Novelle (Sercambi)/Novella XVII

Novella XVII

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XVII


La dilettevole novella di ser Martino ha molto contentata la brigata; e pertanto lo preposto, volgendosi a l’autore, disse che per lo dì seguente ordinasse bella novella. Al quale l’autore rispuose che molto li era a grado se la brigata era stata contenta lo giorno, e che pensava lo dìe seguente farla assai contenta. E voltosi alla brigata, parlò dicendo:


DE TRISTITIA ET VILITATE

Di Isabetta e Tristano da Cortona.


Innella città di Cortona — posta in sun un gran poggio e circandata di vigne e giardini di mandole, innelle quali vigne si ricoglieno buoni e preziosi vini bianchi e vermigli nomati vini cortonesi, di che le donne ne prendeno molta consolazione — avenne che una giovana grande e grossa di suo corpo et assai bella nomata Isabetta, nata di persona non molto ricca ma <di stato> assai buono secondo Cortona, et essendo il tempo della vendemia, la ditta Isabetta ogni díe recava tre o quattro canestre d’uva dalla vigna, non toccando le suoi però ch’erano alla scesa del monte. Di che uno nomato Tristano vedendo Isabetta tornare colle canestre dell’uva, dicendo: «Costei torna sí tosto?», pensò non dover dalle sue vigne venire ma dell’altrui quell’uva regare. Et avendone Tristano innel poggio, pensò voler vedere d’onde Isabetta tale uva aregava.

E uscito di Cortona, andatosene alla sua vigna, vidde venire Isabetta colla canestra in capo et entrar in una vigna acosta a [p. 95 modifica]quella di Tristano, andando cercando dell’uva più bella. E poca in tal vigna ne colse che saltò in quella di Tristano. E quine trovandone assai, disse Tristano fra se medesmo: «Se costei empie lo canestro della mia uva, io l’empierò la tana della mia terra». E stando in tal maniera, Isabetta ebbe piena la canestra d’uva. E quando volse partirsi, aconciandosi lo sottocaporo per volere la canestra mettersi in capo, Tristano, che tutto ha veduto e postosi in cuore alcuno fatto, si mosse; e giunto dove Isabetta era, percossela dicendo: «Tu mi vai rubando et empi la tua canestra di uva, et io empierò la tua tana di terra».

E gittatola in terra, standole tra le cosce dicea: «E’ vien voglia di fartelo». Isabetta sta cheta e nulla dice. Tristano dice: «Or mi vien voglia di fartelo». Isabetta ferma, tenendo aperte le cosce. Tristano dice: «Per certo e’ mi vien voglia di fartelo»; e pure non si muove. Isabetta cheta, senza alcuna resistenzia fare. Tristano replica: «Se non che io non voglio, tu se’ pur giunta: io tel farei». Isabetta, udendo ciò ch’e’ ha ditto, alzando le gambe innel petto a Tristano diè per si fatto modo che più di x braccia giù dal poggio lo fe’ cadere.

Isabetta, rivoltasi, la canestra si misse in capo et a Cortona ne gìo ratta, narrando a’ vicini la valentia che Tristano avea fatta e come con du’ calci l’avea gittato giù per lo poggio a mal suo grado. Li vicini consentendo, spregiando Tristano in tutte le parti, dicendo: «Isabetta, tu porti lo onore sopra Tristano»; Tristano, che ciò sente, più tempo sta che in Cortona non torna.

Ex.º xvi.