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novella xvii 95

quella di Tristano, andando cercando dell’uva più bella. E poca in tal vigna ne colse che saltò in quella di Tristano. E quine trovandone assai, disse Tristano fra se medesmo: «Se costei empie lo canestro della mia uva, io l’empierò la tana della mia terra». E stando in tal maniera, Isabetta ebbe piena la canestra d’uva. E quando volse partirsi, aconciandosi lo sottocaporo per volere la canestra mettersi in capo, Tristano, che tutto ha veduto e postosi in cuore alcuno fatto, si mosse; e giunto dove Isabetta era, percossela dicendo: «Tu mi vai rubando et empi la tua canestra di uva, et io empierò la tua tana di terra».

E gittatola in terra, standole tra le cosce dicea: «E’ vien voglia di fartelo». Isabetta sta cheta e nulla dice. Tristano dice: «Or mi vien voglia di fartelo». Isabetta ferma, tenendo aperte le cosce. Tristano dice: «Per certo e’ mi vien voglia di fartelo»; e pure non si muove. Isabetta cheta, senza alcuna resistenzia fare. Tristano replica: «Se non che io non voglio, tu se’ pur giunta: io tel farei». Isabetta, udendo ciò ch’e’ ha ditto, alzando le gambe innel petto a Tristano diè per si fatto modo che più di x braccia giù dal poggio lo fe’ cadere.

Isabetta, rivoltasi, la canestra si misse in capo et a Cortona ne gìo ratta, narrando a’ vicini la valentia che Tristano avea fatta e come con du’ calci l’avea gittato giù per lo poggio a mal suo grado. Li vicini consentendo, spregiando Tristano in tutte le parti, dicendo: «Isabetta, tu porti lo onore sopra Tristano»; Tristano, che ciò sente, più tempo sta che in Cortona non torna.

Ex.º xvi.