Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella XLII

Terza parte
Novella XLII

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Un atto ancor che incivile può esser commendato


secondo il tempo e il luogo e il proposito a che si fa.


Chi fosse l’Imperia cortegiana di Roma, e quanto a’ suoi giorni sia stata bella e senza fine da grandissimi uomini e ricchi amata, credo che la maggior parte di noi o per udita o per vista abbia conosciuto, ché molti qui sono che in Roma a quei tempi erano. Ma tra gli altri, che quella sommamente amarono, fu il signor Angelo dal Bufalo, uomo de la persona valente, umano, gentile e ricchissimo. Egli molti anni in suo poter la tenne e fu da lei ferventissimamente amato, come la fine di lei dimostrò. E perciò che egli è molto liberale e cortese, tenne quella in una casa onoratissimamente apparata, con molti servidori uomini e donne, che ai servigi di quella continovamente attendevano. Era la casa apparata e in modo del tutto provista, che qualunque straniero in quella entrava, veduto l’apparato e ordine de’ servidori, credeva ch’ivi una prencipessa abitasse. Era tra l’altre cose una sala e una camera e un camerino sí pomposamente adornati, che altro non v’era che velluti e broccati e per terra finissimi tapeti. Nel camerino ov’ella si riduceva, quando era da qualche gran personaggio visitata, erano i paramenti, che le mura coprivano, tutti di drappi d’oro riccio sovra riccio, con molti belli e vaghi lavori. Eravi poi una cornice tutta messa a oro ed azzurro oltramarino, maestrevolmente fatta, sovra la quale erano bellissimi vasi di varie e preziose materie formati, con pietre alabastrine, di porfido, di serpentino e di mille altre spezie. Vedevansi poi a torno molti coffani e forzieri riccamente intagliati e tali, che tutti erano di grandissimo prezzo. Si vedeva poi nel mezzo un tavolino, il piú bello del mondo, coperto di velluto verde. Quivi sempre era o liuto o cetra con libri di musica e altri instrumenti musici. V’erano poi parecchi libretti volgari e latini riccamente adornati. Ella non mezzanamente si dilettava de le rime volgari, essendolo stato in ciò essortatore e come maestro il nostro piacevolissimo messer Domenico Campana detto Strascino, e tanto giá di profitto fatto ci aveva che ella non insoavemente componeva qualche sonetto o madrigale. Ma che vo io puntalmente il tutto raccordando, essendo sicuro che sempre qualche cosa ci resteria a dire, cosí de l’ornamento de la casa, come de la gentilezza di lei? In questo dunque ornatissimo camerino condusse un giorno il signor Angelo l’ambasciatore del re di Spagna, che, tratto da la fama de l’Imperia, era venuto a vederla. Ella gli venne incontro fuor di sala e di quella il condusse in camera e nel camerino. Egli, veduto la donna che era bellissima, di lei e de la pompa e de l’apparato forte si meravigliò. Stette seco l’ambasciatore buona pezza ed, avendo voglia di sputare, si rivoltò ad un suo servidore e gli sputò nel viso, dicendo: – Non ti dispiaccia, perciò che qui non è piú brutta cosa del tuo viso. – Fu questo atto, ancor che incivile, a l’Imperia gratissimo, parendole che la sua bellezza e l’ornato de la stanza meglio non si poteva lodare. Onde ringraziò l’ambasciatore di questa sua lode che le dava, dicendoli perciò che deveva sputare sul tapeto, che a tal fine era disteso in terra. Vera cosa è che alcuni dicono quest’atto esser stato altrove di molti anni innanzi fatto; ma e l’uno e l’altro è vero, e udite come. Quando il re Pietro di Ragona prese l’isola di Sicilia, egli mandò in Affrica al re di Tunisi un ambasciatore che si chiamava Cheraldo di Valenza, il quale, essendo un dí menato in una cameretta del re, ove ogni cosa era velluto ed oro e sotto i piedi erano tapeti di seta finissima lavorati a la moresca, per dar piacere al re, che sommamente si dilettava che le cose sue fossero lodate, sputò ne la faccia d’un affricano schiavo del re. E dimandando il saracino giustizia al re, disse Cheraldo: – Signore, veggendo io la polidezza di questa camera, che è tanta che pienamente lodar non si può, ho pensato che voi abbiate menato costui con questo brutto viso qui a posta, a ciò che in quello si sputi, essendo la piú brutta cosa che qui sia. – Piacque senza fine il bel detto al re e la cosa in riso si risolse. Tutti dui, che questo sputamento fecero, furono spagnuoli, e per tanto pigliate qual piú vi piace. Basti questo: che un atto incivile, secondo che si fa, merta talora commendazione.


Il Bandello al reverendo messer


Francesco Tanzio Cornigero salute


Io soleva questi anni a dietro, come sapete, il tempo de la state andarmene in Valtellina e quivi a Morbegno, ma piú spesso a Caspano e ai bagni del Masino diportarmi, mentre che i caldi duravano, e godermi quei freschi che ordinariamente ci sono, perché da mezzo luglio io, che altrove le lenzuola non posso a dosso sostenere, a Caspano la notte una buona coperta teneva. In quella terra sono di molti gentiluomini, i quali, ancor che stiano su quell’alta montagna, vivono nondimeno molto civilmente con delicati cibi e vini preziosissimi. E ben che tutta la valle faccia ottimi vini, nondimeno la costa di Tragona, che è sotto Caspano, gli genera di tutta eccellenza. Quivi tutto il dí si vedono grigioni e svizzeri, che vengono a comprare del vino. Ora essendo io con messer Giovanni Paravisino, dottore e dei primi gentiluomini del luogo, un giorno andato ai bagni del Masino per via di diporto, vi ritrovai molti gentiluomini milanesi e comaschi, tra i quali era il signor Gasparo Maino, che molto volentieri mi vide. Quivi, per fuggir il sonno del merigge, che dicono quei medici esser pestifero a chi prende quei bagni, sogliono dopo desinare ridursi per la piú parte sotto una costa de la montagna, la quale è di modo alta che, passate tre o quattro ore del matino, il sole non la può con suoi raggi battere. Eglino ne la minutissima erbetta a sedere se ne stanno, e in varii giuochi si trastullano. E mentre che di brigata si ragionava, sovravenne il dotto messer Benedetto Giovio, il quale, come fu dal signor Gasparo visto, fu da lui pregato che con qualche novella volesse aiutarci a passar quell’ora fastidiosa del caldo. Egli, che è gentile e piacevole, senza farsi troppo pregare disse: – Signori miei, io vi dirò una novella nuovamente a Como avvenuta, la quale, scrivendo io l’istorie de la mia patria, secondo che mio fratello messer Paolo Giovio scrive l’istorie del mondo, m’è quasi venuta voglia di scriverla ne le dette mie istorie. Né ancora so ciò che ne farò. – E cosí senza molto indugio ne narrò il castigo che fu dato a duo preti. Onde, sovvenutomi de la pena che voi deste ad un vostro chierico trasgressore dei vostri comandamenti, scrissi la detta novella, sapendo che molto vi piacerebbe. Quella dunque vi dono e sotto il nome vostro publico, rendendomi certo che sará impossibile che voi su questa materia non facciate qualche bello epigramma o qualche colta elegia. State sano.