Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella XLIX
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Novella XLIX
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Clemenzia d’un lione verso una giovanetta, che gli levò un cane
fuor degli unghioni senza ricever nocumento alcuno.
Alessandro Farnese, cardinale di santa Chiesa e nipote di papa Paolo terzo che novellamente è passato a l’altra vita, mandò a donare questi anni passati a Ferdinando eletto re de’ romani, tra molte altre cose rare, alcuni lioni e tigri, i quali da esso re furono graziosamente accettati. Passarono in Alamagna con stupore, per esser bestie insolite di quel paese. Il re Ferrandino, poi che alquanti giorni ne la corte sua tenuti gli ebbe e saziati i paesani de la vista d’essi animali, si deliberò di fargli condurre in Boemia, né dando troppo indugio al suo pensiero, ordinò che condotti vi fossero. Onde per lo camino tutti i paesani correvano a lo insolito spettacolo, per veder quelle fere che mai vedute non avevano. Communemente tutte le cose nuove generano ammirazione, e da tutti, o belle o brutte che siano, sono volentieri vedute; il perché erano astretti i conduttori quasi a forza, in ogni luogo per dove passavano, fermarsi, perciò che ciascuno aveva piacer grandissimo di veder quelle bestie. Pervennero a la fine in Boemia e, fermatisi in una cittá, concorreva tutto il popolo a gara a veder gli insoliti animali. Era in quella cittá una gentildonna, la quale avevasi allevato uno di questi cagnolini piccioli, assai bello e piacevole, il quale le era fuor di modo caro, e quasi pel continovo se lo portava in braccio. Avvenne che una sua donzella, udita la fama di questi animali, e veggendo ciascuno correr a vedergli, anco ella di brigata con altre persone vi corse. Aveva ella alora per sorte il cagnolino in braccio, il che veggendo, la madonna cominciò a garrirla e dirle che lasciasse il cane in casa, e che guai a lei se male gli interveniva. La giovanetta, accesa dal desio di veder quegli animali, se n’andò di lungo col cane in braccio. Come ella fu ove era un lione, o che piena d’ammirazione fosse e quasi fuor di sé, o che che se ne fosse cagione, il cane le uscí de le braccia e corse ne le branche del lione, il quale, presolo, lo teneva e non gli faceva mal alcuno. La sbigottita giovane credette di morir di doglia, e ricordandosi de le minaccie de la padrona che sapeva amar sommamente il cane, e dubitando non esser da lei fieramente battuta, senza piú starvi a pensar su, fatta per disperazion sicura, intrepidamente, con stupore di chiunque la vide, s’appressò al lione e fuor degli unghioni gli levò il cagnolino. Il lione né piú né meno si mosse contra la giovanetta, come averia fatto una semplice pecora; il che diede assai che dire a tutti, e molti ci furono che lo attribuirono a la verginitá de la giovane e a la natural clemenza del lione. A me basta d’aver narrata la cosa come fu. Voi mò investigate la cagione di questa mansuetudine.
Il Bandello al vertuoso messer
Marcantonio Cavazza salute
Io mi credeva dopo il ritorno vostro da Roma che voi deveste venir a star qui con noi alquanti dí a ricrearvi un poco, e narrarci del modo che in mare capitaste in mano di quei corsari, e come poi cosí tosto ne foste liberato; ché, in vero, voi avete avuto una bellissima grazia ad esser uscito fuor de le mani di quegli infedeli. Del che con voi mi rallegro con tutto il core, dandovi per conseglio che un’altra volta vi guardate d’incappar in cosí mali spiriti, che non basterá né acqua santa, né vi varrá il segno de la croce a uscirne fuori. Noi abbiamo fatto un carnevale, secondo l’usanza nostra, assai piacevole in questo nostro luogo di Bassens. Qui capitò, giá molti dí sono, messer Filippo Baldo, che veniva di Fiandra per passar in Ispagna, e con noi ha riposato questo verno. Egli è il padre vero de le novelle e sempre n’ha pieno un carnero; e tra molte altre che narrate ci ha, ne narrò una nel giardino, che ci fece molto ridere, la quale io scrissi. Sovvenendomi poi di voi che io desiderava che foste qui, poi che venuto non sète, ho voluto che questa novella sotto il vostro nome con l’altre sue sorelle s’accompagni, a ciò che veggiate, se bene da voi son lontano, che nondimeno di voi e de la cortesia vostra tengo quella memoria che l’amore, che sempre mostrato m’avete, ricerca, e che punto di voi non mi scordo. Cosí potessi io con altra dimostrazione farvi conoscere quanto ch’io v’ami e desideri di farvi cosa grata, a ciò che voi poteste pienamente conoscer l’animo mio! Ma chi fa ciò che può adempie la legge. State sano e non vi scordate far le mie umili raccomandazioni a l’illustrissimo e reverendissimo monsignore, commune padrone.