Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella LXIII

Terza parte
Novella LXIII

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Debito castigo dato ad un canonico che con mirabile


invenzione aveva ingannato un suo vicino.


Ne la villa di Laon fu non è molto tempo un prete canonico, di beni ecclesiastici assai ricco, ma povero di buoni costumi e di cristiana conscienza. Aveva egli continua a la casa sua una casa d’un buon uomo, la quale egli sommamente desiderava di comprare, per meglio accomodarsi e far di due case fabricarne una a suo modo; ed al vicino suo l’averia molto ben pagata. Ma il buon uomo non volle mai intendere, per prezzo che offerto dal canonico gli fosse, di privarsi de la sua abitazione. Del che messer lo prete si trovava molto di mala voglia e non si ne poteva dar pace. E poi che piú e piú volte, usando diversi mezzi d’uomini per piegare il padrone de la casa a venderla, conobbe che indarno s’affaticava per danari di poterla avere, si convertí a le astuzie e agli inganni, imaginando tuttavia come il buon uomo egli, ingannando, inducesse a spogliarsi de la casa. Caddegli in mente una diabolica chimera e parveli molto al proposito per ottener l’intento suo. Onde, non avendo risguardo né a Dio, come si suol dire, né a’ santi, deliberò la sua pessima fantasia mandar ad effetto, seguendo in ciò il volgato verso de poeta:


Da che banda arricchisca nessun cerca:

ricchezza in ogni modo aver bisogna.


Determinatosi adunque essequire il suo pensiero, ebbe mezzo di trovar un abito di diavolo infernale, che a Parigi fece far il piú orribile e spaventoso che fu possibile, con un abbigliamento da capo che aveva duo gran corna, e una maschera sí contrafatta e tutta brutta, minaccevole e fiera, che averia fatto paura al piú animoso e sicuro uomo di tutta la Francia. Avuti questi abbigliamenti, partí da Parigi e tornò a Laone. Si vestí una notte da diavolo ed empí le corna di fuoco artificiato, e per la via del tetto passò da la sua casa a quella del suo vicino, e per un finestrone, che era in mezzo del tetto per dar lume al solaro, sotto esso tetto entrò dentro. Era quivi a caso stata messa una botte vecchia per riporvi dentro de la cenere. Il buon canonico cominciò per la prima a volgere e rivolger la botte sovra il solaro, facendo il maggior romore del mondo, ché tutti quelli di casa, a lo strepito che la raggirata botte faceva, dal sonno si destarono. Levossi una fantesca e, accesa la lucerna, montò le scale e andò di sopra per vedere onde quei strepiti nascessero. Il canonico, che stava a la vedetta, come la fante fu di sopra, cosí saltabellando faceva un abissar grandissimo e suffolava fieramente, mandando fuori da le corna, da le lunghe orecchie e da altri luoghi de la diabolica maschera fiammelle di fuoco con fumi che putivano fieramente. A cosí orrendo spettacolo la timida fante, spaventata, con la maggior fretta corse giú da la scala, che non si dá la fava la notte e ’l giorno dei morti. E non potendo a pena favellare, disse pure al padrone che aveva veduto il diavolo. Egli, credendo che la fante non fosse in cervello, salí in alto e vide tutto ciò che quella detto aveva, e spaventato sopra modo, fu per isvenire e vie piú che di galoppo smontò la scala. Durò questa festa molti dí, tuttavia entrando per lo spiraglio del tetto ed uscendo messer lo canonico a suo piacere. Si divolgò il fatto per la villa e si cominciarono a dire di molte ciance. Chi diceva una cosa e chi un’altra. Dicevano alcuni cotali visioni diaboliche apparire perché altre volte una femina sovra quel solaro s’era da se stessa per la gola impiccata. Altri affermavano sentirsi quei romori perché un fratello del padrone de la casa, che era morto, aveva fatto voto d’andar a visitare San Clodo e non v’era ito, e meno aveva sodisfatto ad un altro voto d’andare a Monte San Michele nel paese di Bertagna. E cosí diversi diversamente parlavano. Fu fatto venire il parrocchiano a benedire con acqua santa la casa. Né gli bastò d’averla benedetta il giorno, ché, essendo la notte restato col suo chierico in casa, come sentí il romore, fatta prender la croce e l’acqua santa, volle salir di sopra. Ma tosto si pentí, perché veggendo cosí orrendo e spaventoso mostro, gettata in terra la croce e l’aspersorio, se ne volò furiosamente a basso. Ora, veggendo il padrone a nessun modo tanta seccaggine di romori cessare, deliberò trovar un’altra casa e vender quella; onde la fece offerire al canonico. Egli, che vedeva il suo avviso riuscirgli a pennello, se ne mostrò svogliato, dicendo che piú non ne aveva bisogno. E per la fama che era sparsa quella casa esser divenuta una spelonca di spiriti, non ci era persona che comprare la volesse, né anco accettar in dono. A la fine mostrò il canonico per compassione volerla comprare, e l’ebbe per la metá meno di quello che buonamente valeva. Avvenne un dí che, lamentandosi uno col canonico, che piativa e non poteva venir a capo de la lite, narrò la materia de la sua lite ad esso canonico. A cui egli disse: – Amico mio, tu non sai litigare. Io so fare i fatti miei senza tanti processi. – E non considerando ciò che potesse avvenire, li narrò il modo col quale aveva ottenuta la casa del suo vicino. Il fatto, non so come, fu sentito dal padrone che la casa per téma degli spiriti aveva venduta, e fu da lui ad un suo avvocato esposto; di modo che la lite fu dedutta al parlamento di Parigi. In somma, per non vi tener piú in lungo, messer lo canonico, provato il suo delitto, fu preso e, senza aspettar tormenti, il tutto come era seguíto confessò. Fu giudicato che la casa tornasse in poter del primo padrone senza che restituisse gli aúti danari, e che il povero canonico fosse incarcerato e restasse prigione perpetuamente, con digiunare tre volte ogni settimana in pane ed acqua senza altro cibo. E cosí la sua malvagitá a misero fine miseramente lo condusse; ed appresso la malvagitá, l’essersi gloriato d’aver fatta la beffa al vicino de la casa fu l’ultima sua rovina. Si deve ciascuno guardare di non commetter misfatto alcuno, e poi che l’ha commesso, non lo publicare: perché per l’ordinario il troppo cicalare suole spesso esser di nocumento; ma il tacere, ove è il bisogno, fu sempre lodevol cosa.


Il Bandello al magnifico messer


Francesco Poggio lucchese


Fu dal nostro signore Iddio, dopo la creazione del mondo e di tutto ciò che in esso si contiene, creato l’uomo di terra, e de la sua costa fece Iddio la donna per compagna de l’uomo, e nel paradiso terrestre per modo matrimoniale fu tra lor dui celebrato il santo matrimonio. Il che ci dimostra, se noi non siamo piú che cechi, esser questo sagramento di molta eccellenza e grandissimo mistero. Ma perché io mi son messo a scrivervi, non per volervi esporre la Scrittura, ma per narrarvi un miserabil caso avvenuto tra marito e moglie, e forse causato per diffetto del marito, mi pare non disdicevole che io alquante parole dica d’alcune cose che deverebbe ogni buon marito usare con la moglie. E perché la prima cosa che deve esser tra il marito e la moglie io mi fo a credere che debbia esser l’unione e la tranquilla pace, deve il marito non esser ferino né aspro ne la conversazion sua in casa, perché se vorrá con fatti e con parole inasprire ed irritare la moglie, e d’ogni minimo fuscello garrirla e farle un gran romore in capo, la casa non sará casa ma terreno inferno, né mai vi abiterá pace. Bisogna dunque che l’uomo sia benigno ed umano, e talora si risenta con modestia ne le cose mal fatte; e a la moglie conviene saper tacere e pazientemente sofferire ciò che fa il suo marito. Ché in vero quella casa ove il marito non sa usare prudenza e la moglie è poco paziente, non è abitacolo di maritati ma uno spedale di pazzi, e a la fine converrá che tra simili congiunti in matrimonio segua il divorzio, o sempre viveranno come cani e gatti. Si vede per l’ordinario le donne esser di temperamento delicato e debole, e per questo è loro dato l’uomo che le governi, a ciò che egli sappia e debbia tolerare e coprire gentilmente la debolezza e diffetto de la donna, e con mansuetudine correggerla e non riprenderla in pubblico giá mai. Sono alcuni tanto indiscreti e sí stizzosi e bizzarri, e di tal maniera e modo in casa e fuori si diportano, che converrebbe che la moglie a sopportagli e servirgli fosse piú savia di Salomone e piú paziente che il pazientissimo Giob. Consideri ogni marito se la moglie che è saggia o pazza. Se per disgrazia ella è pazza, pensi pure di non la poter governare d’altra sorte che con la prigione onesta d’una camera. Se ella è savia, una volta sola che il marito le dica l’animo suo e le mostri come egli vuole che in casa e fuori si diporti, ella non mancherá di essere ubidiente e prudentemente governarsi. Ora per non mi distender piú in questa materia, a ciò che talvolta non mi fosse rimproverato il proverbio antico che si suol dire: «Chi non ha moglie ben la batte, e chi non ha figliuoli ben gli pasce», vi dico che io non ho mai avuto moglie a lato né sono per averla; ma che il mio parere è tale: che ciascuno che prende moglie deve sforzarsi d’esser amato da lei. Il che di leggero egli otterrá amando come si deve, unicamente la sua moglie, perché chi ama sará senza dubio amato, come ben disse Dante:


Amor che a nullo amato amar perdona.


Dove poi è amore, se ben talora interviene alcun corruccio, il tutto in breve si compone e ne seguono poi le paci piú tranquille e piú dolci. Questo tanto ve n’ho io, Poggio mio onorato, voluto dire, non perché voi abbiate bisogno de le mie ammonizioni, ma per venir a la narrazione d’una novelletta occorsa per la poca benevoglienza che era tra marito e moglie. Voi la Dio mercé amate la consorte vostra Pantesilea, sorella del signor marchese del Monte, famiglia in Toscana nobilissima e dai reali de la Francia discesa, e da lei unicamente sète amato, e vivete insieme una vita lieta, pacifica e tranquillissima, di maniera che di voi si può con veritá dire che un sol’anima informi i vostri dui corpi. La novella fu narrata qui tra noi dal dottissimo Matteo Beroaldo, precettore del nostro gentilissimo signor Ettor Fregoso. Accettate dunque essa novella, al nome vostro dedicata, in minima ricompensa de le tante cortesie, che io da casa vostra in Linguadoca tante volte ho con tanta vostra umanitá ricevuto. Feliciti nostro signor Iddio tutti i vostri pensieri. State sano.