Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte III/Novella XXX

Novella XXX - Un prete castrato porta addosso i testicoli; ed una fanciulla glieli mangia, credendo che fossero fichi
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[p. 40 modifica]per téma stramortito, lo trassero fuori de la buca e lo stropicciarono assai. Portatolo poi a casa, conobbero chiaramente che egli era morto, e dolenti oltra modo che la loro beffa avesse avuto cosí strano e periglioso fine, non sapevano che si fare, temendo che, se la cosa si fosse saputa, essi erano in periglio de la vita. Altri perciò non ci era che questo fatto sapesse se non essi quattro. Il perché, un poco innanzi l’alba, pigliarono il povero scolare morto e lo portarono vicino a certa chiesa sotto un portico. Trovatosi la matina, e la cosa divolgata per Bologna e saputasi da la Signoria, fu dai piú eccellenti medici fatto veder il corpo morto, i quali, avendolo diligentemente in ogni parte ben guardato e con cirugici famosi essaminato, conchiusero tutti che vinto da gran paura s’era morto. Fu poi fatto sepellire. Ma perché di rado le cose stanno occolte quando da piú di uno o dui si sanno, il fatto, non so come, si manifestò. Il perché monsignor Simone e i compagni, temendo de la giustizia, si levarono di Bologna e a Padova andarono a dar fine ai loro studi, e per l’avvenire si guardarono pur assai di far piú beffe di simil sorte. Ed in effetto sí fatti scherzi non mi paiono da far ad un amico.


Il Bandello al signor Girolamo Pellizzaro


Essendo voi partito da Milano quando vi faceste medicare de l’archibugiata che avevate nel braccio, fu astretto il nostro prete Santino, per certa infermitá che lo guastava, farsi castrare e restar solo senza testimoni. Onde fu tra molti una gran disputa: che si doveva fare di ciò che gli era stato cavato; ed era quasi l’openione de la maggior parte che, se voleva dir messa, bisognava che li portasse di continovo a dosso; di modo che essendo dissensione tra loro, s’accordarono a questo: che s’andasse ai frati de le Grazie, che sono osservanti di san Domenico, e si stesse al giudicio del venerabile frate Giovanni Pagnano, il quale, come sapete, è gran dottore e famosissimo ne le cose di ragione canonica. Cosí vennero a parlargli, e il fondamento di molti era, che chi è mutilato di corpo e non ha tutti i membri suoi non può celebrare. Ora, dopo molte tenzioni, mostrò loro il Pagnano che erano in [p. 41 modifica]errore e che non era astretto prete Santino a portar seco quei suoi cavati perpendicoli. E ragionandosi di questo in presenza di monsignor Stefano Poncherio, vescovo di Parigi e presidente del senato di Milano, il molto vertuoso messer Stefano Negro, gentil persona e dotta, narrò una bella novelletta; la quale io ora, da me scritta, vi mando e dono, a ciò che appo voi sia testimonio del mio amore. State sano.

Novella XXX

Un prete castrato porta a dosso i testicoli,
ed una fanciulla glieli mangia, credendo che fossero fichi.


Fu ne le contrade de la Provenza un prete Rocco da Montepelieri, il quale, essendo povero, s’andava procacciando il vivere col dire de le messe e andare agli uffici dei morti. E perché egli per qualche infermitá avuta s’era fatto castrare, andava dietro a la volgar openione e portava sempre in una sua borsa i suoi testicoli avvolti in un poco di carta, né detto mai averebbe la messa se la borsa a lato avuta non avesse. Ora avvenne che egli si acconciò per cappellano con uno di quei signori provenzali, che aveva moglie e teneva onorata famiglia. Prete Rocco altro non aveva che fare se non, a quella ora che piaceva a madama, dire la messa. Egli era molto allegro e diceva mille bei motti da ridere quando si trovava in compagnia, e sapeva far mille bei giuochi da intertenere una compagnia di dame sempre in festa. Per questo egli era molto caro a tutti. Aveva in casa questo signore una figliuola d’una sua sorella, che poteva aver da nove in dieci anni, che si chiamava Ginevra. E perché era bella fanciulla e piacevole, era molto da lo zio e da la zia amata e tenuta cara. Da l’altra parte ella si dilettava tanto dei motti e piacevolezze di prete Rocco, che da lui mai non si partiva. Egli poi le faceva mille vezzi e tutto il dí aveva da darle ora pera, ora pomi, ora nocciuole, ora ceragie ed ora fiori, ed ora una cosa ed ora un’altra, secondo che la stagione portava, di modo che mai non compariva senza qualche cosetta, e spesse volte si nascondeva in seno de le frutte, pigliandosi gran trastullo di veder che la fanciulletta s’affaticasse per trovar ciò che egli nascondeva. Era la stagione dei giorni caniculari, che in ogni luogo il caldo è grande, ma in Provenza è molto maggiore, ed assai sovente non si può dormir la notte, e bisogna il dí prender un poco di riposo. Onde dormendo in quei dí da merigge prete [p. 42 modifica]Rocco, fu da la fanciulla veduto, la quale subito andò lá e cominciò pianamente a cercargli a dosso per trovar qualche frutto. E trovandogli in seno la borsa, l’aperse, e sviluppati i testimoni del prete e pensando che fossero dattili o fichi secchi, la buona garzona se gli mangiò. Svegliato che fu il prete, trovando la borsa aperta e vòta, si smarrí molto e andò ove erano le damigelle e le disse: – Figliuole mie, chi m’ha levato ciò che era ne la mia borsa me lo restituisca per l’amor di Dio. – E non trovando chi novella gliene sapesse dire, faceva un gran rammarico. La dama del luogo, udendo il pianto, venne e volle intendere che cosa fosse quella; il prete le disse il fatto come stava. Meravigliossi assai la dama e domandava diligentemente Ginevra: ella confessò che aveva manicato i dattili o fichi del messere. Di che tutti ridevano, se non il prete, che si pensava esser privo di dir piú messa. Ma chiarito poi da uomini dotti che era in errore, ringraziò Dio che era libero da le opere de la carne e di portar seco quella faccenda sempre al collo appiccata.


Il Bandello a l’illustre e vertuoso
signor Giovanni Rotario


Il carnevale passato ch’io feci in Asti, ritrovandomi con voi, con la signora Margarita Tizzona contessa di Deciana e con la signora Laura Scarampa e molte altre nobilissime e belle dame e alcuni gentiluomini, s’entrò a parlar di coloro i quali si perdono ne l’amore d’una cortegiana da partito, che manifestamente saperanno che per ogni prezzo presterá il corpo a vettura a chiunque la vorrá mercadantare. Furono quasi generalmente biasimati da tutti ed istimati uomini di pochissimo ingegno. Sovviemmi che voi tra l’altre cose diceste che vi pareva impossibile che un uomo amasse una donna che del suo corpo compiacesse ad altri, eccettuando il marito, del quale pare che generalmente non s’abbia gelosia. Ora essendo io questi dí in Milano a ragionar con la signora Barbara Gonzaga, contessa di Gaiazzo e vostra cognata, messer Girolamo Claricio, uomo ne le lettere greche e latine dotto, che di poco innanzi era venuto da Vinegia, narrò una novelletta de la