Novelle (Bandello, 1853, II)/Parte I/Novella LIX

Novella LIX - Uno diventato geloso della moglie, credendo quella con l’adultero ammazzare, una sua figliolina uccide
Parte I - Novella LVIII Parte II

[p. 180 modifica]parti di Barbaria, e il buon fra Filippo con i compagni fu preso, e tutti furono tenuti schiavi e messi a la catena e in Barberia condotti, ove in quella miseria furono tenuti circa un anno e mezzo, nel qual tempo in vece del pennello conveniva al Lippi a mal suo grado menar il remo. Ora essendo tra l’altre una volta fra Filippo in Barberia, non essendo tempo da navigare fu posto a zappare e coltivar un giardino. Aveva egli in molta pratica Abdul Maumen suo padrone, onde toccato dal capriccio, un giorno quello con carboni sì naturalmente suso un muro ritrasse con suoi abbigliamenti a la moresca che proprio assembrava vivo. Parve la cosa miracolosa a tutti, non s’usando il dissegno nè la pittura in quelle bande; il che fu cagione che il corsaro lo levò da la catena e cominciò a trattarlo da compagno, e per rispetto di lui fece il medesimo a quelli che seco presi aveva. Lavorò poi fra Filippo con colori alcuni bellissimi quadri ed al padrone gli diede, il quale per riverenza de l’arte molti doni e vasi d’argento gli diede ed insieme coi compagni liberi e salvi, con le robe a Napoli fece per mar portare. Certo gloria grandissima fu questa de l’arte, che un barbaro natural nostro nemico si movesse a premiar quelli che schiavi sempre tener poteva. Nè meno fu la virtù di fra Filippo tra noi riverita. Ebbe modo egli d’aver una bellissima giovane fiorentina detta Lucrezia, figliuola di Francesco Buti cittadino, e da quella ebbe un figliuolo chiamato anco egli Filippo, che poi riuscì pittore molto eccellente. Vide papa Eugenio molte meravigliose opere di fra Filippo, e tanto l’amò, tenne caro e premiò, che lo volle, ancor che fosse diacono, dispensare che potesse prender la Lucrezia per moglie. Ma egli non si volse a nodo matrimoniale legare, amando troppo la libertà.


Il Bandello al molto magnifico e reverendo signor Giorgio Beccaria


Secondo la commission vostra, venendo da Pavia a Milano il nostro piacevole e vertuoso messer Amico Taegio mi portò la vostra bellissima ed amorosa Psiche, da voi da l’Apuleio latino tradotta ne la lingua italiana, e strettissimamente mi pregò che io volessi con diligenza leggerla e rileggerla, e con libero giudicio [p. 181 modifica]dirvene il mio parere, perchè essendo voi d’animo di mandarla fuori, desiderate che possa lasciarsi vedere. Io di questa vostra amorevolezza e buona openione che di me avete ve ne rendo quelle grazie che per me si ponno le maggiori, e meco mi rallegro che tale mi stimate qual esser mi converrebbe a voler de l’altrui fatiche ne l’opere de le lettere far giudicio. Tuttavia ancora ch’io non mi riputo tale, non ho voluto mancar al desiderio vostro, e tanto più volentieri quanto che mi pare con questo ufficio sodisfar in qualche parte a le tante vostre cortesie che meco, la vostra mercè, usate ogni volta che io vengo a Pavia. Presi adunque subito Apuleio in mano e conferendo di periodo in periodo; o come volgarmente si dice, di clausula in clausula il latino con l’interpretazion vostra, a me pare che voi ottimamente a l’ufficio del buono interprete abbiate sodisfatto, non vi curando render parola a parola, ma con circonlocuzioni in alcuni luoghi esprimendo chiaramente il senso de le parole e sentimento apuleiano. E perchè possiate fermamente credere che io tutta la vostra Psiche abbia letta ed ogni cosa minima considerata, ho annotato qualche passo ed alcune poche parole, come nel foglio che vi mando vederete, a ciò che parendovi le mie annotazioni degne di considerazione vi possiate pensar suso e cangiar ciò che vi parrà. Ora essendomi venuta a le mani una de le mie novelle che altre volte io scrissi, quella ho voluto al vostro nome intitolare e donarvela. Ella fu da messer Francesco Polizzo da Medole recitata a la presenza del magnanimo eroe il signor Federigo Gonzaga di Bozzolo, essendo io a Bozzolo alloggiato con il detto signore. State sano.


NOVELLA LIX
Uno divenuto geloso de la moglie credendo quella con l’adultero ammazzare, una sua figliuolina uccide.


L’essersi parlato de le pazzie che ogni giorno fa quel nostro amico, m’ha fatto venir voglia di narrarvi un pietoso accidente che questi dì in Mantova avvenne ad uno che in vero deveva esser geloso, dandogliene la moglie cagione, ma non seppe bene la sua gelosia con ragion governare. È la gelosia un male o sia vizio meritamente biasimevole molto, e che deverebbe ciascuno che abbia sal in zucca di continovo fuggire. Quando il marito s’accorge che la sua donna ad altrui di sè fa copia, non deve alora ingelosirsi, essendo certo de la vergogna che gli è fatta, ma deve [p. 182 modifica]ai casi suoi secondo l’occasioni provedere. E se non è certo de la vergogna ma resta in dubio per qualche segno che veda, apra ben gli occhi e metta mente a ciò che si fa, provedendo ove conosce esser il bisogno, e a modo veruno non apra il petto al gelato e pestifero morbo de la gelosia, perciò che ove ella alberga e sparge i veleni suoi, adombra, anzi del tutto acceca gli occhi de l’ingelosito, di modo che il povero uomo non farà mai cosa che buona nè lodevole sia, e le cose sue farà tutte fuor di tempo, come avvenne a un nostro giovine mantovano. Non è adunque, per dirvi come la cosa fu, molto, che in Mantova un artefice si trovò aver una figliuola di quindeci anni, assai più avvenente e fuor di modo bella che a la sua bassa condizione non si conveniva, non si trovando alora figliuola nessuna di gentildonna che di bellezze l’agguagliasse. Piacque ella sommamente a un signore di Gonzaga, di quelli, dico, che sono de la casa marchionale; il quale poi che s’avvide esser in tutto da le bellezze di Margarita vinto, chè così la giovanetta si chiamava, tanto fece e tanti modi usò che divenne di lei possessore, e de l’amor di quella con grandissima contentezza godeva. E quanto più di quella aveva copia, tanto più pareva che l’amore verso di lei crescesse; e di tal maniera andò la bisogna che egli ogni notte, o lo sapesse il padre de la Margarita o non, se n’andava seco amorosamente a giacersi. Durando questa amorosa pratica, il padre la maritò in un giovine che lavorava di spade, il quale era assai di casa e di qualche roba agiato, e da pari suo teneva la moglie molto comodamente insieme con una fanticella che faceva cotali servigetti per casa e attendeva a la Margarita. Il nostro giovine gonzaghesco che di core l’amava, ogni volta che poteva averne comodo e che in destro gli veniva, o fosse di giorno o di notte, con lei si dava buon tempo e vita chiara. Ora il marito di lei, che meravigliosamente n’era invaghito, e la vedeva bellissima e gentilesca molto e gli pareva che ciascuno che la vedeva se ne devesse innamorare e via menarla, cominciò di lei in tal maniera ad ingelosire che non poteva star un’ora a bottega a lavorare che a casa non corresse a veder ciò che la moglie faceva, e con questo mordace verme che di continovo gli rodeva il core si trovava come disperato nè sapeva che farsi. Da l’altra banda ella a cui poco gli abbracciamenti maritali soddisfacevano, averebbe di continovo voluto giacersi con l’amante; ma la solenne guardia del marito vietava loro il potersi troppo spesso insieme trovare e continovare la lor amorosa pratica, il che agli amanti era di grandissimo cordoglio cagione. Nondimeno ogni occasione [p. 183 modifica]che aver potessero non pretermettevano. In questo tempo Margarita ingravidò, o fosse il marito il padre de la creatura o vero l’amante, perchè tutti dui il poderetto di quella coltivavano. Partorì Margarita al tempo suo ed ebbe una figliuola la quale fu dal marito per buona e bella accettata. Avvenne che al marito bisognò far certi fornimenti di spada ad un gentiluomo franzese, che in Mantova aspettava che si fornissero, onde dopo cena, essendo di state, disse a la moglie: – Margherita, mi convien andarmene a bottega e lavorar tutta notte per espedir questo monsignor francese il quale mi paga molto bene e vorrebbe dimane partirsi; il perchè io questa notte altrimenti non verrò a casa. – E così subito se ne tornò a bottega a far suoi lavori. La Margarita per non perder quella comodità, avendo udito più volte dire che tutte le lasciate son perdute e che tempo perduto mai non si racquista, deliberò quella notte farsi venir l’amante, onde perchè egli passava tutto il dì per la contrada, ella gli diede quella sera il consueto segno. L’amante lieto di cotal ventura, essendo passati molti giorni che con lei non s’era potuto trovare, accettò l’invito più che volentieri e a l’ora terminata si ritrovò con esso lei a giacersi. Lavorava il marito e s’affrettava con suoi ferri di ridur a perfezione l’opera che faceva, e tuttavia era dai fieri morsi e velenose punture de la traditora gelosia morso e trafitto. Più e più volte interruppe l’opera per andar a casa a veder la moglie, ed altre tante ripigliò i ferri e lavorava. A la fine non potendo più contenersi, diposto ogni lavoro, poco dopo la mezza notte in fretta a casa ritornò, e picchiato a la porta e la fante per nome chiamata, gli fu da lei aperto, chè nulla degli amori de la Margarita sapeva. I dui amanti stracchi per le corse poste, avendo legato l’asino a buona caviglia, sicuramente dormivano. Il marito entrato in casa, ripose la spada, che a lato aveva, ne la stanza terrena, e di lungo salendo la scala montò di sopra e se n’andò a la camera ove gli amanti erano. Ardeva in un dei cantoni de la camera una lucerna. Accostatosi al letto, il marito vide la moglie, che sola trovar credeva, assai meglio accompagnata che egli voluto non averebbe; e dolente fuor di misura, di sdegno, di gelosia e di mal talento pieno, si disperava di non aver disopra recata seco la spada, e tanto gonfio di còlera che non vide l’arme de l’amante che al capo delle [p. 184 modifica]Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/184 [p. 185 modifica]

Eccovi, lettori miei umanissimi, la seconda parte de le mie novelle, ridotta a la meglio che ho potuto insieme, essendomi stato necessario da diversi luoghi molte d’esse novelle raccogliere, secondo che erano state disperse. Seguirà in breve la terza parte che quasi per il più è insieme adunata. Pigliatevi piacere, se tali le mie ciancie sono che possino piacerv., Io vi confesso bene che a cotal fine furono da me scritte. Accettate dunque il mio buon volere e la sincerità de l’animo mio. E se l’opera od il suo effetto non corrisponde al desiderio ch’io aveva, incolpatene il mio poco sapere e la debole capacità del mio ingegno. E state sani.


Il Bandello