Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella IV

Seconda parte
Novella IV

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Fra Francesco veneziano ama una donna


che in un altro s’innamora e vuol far ammazzar il frate,


il quale ammazza il rivale e la donna lascia per morta.


Venne, non sono ancora dieci anni, a Vinegia un povero compagno candiotto, il quale di sua moglie aveva una bellissima figliuola senza piú, che si chiamava Cassandra, la quale era di sedeci in dicesette anni, tanto avvenente ed accorta che dir piú non si potrebbe. Il padre non la maritava per non aver il modo; e la madre di lei che era greca e fuggiva volentieri il disagio, cominciò ad ammaestrarla e prestarla a nolo a chi piú danari le dava e con le fatiche di quella vivevano assai agiatamente. Ora avvenne che non essendo ancora compíto l’anno che il candiotto era in Vinegia, un frate di san Domenico conventuale che stava fuor de l’ordine, essendo maestro di grammatica dei nepoti del serenissimo prencipe il signor Andrea Griti duce di Vinegia, vide Cassandra, e parendogli la piú bella giovane che mai veduta avesse, deliberò far ogni cosa per averla in suo potere. Egli aveva grossa provigione dal duce ed anco onesta entrata del patrimonio, non avendo se non un nipote, figliuolo d’un suo fratello che giá era morto; ed egli governava il tutto. Investigato adunque chi fosse il padre de la veduta fanciulla, seco e con la madre di lei lungamente parlò, e conoscendogli poveri promise loro di mantenergli di tutto quello che bisogna, mentre gli dessero la figliola ed avessero cura che gli altri non la potesse godere. Il padre e la madre che forse mille volte avevano venduta la figliuola e con quel guadagno s’erano mantenuti, pattuirono col frate tutto ciò ch’egli volle, e la notte seguente per pulcella gliela posero a lato. Ella seppe sí bene quella notte macinare, e tante carezze fece al nuovo amante, che egli sí fattamente se n’innamorò che senza quella viver non poteva; il perché ordinariamente seco ogni notte si giaceva. Il padre e la madre che dal frate traevano gran profitto, essortavano la figliuola a fargli carezze e saperlo intertenere. Cassandra lo faceva volentieri, sí perché il frate le scoteva gagliardamente il pelliccione ed altresí perché oggi una cosa e dimane un’altra ne cavava. Egli la mise in ordine molto bene di vestimenti e le apparò una camera con spalliere assai belle ed altri ornamenti, e le trovò una fanticella che la serviva. Era il frate grande de la persona e di viso delicato, ed essendo senza fine de la giovane innamorato e quasi mai da lei non partendo, se ne viveva molto allegramente e a la casa non lasciava mancar cosa alcuna. Da l’altra banda Cassandra da ogn’altra pratica distolta, attendeva al suo frate facendogli ogni dí piú carezze. Ma la fortuna che di raro può sofferire di lasciar una persona in prosperitá, recò nuovo impedimento al piacer de l’amante. Aveva veduto un giovine gentiluomo veneziano un dí Cassandra che era a la finestra, e giudicando quella essere bellissima, fece domandare chi ella fosse, e del tutto certificato, si propose far ogni cosa per acquistar la grazia de la giovane. Onde mandò a chiamar il padre di Cassandra e dettogli di molte buone parole e promessogli di fargli aver certo ufficio che gli darebbe fin che vivesse da vivere, il pregò affettuosissimamente che volesse fare che egli potesse giacersi con la figliuola, e che le provederia assai piú largamente che non faceva il frate. Parlò anco con la madre, e tanto disse e tante proferte fece che ella promise far ogni cosa a ciò che la figliuola lasciasse il frate. Devete sapere che in Vinegia i gentiluomini son senza fine rispettati, ed un popolare quantunque sia ricchissimo, a paro d’un gentiluomo non è da metter in conto alcuno, perciò che il corpo de la Signoria non si fa se non di gentiluomini, e tutti gli ufficii cosí di Terraferma come de l’isola si dánno ordinariamente a loro; i quali quando vanno fuori per pretori, capitani, camerlenghi, castellani, proveditori o per altro magistrato, conducono seco qualche povero compagno e se lo faranno far contestabile di qualche porta de la cittá, provigionato in castello e simili ufficetti. Il candiotto sperando d’aver in vita una di queste provigioni, cominciò, – ed altro tanto fece la madre, – a persuader a la figliuola che volesse con qualche bel modo distorsi da la pratica del frate, perciò che v’era un gentiluomo di Vinegia, giovine e molto ricco, che le voleva tutto il suo bene. Cassandra che gran desiderio aveva di cangiar pasto, rispose loro che farebbe tutto ciò che volessero. La fante che sentí questa pratica, per meglio a la giornata intender come il fatto anderebbe, mostrò anch’ella di dire che era ben fatto e che dal frate poco piú si poteva sperare; di modo che da lei in conto alcuno non si guardavano. Ella il tutto al frate, che in quei dí era alquanto infermo, disse; il che egli intendendo, la ringraziò pur assai, ed empitele le mani di moneta, la pregò a star avvista e che non perderebbe le sue fatiche avvisandolo del tutto. Il male del frate, che non usciva di casa, fu cagione che il gentiluomo alcune notti si giacque con Cassandra, ed anco v’andò di giorno parecchie volte, ed altro da lei non ricercava se non che per l’avvenire ella desse licenza al frate. Ella promise di trovar occasione di far questo. Ora essendo frate Francesco, – ché cosí egli aveva nome, – sanato del suo male, di primo volo uscendo di casa andò a trovar Cassandra, ed ancor che sapesse tutto ciò che ella fatto aveva, non ne fece dimostrazione alcuna e seco amorosamente una volta prendendo piacere, a casa poi se ne ritornò. Il veneziano che ciò seppe, entrò in gelosia che il frate, avendo ripresa la possessione dei suoi beni antichi, non perseverasse in mantenerla come prima; onde deliberò, consigliatosi con un suo compagno, d’ammazzar esso frate e levarsi questo sospetto dinanzi agli occhi. E per meglio coglierlo a la rete, aprí il suo concetto a Cassandra, volendo che ella il tenesse seco una notte, e quando dormiva ammazzarlo. Cassandra disse di farlo, ma che egli bene avvertisse che il frate chiavava le porte e teneva le chiavi sotto il capezzale. – Per questo non si resterá, – disse il veneziano, – io verrò per la finestra de la camera che risponde verso la via, la quale tu non fermerai. – La fante intese il tutto e n’avvisò fra Francesco, il quale sentendo che Cassandra consentiva a la morte di lui, rivoltò il fervente amore in crudel odio e deliberò prenderne fiera vendetta. Provisto adunque a le cose sue e di suo nipote, andò a trovar Cassandra e le disse come la seguente notte voleva seco giacersi; di che ella si mostrò contenta ed al veneziano lo fe’ sapere, avvisandolo che venisse di due ore innanzi dí, perché in quell’ora il frate soleva dormire. Andò fra Francesco armato con uno spiedo, e fattosi menar da una gondola per canale, entrò in casa tra le quattro e cinque ore di notte. Egli con la Cassandra prese quel piacere che volle, avendo sempre l’occhio a la finestra. Come gli parve che fosse l’ora che il veneziano devesse venire, egli si levò ed armossi. Cassandra sentendo questo, gli disse: – Oimè, perché volete voi ora partirvi? voi non ci avete dormito giá è piú di un mese, e volete andarvene? Io veggio bene che non mi amate. – Sta cheta, – disse il frate, – e non parlare se non vuoi ch’io ti rompa il capo. Dormi e non mi dar noia. – Ella che ancora dormito non aveva e che sentí che fra Francesco cosí armato si corcò, vinta dal sonno e stracca dal macinare s’addormentò. Come il frate la sentí dormire, chetamente si levò e preso lo spiedo si mise a rimpetto del balcone. Venne il veneziano col compagno ed una scala, e giunti a la casa, l’amante salí a la finestra quanto piú puoté senza far strepito. Stette un poco fermo al balcone a spiare se niente sentiva, e nulla sentendo, fece dopo sé su la scala salir il compagno e soavemente aprí la finestra. Fra Francesco che stava in guisa di gatta che al buco se ne stia per gremir il topo, come vide il balcone aperto e giá il giovine su quello, con due mani gagliardissimamente gli tirò un colpo di spiedo e colselo diritto ne la gola sotto il mento e passollo di banda in banda dietro ne la coppa. Cadette il misero giovine morto sovra il compagno e quello seco a terra fe’ cadere, che si ruppe sovra il mattonato de la callisella una coscia. Fra Francesco sentito i nemici esser a terra rovinati, al letto s’accostò ove ancora Cassandra dormiva, e con un rasoio che recato aveva, le tagliò via il naso, e poi le fece un lavoro a la moresca col rasoio sul volto, e lei gridante mercé mezza morta e difformata lasciò. Uscito poi di camera, di casa si partí, e quella notte medesima di Vinegia, lasciando i nemici suoi chi morto ed altri peggio che morti. E questi, signori miei, sono dei guadagni che si fanno amando simili donne. E questa povera Cassandra per le ricevute ferite in tre giorni se ne morí.


Il Bandello al magnifico


messer Giovangiacomo Calandra salute


Essendosi questa state, per fuggir gli intensi caldi che in Mantova a sí fatta stagione per lo stagnar de l’acque si sentono, la gloriosa eroina nostra commune padrona, la signora Isabella da Este marchesa di Mantova, ritratta ne la ròcca de la Cavriana ove suole la state esser la stanza fredda non che fresca, ed ivi diportandosi come è suo costume, ora leggendo, ora disputando, ora sentendo dolcissimi musici cantar e sonare, ed ora altri piacevoli ed onesti giuochi facendo, il nobilissimo ed in ogni sorte di lettere dottissimo, il nostro messer Paris Ceresaro un giorno vi si ritrovò, ed a la presenza di tutti narrò un pietoso e fiero caso a Roma avvenuto in quei dí; il quale da voi udito, fu cagione che voi componeste e gentilmente ventilaste molte belle questioni amorose e in un libretto in prosa volgare riduceste. Il caso a Roma occorso ho io puntualmente scritto, avendolo due e tre volte dal detto messer Paris sentito narrare. Pensando poi a cui dar lo devessi, voi mi sète occorso a cui meritevolmente si deve, essendo egli stato cagione di farvi sí leggiadra operetta comporre. Ecco adunque che a voi lo mando, sí per quello che ho detto, come anco perché appo voi sia pegno de l’amor che vi porto. State sano.