Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella X
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Novella X
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Fra Bernardino da Feltro, volendo porre san Francesco
sovra tutti i santi, è da uno scolare beffato.
Devete, signori miei, sapere che, essendo io ancora secolare e stando in Pavia ad udir le leggi civili, frate Bernardino da Feltro, uomo ne la religione nostra di grandissima stima, predicò tutto un anno nella chiesa maggiore di Pavia, con tanto concorso che maggiore mai non fu in quella cittá veduto. Egli aveva l’anno innanzi predicato in Brescia e fatto publicamente sulla piazza ardere quei capelli morti che tutte le donne avevano in diverse fogge in capo, che per accrescer la nativa loro beltá solevano portare, ed arso anco simili altre vanitá donnesche. Fece anco arder quanti libri degli epigrammi di Marziale erano in quella cittá, e molte altre cose degne di memoria fece. Ora essendo egli il giorno del nostro serafico padre san Francesco in pergamo in Pavia, ove tutto il popolo era concorso, entrò a dire delle molte vertuti di san Francesco; ed avendone detto pur assai e narrati molti miracoli che in vita e dopo la morte fatti aveva, gli diede tutte quelle lodi, eccellenze e degnitá che a tanta santitá di cosí glorioso padre convenivano. Ed avendo con efficacissime ragioni, autoritá ed essempi provato che egli era pieno di tutte le grazie e tutto serafico ed ardente di caritá, entrò in un grandissimo fervore disse: – Che seggio ti daremo oggi nel cielo, padre mio santissimo? ove ti metteremo, o vaso pieno di ogni grazia? che luogo trovaremo noi a tanta santitá? – E cominciando da le vergini, ascese ai confessori, ai martiri, agli apostoli, a san Giovanni Battista ed altri profeti e patriarchi, dimostrando tuttavia che piú onorato luogo san Francesco meritava. Ed in questo cominciò, la voce inalzando, a dire: – O santo veramente gloriosissimo, le cui santissime doti e singolarissimi meriti e la conformitá de la tua vita a Cristo sovra tutti gli altri santi t’essaltano, qual luogo trovaremo a tanta eccellenza convenevole? dimmi, popolo mio, ove lo metteremo? ditemi voi, signori scolari che di elevato ingegno sète, dove porremo questo santissimo santo? – In questo messer Paolo Taegio, alora scolare nelle leggi e oggi dottore in Milano famosissimo, che sedeva suso uno scanno di rimpetto al pergamo, essendo fastidito dalle inutili e indiscrete ciance del frate e forse dubitando che non lo volesse metter sopra od almeno a paro della santa Trinitá, levandosi in piedi, preso lo scanno con due mani e in alto levandolo, disse sí forte che fu da tutto il popolo udito: – Padre mio, di grazia, non v’affaticate piú in cercar seggio a san Francesco. Eccovi il mio scanno: mettetelo qui su e potrá sedere, ché io me ne vo. – E partendosi, fu cagione che ciascuno si levò e il popolo di chiesa si partí. Onde fu mestieri che il feltrino, senza trovar luogo al suo santo, se ne dismontasse del pergamo e tutto confuso a San Giacomo se ne ritornasse. Onde si vuol ben considerare ciò che in pergamo l’uomo dice, a ciò che l’indiscrete predicazioni non facciano venir in deriso il verbo di Dio.
Il Bandello al molto illustre signore
Gianlodovico Pallavicino marchese.
Andando io questo settembre prossimamente passato a Bargone, castello del signor Manfredo vostro fratello, per alcuni affari che m’occorrevano negoziare con la signora Ginevra Bentivoglia vostra cognata, capitai non so come a Cortemaggiore, passando di luogo, non sapendo ancora ove io mi fossi. E volendo ad uno paesano domandar il nome del luogo, voi in quello arrivaste venendo da la caccia, né voleste che piú innanzi io cavalcassi. E non bastandovi tenermi quel giorno vosco in rocca, mi vi teneste cinque dí continovi, facendomi quelle carezze che non ad un par mio, vostro antico domestico e servidore, ma che sarebbero state assai ad ogni gentiluomo gran signore. Né io ora voglio raccontar le sorti dei piaceri, dei trastulli e dei giuochi che si fecero con soddisfazione e piacer di tutti. E perché ne le case e corti dei signori ci sono sempre diversi ingegni d’uomini e tutti non ponno esser sagaci e avveduti, il vostro che altri Polito e altri chiamano Mosca, (che mi pare che si deverebbe chiamar piú tosto «ragno», perché ha le gambe sottili e lunghe e va sempre in punta di piedi), ci diede piú volte materia di ridere perché, non si volendo veder un minimo peluzzo su le vesti, e tuttavia essendogli a dosso gettato qualche cosa, entrava in tanta còlera, con sí estrema e fiera bravura, che chi conosciuto non l’avesse s’averebbe creduto d’essere ne le mani del furibondo Rodomonte. Nondimeno con tante sue minacce egli non saria stato oso di batter una mosca, anzi se ogni picciolo figliuoletto contra lui rivolto si fosse, sarebbe come un vil coniglio fuggito via. Era quivi messer Giacomo da San Secondo, il quale con sonare e cantare, essendo musico eccellentissimo, ci teneva spesso allegri. Egli, veggendo il contegno del Polito, narrò una novelletta a proposito di questi che tutto lo studio loro mettono in polirsi. Voi alora mi diceste che tal novella sarebbe buona da metter con l’altre mie. Il perché, avendola io scritta, ho voluto che sia vostra e che vada a torno, se mai uscirá di casa, col nome vostro in fronte; il che sará appo quelli che dopo noi verranno evidentissimo segno de la mia osservanza verso voi. State sano.