Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella VI
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Novella VI
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In Parigi un servitore si giace con la padrona
e, scopertosi il fatto, gli è tagliato il capo.
Giovami credere, signori miei, che a la fine le cose d’alcuna importanza fatte a l’improvviso possano di rado sortir a buon fine, e che sempre non ci nasca qualche intrigo che poi ci apporti o danno o vergogna. E di questo ne veggiamo tutto il dí chiarissimi essempi. Onde mi pare che si debbia imitare la bella sentenza del prencipe degli oratori greci, usurpata dapoi dal nostro istorico romano, la quale è: che prima che noi diamo principio ad una cosa, è necessario consegliarla, e poi che s’è consegliata maturamente, metterla in essecuzione. Il che se tutti facessero, non si commetteriano tanti errori quanti si fanno tutto il dí. Ci è poi questo: che l’operazioni fatte col conseglio, se per caso non le segue il fine che si desidera, sono almeno di minor colpa riprensibili. Che per lo contrario, quando una cosa senza conseglio strabocchevolmente si fa, tutto ’l mondo, non avendo buon fine, la condanna e vitupera. Ora per venire al proposito degli effetti che senza pensarci su talora le donne fanno, e che loro ne succede vergogna e danno, io vi vo’ narrare una pazzia che fece una donna. Vi dico adunque che ne la grande e ricca cittá di Parigi fu, e forse ancora è, un cittadino dei beni de la fortuna ben dotato, il quale aveva una bellissima moglie. Egli viveva in casa molto splendidamente e teneva di molti servidori e si dilettava forte del giuoco. Tra i servidori ce ne fu uno assai appariscente, il quale, a tutte l’ore veggendo la bellezza de la moglie del suo padrone, se ne invaghí di modo che in breve tempo s’accorse d’aver perduta la sua cara libertá. Pensando poi in qual maniera potesse pervenire al suo desiderato fine, e molte vie e modi minutamente tra sé ravvolgendo, né gli parendo di trovar ispediente veruno buono per goder del suo amore, miseramente ne le cocenti fiamme del suo sí fervente amore si consumava. Non ardiva l’impaniato giovine a communicar questa sua acerba passione con persona, e meno era oso di scoprirsi a la sua donna; il che fuor di misura accresceva la sua pena, non la potendo a modo veruno sfogare. E quanto meno sperava, tanto piú il desio cresceva. Deliberò adunque la sua donna, in quanto poteva, servire, altra consolazione o conforto non sentendo che pascer gli occhi de l’amata vista. Cosí attendeva a servirla con quella diligenza e prestezza che sapeva la maggiore. La donna, che lo vedeva sí pronto e assiduo al suo servigio, l’aveva molto piú caro che altro servidore che in casa fosse, piú oltre perciò non pensando. Onde come voleva servigio alcuno, a lui sempre lo commetteva, trovandosi molto meglio da quello sodisfatta che da nessun altro. Egli, che si accorgeva di cotali favori, mirabilmente se ne contentava. Il marito de la donna, come giá v’ho detto, si dilettava molto del giuoco e spesso i suoi compagni teneva seco a mangiare e da loro anco era banchettato, e soleva bene spesso, quando fuor di casa cenava, non ritornare sino dopo mezza notte e talora piú tardi assai. La moglie alcuna volta l’attendeva e talora, quando si sentiva sonno, si corcava. Avvenne una sera che il marito fu a cena altrove, come era suo consueto. La donna, poi che ella ebbe cenato, non istette molto che vinta da la gravezza del sonno s’andò a dormire e nel letto si corcò. L’innamorato servitore, che in casa era e la donna aveva a la camera accompagnata, sapendo che il padrone non torneria cosí tosto, perché al banchetto ove era ito si recitavano alcune farse, cominciò a pensare sovra il suo fervente amore, e gli parve che se gli offerisse la commoditá di poter goder la donna. Sapeva egli in camera di quella non ci esser persona, ed aveva piú volte veduto, quando il padrone la notte tornava a casa e trovava la moglie esser a letto, che con minor strepito che fosse possibile, trovata sempre la camera non fermata, entrava dentro e, per non isvegliarla, chetissimamente se le corcava a lato. Su questo pensiero l’innamorato giovine farneticando e mille cose ne l’animo ravvolgendo, a la fine si determinò di non perder questa occasione. Spoliatosi adunque ne l’anticamera, entrò poi in quella de la donna, e, sapendo come era situata, senza romore a lato a la donna, entrando nel letto, si mise e sentí che quella punto non era desta, ma che quetamente dormiva. Stette un pochetto sovra di sé; dapoi fatto bonissimo animo, cominciò a basciarla amorosamente ed abbracciarla. La donna si destò e, credendo aver il marito appresso, riabbracciava e con mille saporiti baci a la mutola festeggiava il suo amante. Egli, che in uno amplissimo e profondo mare di gioia si trovava, cominciò amorosamente di lei a prender piacere. E trovando molto miglior pastura di quello che imaginato s’era, in poco di tempo cinque volte con la sua donna con gran piacere diede la farina al suo cavallo. E non si sapendo levar da lato a lei, fu cagione di esser, dopo, morto. Poteva egli dopo che buona pezza s’era trastullato, fingendo d’aver alcun bisogno, levarsi e andar via; ma accecato da la grandezza del diletto non si sapeva partire. La donna a cui pareva pur di strano giocare a la mutola tanti giuochi e che in simili abbracciamenti soleva col marito scherzando favoleggiare, o che le paresse che colui che seco era avesse seco fatta piú gagliarda giacitura che il marito non era uso di fare, disse a l’amante: – Monsignor mio, che cosa è questa, che voi non dice nulla? Come è stato il banchetto bello? e la farsa come è riuscita bene? Parlate. Sète voi sí tosto divenuto mutolo? – Il giovine non sapeva cosa che dirsi. A la fine, stimolato da la donna, disse chi egli fosse. E volendo narrarle il suo fervente amore, entrò la donna in tanta rabbia e tanto furore che pareva che innanzi agli occhi ella avesse il marito e i figlioli tagliati a pezzi. Vinta da la còlera saltò, gridando, fuor del letto e, mal consegliata, aperse la finestra de la camera che rispondeva suso una strada publica, e cominciò come forsennata quanto piú poteva a gridare e chiamar i vicini e far levar quelli di casa. Il giovine, in sí fatto laberinto trovandosi, subito si vestí. Ed avendo di giá le serventi de la casa per comandamento de la padrona aperta la porta, entrarono alcuni de la contrada con lumi in casa, e, montando la scala, incontrarono il giovine che a basso discendeva e gli domandarono che romore fosse quello. Egli disse loro che la madonna aveva trovato un ladrone; e disceso a basso, se n’andò errando da mezza notte per Parigi ove i piedi lo menavano. E stracco da la soverchia fatica durata, vicino al palazzo di Parigi si pose a sedere sovra un pancone di quelle botteghe che vicine al palazzo sono, e quivi vinto dal sonno s’addormentò. Erano in casa de la donna entrati molti vicini e le domandavano che cosa avesse. Ella piena di tanta stizza, di còlera e di sdegno che non vedeva lume, miseramente piangendo, lacerandosi la cuffia del capo, sterpandosi i capegli e furiosamente dibattendo le mani, scoperse fuori di proposito a tutti la sua vergogna, a disse loro come il fatto del ribaldo servidore era successo. Parve a tutti la cosa molto strana, e mentre che attendevano a consolarla sovravenne di lei il marito, il quale, trovata aperta la porta a quell’ora, e sentito il romore che in casa era, forte si meravigliò. Entrato dentro e montata la scala, udí da la pazza moglie cosa che di udire non aspettava giá mai. Qual fosse il dolore che egli a cosí brutto annonzio sentí, pensilo chi moglie aver si trova, se simil vergogna di lei sentisse. Domandò ove il manegoldo fosse ito, e non gli sapendo nessuno dire che camino avesse tenuto se non che era uscito di casa, fece che gli altri servidori ed alcuni dei vicini domestici lo seguirono, e si mise andar per Parigi cercando lo sciagurato servidore. Andando il padrone or qua or lá, si abbatté a punto a la bottega ove il misero servidore sul pancone dormiva e, riconosciutolo, lo fece prendere e di buon matino lo presentò a la giustizia, accusandolo com’ispugnatore de l’altrui pudicizia e adultero. Essaminato, secondo che ebbe ardire di far il misfatto che fece, non ebbe animo di negarlo; onde seguí che dal senato fu giudicato che gli fosse mózzo il capo publicamente. Il che fu messo ad essecuzione, di modo che per un poco di carnale diletto perdette la vita, essendogli tagliata la testa. Ora che diremo noi di questa pazza femina? Dico pazza veramente, perciò che volle a l’improviso seguire la volgata openione: che il conseglio de le donne senza pensarvi su sia meglio di quello che su vi si pensa. Se avesse considerato che giá il servidore aveva preso di lei amoroso piacere, e che ciò che fatto era non era possibile che non fosse fatto, ella averia taciuto il suo errore e non si saria a tutto Parigi fatta publicare del modo che fece, con periglio che il marito sempre di lei avesse sospetto e sempre per l’avvenire poco conto ne tenesse, dubitando che, una volta avendo provato un altro uomo che lui, non le venisse voglia d’isperimentarne qualche altro, come molte sovente fanno.
Il Bandello al gentilissimo
messer Sigismondo Olivo
Chi con dritto pensiero considera l’instabilitá de le cose mondane conoscerá di leggero che l’uomo di rado ha piacer alcuno che lungamente duri, e non è dolce alcuno in questa nostra vita ove fortuna avversa non meschi de l’amarezze, che ella suole tutto il dí dare a chi punto in lei si confida. Il che è manifestissimo argomento che di sotto al globo lunare non è cosa stabile, e perciò che in queste basse cose non si può trovar la nostra felicitá, ma che ella è ai buoni dal nostro signor Iddio colá su ne l’empireo cielo apparecchiata. Nondimeno noi ci lasciamo cosí abbagliare da le apparenti dolcezze che crediamo essere vere, massimamente ne le cose amorose, che noi, ingannati da quelle, ci lasciamo trasportare a mille inconvenienti e bene spesso a miserabil morte. E di simil errori tutto il dí n’accadeno assai essempi, come nuovamente a Bruggia di Fiandra è avvenuto, secondo che questi dí messer Niccolò Nettoli mercadante fiorentino, che lungo tempo in Fiandra ha negoziato, in una buona compagnia con una novella dimostrò. La quale io, avendola scritta, vi mando e dono, a ciò che veggiate che di voi sono ricordevole, e medesimamente del magnifico vostro fratello il capitano Gian Battista Olivo, al quale desidero questa esser commune. State sano.