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NOVELLA L 429 piacer vostro di restituirmi la moglie, ché eternamente ve ne sarò obligatissimo. Se io avessi modo di riscattarla, io v’ impegno la fede mia che in dono non ve la chiederei, sapendo che voi di questo essercizio vivete; ma io i\on ho cosa che si sia al mondo, e con il lavorare ella ed io sostentavamo la nostra povera vita, ché il guadagno che di in giorno in giorno facevamo ne dava il vivere. E se non vi pare di donarmela, vi supplico a volermi seco menar via, perché, con lei essendo e lavorando e facendo tutto quello che a voi piacerà, io viverò allegramente e volentieri m’aifaticarò, né sentirò il peso de la servitù. Ben v’affermo che viver senza lei tanto a me saria possibile, quanto se la vita levata mi fosse. — Piacque sommamente ai corsari il parlar di Petriello, a cui vi s'aggiungevano i prieghi e le lagrime de la sua moglie; e mossi a pietà, quello accettarono in galera ed assai bene vestirono, restituendogli l’amata moglie, e fin che pervennero a Tunisi gli fecero buona compagnia. Giunti poi a Tunisi, donarono i dui cristiani al loro re, al quale narrarono il modo col quale avuti gli avevano. Al re moro, quantunque fosse nemico de la nostra legge, piacque il dono, e tanto si meravigliò de la vertù ed amore coniugale del buon Petriello che, poi che con onorate parole l'ebbe commendato, quello con la moglie fece liberi. E pregandolo che seco volesse alquanto di tempo restare, gli ordinò un buon salario. Petriello, per non parere ingrato de la ricevuta libertà, alcuni anni si stette col re e si bene lo servi che al fine, fatto ricco, ebbe licenza con la carissima moglie di tornar a casa. Onde, essendosi nudo e mal contento da Lentiscosa partito, per la cortesia del re moro, ricco ed allegro vi ritornò; di modo che a le volte tra gente barbara si trovano uomini che la vertù ammirano ed amano, come tra noi sono assai spesso chi la vituperano e biasimano. \ • •