Novelle (Sercambi)/Novella XLVI
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XLVI
E ditto tale novella, tutti andarono a dormire.
L>o preposto e la brigata stata consolata della bella novella, e la mattina levati, andando il preposto raguardando le genti lezze di Roma e’ grandi casati e quelli comprendendo esser tanti che di gentilla il mondo arenno ripieno, e considerato la gentilìa loro esser vera e non simulata, tornati a cena la sera cenarono.
E dapoi il preposto disse: «Per certo se Roma anticamente avea il mondo signoregiato non è da aver meraviglia, considerato la vera gentilezza ch’era stata in Roma, ché volentieri ogni persona sta contenta esser da vera e buona gentilezza governata; e non dalla gentilezza che oggi in queste parti d’Italia si trova, però che alla avarizia è dato oggi l’onore della gentilezza. E però le signorie d’Italia poco durano, perché non ci s’usa gentilezza vera ma sì simulata». E voltatosi a l’altore disse che d’una bella novella la brigata contentasse. L’altore disse: «Volentieri», voltòsi dicendo:
DE LEALTATE
Della Tarpea di Roma ’ve stava tutto lo tesoro di Roma.
N>arrasi che li Romani antichi aveano uno palagio innel quale si riponea tutto il tesoro di Roma; il quale luogo era nomato Tarpea. Era questa Tarpea con porti di ferro e con molte chiavi, et erano queste porti fatte per tal modo che quando s’apriano faceano tale lo romore che tutto Roma lo sentìa, né mai si poteano aprirle che coloro a chi era dato a guardia le chiavi non vi fussero. E tal tesoro si riserbava per lo comune bisogno et a casi stretti.
Divenne che nacque discordia tra Pompeo, grande romano, e Cesari, simile grande in Roma. E doppo il molto contastare, Pompeo morto, e Cesari fattosi principi e’ l’imperio di Roma a sé atribuìo. E volendo il tesoro di Roma rubare o vero prendere, con scure li chiavacci della Tarpea tagliando et aprendola, lo romore si sentìo.
Al quale uno Romano nomato Metello, omo di bassa mano e non ricco, avendo una delle chiavi avuta dal senato di Roma, sentendo i’ romore della Tarpea subito corse là. E in sulla porta messosi con una spada in mano, dicendo: «Io vo’ vedere qual vuole esser quello che il tesoro del comune voglia rubbare. Per certo io lo difenderò, e amo più tosto di morire che dir si possa: ‘Metello ha lassato rubare il tesoro’»; Cesari, che quine era presente, disse: «Metello, pensi tu poter tal tesoro difendere?» Metello disse: «Sì, però che la mia volontà sera più forte che la tua potenzia. E posto che tu m’uccidi ne son contento: almeno la mia memoria sarà innelle croniche di Roma messa e la mia morte esaltata». Cesari disse: «Tale memoria non arà luogo al presente». E comandò che fusse preso e levato dalla porta senza offenderlo. E così fu fatto.
Cesari, rubato il tesoro, in sua utilità lo convertìo.
Ex.º xlvi.