Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella L
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IL BANDELLO
al magnifico dottor di leggi
messer
girolamo archinto
Non è molto che essendo alloggiato in casa vostra il gentilissimo messer Bonifazio Aldigeri, venendo io a visitarlo, vi ritrovai il nostro messer Francesco Tanzio. E sedendo con alcuni altri sotto il pergolato del vostro amenissimo giardino, s’entrò a ragionare di quanta forza sia appo tutte le nazioni la vertú. Onde da vostro zio messer Elia Sartirana fu detto di quei ladroni, che, tratti da la fama del maggiore Scipione Affricano, essendo egli bandito a Linterno, l’andarono a visitare per baciar la mano che l’Affrica aveva debellata. E veramente de la vertú il poter è molto grande, perciò che non solamente tira i buoni al suo amore, ma alletta ancora i tristi a la sua riverenza ed osservanza; del che infiniti essempi addurre si potrebbero. In simili ragionamenti adunque ii Tanzio una istorietta narrò, ove leggiadramente ne fece vedere che appo genti barbare un atto vertuoso assai spesso è in prezio. Io essa novella subito scrissi, con pensiero che, essendo nel vostro giardino nata, ella fosse vostra. E cosí con questa mia ve la mando e dono. NOVELLA L Petriello segue per mare la rubatagli moglie e con lei lieto e ricco a casa se ne ritorna per cortesia del re di Tunisi. Non ha ancora molti anni che in Lentiscosa, villa del reame di Napoli, fu un giovine di basso sangue e povero, il quale d’una villanella sua pari fieramente s’innamorò, e per acquistar l’amore di quella, faceva ogni cosa a lui possibile; onde la giovane 42S PARTE TERZA cominciò ad amar iui. Essendo di pari voluntà, si maritarono insieme e fecero le lor povere e picciole nozze molto allegramente. Vivevano con gran pace insieme e col sudore e fatica de le mani loro si procacciavano il vivere, non avendo altro al mondo che una picciola casetta, che era de la donna. Ora, essendo il tempo de la segatura e tutti dui essendo condotti a mieter grano da un massaro in un campo vicino al mare, avendo sul mezzodi la giovane un grandissimo caldo, e per la durata fatica del continovo tagliare posta giù la picciola falce, se n’andò vicino al lito e sotto l’ombra d’un albero si pose a sedere. Quivi da la stracchezza e dal sonno vinta, godendo un soave venticello che le crespanti onde del mare leggermente moveva, s’addormentò. Né guari stette che sop- pragiunsero certi corsari da Tunisi, i quali, discesi in terra, videro la giovane dormire e, quella presa e chiusale la bocca ché non gridasse, in galera la portarono; e ritirati alquanto in mare, vi si fermarono, forse per vedere se altri prender potevano. Il marito, accorgendosi la moglie non esser con gli altri lavoratori, poi che l’ebbe assai chiamata e ricercata indarno, rivoltatosi al mare e la galera veduta, s’imaginò il fatto come stava, e tanto più che i corsari mostravano a quei di terra la donna, la quale pareva pure a Petriello — ché cosi aveva nome l’innamorato marito — che la moglie sua fosse. Il perché, senza indugio spogliatosi, in mare si gittò e cominciò, nótando, andare a la volta dei corsari, ove in poco d’ora da amore aiutato pervenne. I mori forte si meravigliarono di lui e gli domandarono chi egli si fosse e ciò che andava cercando. Egli, che valente notatore era, fermatosi su l’acqua e tuttavia a la moglie guardando, che in poppa piangeva, in questa guisa gli rispose: — Io sono un povero giovine, marito di quella donna che voi in questa ora avete in terra presa e che in poppa lagrimante dimora, la quale, poi che io conobbi, sempre ho amata più che la vita mia, ed amo ed amerò sempre fin che viverò. Onde, se alcuno di voi ha moglie, o se mai ha provato che cosa sia amore o sentito che tormento è vedersi privare de la donna amata, io vi prego caldissimamente, e il prego vaglia mille, che sia di NOVELLA L 429 piacer vostro di restituirmi la moglie, ché eternamente ve ne sarò obligatissimo. Se io avessi modo di riscattarla, io v’ impegno la fede mia che in dono non ve la chiederei, sapendo che voi di questo essercizio vivete; ma io i\on ho cosa che si sia al mondo, e con il lavorare ella ed io sostentavamo la nostra povera vita, ché il guadagno che di in giorno in giorno facevamo ne dava il vivere. E se non vi pare di donarmela, vi supplico a volermi seco menar via, perché, con lei essendo e lavorando e facendo tutto quello che a voi piacerà, io viverò allegramente e volentieri m’aifaticarò, né sentirò il peso de la servitù. Ben v’affermo che viver senza lei tanto a me saria possibile, quanto se la vita levata mi fosse. — Piacque sommamente ai corsari il parlar di Petriello, a cui vi s'aggiungevano i prieghi e le lagrime de la sua moglie; e mossi a pietà, quello accettarono in galera ed assai bene vestirono, restituendogli l’amata moglie, e fin che pervennero a Tunisi gli fecero buona compagnia. Giunti poi a Tunisi, donarono i dui cristiani al loro re, al quale narrarono il modo col quale avuti gli avevano. Al re moro, quantunque fosse nemico de la nostra legge, piacque il dono, e tanto si meravigliò de la vertù ed amore coniugale del buon Petriello che, poi che con onorate parole l'ebbe commendato, quello con la moglie fece liberi. E pregandolo che seco volesse alquanto di tempo restare, gli ordinò un buon salario. Petriello, per non parere ingrato de la ricevuta libertà, alcuni anni si stette col re e si bene lo servi che al fine, fatto ricco, ebbe licenza con la carissima moglie di tornar a casa. Onde, essendosi nudo e mal contento da Lentiscosa partito, per la cortesia del re moro, ricco ed allegro vi ritornò; di modo che a le volte tra gente barbara si trovano uomini che la vertù ammirano ed amano, come tra noi sono assai spesso chi la vituperano e biasimano. \ • •