siamo a tre gradi sotto zero in casa, — disse —: i caloriferi sono spenti, irrimediabilmente spenti. Potrò anche intentare causa al proprietario per inadempimento di contratto, ma con questo non aumento la temperatura. Le pare?
— Accenda il camino.
— Ma la casa è di costruzione moderna, e non ho camino. Chi avrebbe preveduto?
— Prenda una stufa a legna.
— Così ho fatto. Ma vede? (Infatti il magnifico appartamento era un po’ avvolto nel fumo.) — La legna è verde e non arde.
— Perchè non va in Riviera?
— Ah, mio caro! Ma non sa?
— Ma che cosa?
Disse:
— La nostra domestica si è ammalata di influenza, e grave; l’abbiamo subito fatta ricoverare, ma ciò non ostante, la mia signora si è ammalata di influenza lo stesso.
— Questo è grave!
— Altro che grave! Ed ora sento che sono febbricitante anch’io. Veda se in queste condizioni si può parlare di andare in Riviera. Stamane ho dovuto fare il caffè io.
Involontariamente ho sorriso io questa volta, perchè si capiva che se lui pur conosceva le leggi sul calore, non doveva essere riuscito a fare il caffè. Forse si era scottato.
— Ma il domestico?
— Il domestico è stato richiamato sotto le armi, e non se ne tròvano! Questa guerra è un disastro.
— Ma e la portinaia?
— Non me ne parli! Una donna di un egoismo inverecondo. Devo spedire queste ricette, ma giammai mi rivolgerò a lei.
— Se permette vado io.
Il suo volto espresse una sincera emozione.
— Ha bisogno d’altro? — domandai.
— Allora, già che lei è tanto gentile, vuol prendere anche qualche cosina da fare un po’ di brodo? Aspetti! assolutamente aspetti!
E mi volle porgere un lùcido biglietto da cinquanta lire.
— Le scienze delle finanze — avvertì —, specificano che il denaro non è che una convenzione, la stessa valuta aurea è convenzionale come la valuta cartacea. Eppure questa verità non è percepìbile se non quando manca il vero valore, che è la cosa. Io sono meravigliato del servizio che rendono questi cosini di carta.
*
Sono tornato con le medicine, con un pollo di squisita anatomia giovine.
Egli lo ammirò, lo sollevò con la bianca mano, dove spiccava un grande smeraldo.
— E queste qui, — dissi.
— Oh, le ovine!
— E un cartoccino di zucchero! — aggiunsi.
— Ha trovato anche lo zucchero! Oh! Oh!
Ebbe un sorriso di tenue felicità.
— Per me, veda, il caffè anche senza zucchero, è indifferente; ma per la mia signora è un sacrificio.
Passò ancora con lo sguardo dal pollastrino alla mia persona: due cose che forse mai egli aveva veduto in quello stato di nudità.
— Questo io non credevo — disse come nel 1916.
Che cosa non credeva? Forse che uno che adopera Dante, Machiavelli, Leopardi avesse attitudini a comperare anche un pollo? O piuttosto non credeva, era sorpreso che la lastrina di cristallo, che era fra lui e il genere umano, si fosse spezzata? Perchè egli mi disse con troppo anormale effusione:
— Grazie! grazie! Grazie, caro!
Grazie di che?
Mi pareva che egli sarebbe stato felice se avesse potuto darmi tutto il resto di quel valore cartàceo e così saldar la partita, in un caso idèntico ma opposto, Enrico Castel forse sentiva che mi avrebbe ben donato le cinquanta lire, se ne avessi avuto bisogno, ma andar lui a comperare per me.... Egli, quindi, mi avrebbe dovuto sempre dire: Grazie! Grazie!
*
Non so perchè andandomene e cogitando a tante cose, fuori dell’ing. Enrico Castel, dicevo fra me: “Se leggessimo meno pagine della scienza e qualche pagina dell’Evangelo!...„.