Idem della Francia

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La vicina Francia specchio ustorio d’ogni idea grande e generosa versa in condizioni tali; condizioni però che formano la gloria ed il giusto orgoglio di quella belligera nazione; che non può checchè si voglia credere in contrario, ritrarsi dall’associare i suoi grandi destini a quelli della completa indipendenza d’Italia. Non puossi in buona fede supporre che pel solo motivo per cui Alcibiade tagliava la coda al suo cane, Napoleone III sia sceso in Italia a combattere lotte gigantesche e sanguinose. Ragion di stato ed altissima ragion di stato lo indusse a sposare la causa d’Italia, per quindi ad un tempo stesso tagliare colla spada il nodo gordiano dei trattati del 1815, distruggere l’influenza austriaca in Italia, umiliando l’orgoglio secolare degli Ausburgo — ora ostili per nuove ed antiche ingiurie ai Napoleonidi, come lo furono sempre alla Francia, — e per crearsi un potente alleato al di qua delle Alpi per le contingenze future.

È mai supponibile che, senza le fortissime ragioni da me accennate, una grande nazione retta da un sovrano dotato d’ingegno e di penetrazione non comune, intraprendesse l’opera grandiosa, col leale ed onesto Vittorio Emanuele, d’emancipare l’Italia dal dominio austriaco, affrontando pur sempre pericoli ed eventualità [p. 33 modifica]che potevano essere fatali? Ora nessuno degli intenti che si proponeva la Francia, a chi ponderi e giudichi con senso retto gli avvenimenti, non fu effettivamente e stabilmente raggiunto; ragione per cui, o la Francia deve lasciar svolgere tutte le conseguenze dell’iniziata sua opera, prestando aiuto, ove occorra, a raggiungere i fini per cui intraprese la guerra italica, o sarà obbligata ad indietreggiare umiliata dalla forza degli avvenimenti; e ciò sarebbe con scapito solenne della propria dignità. Conciossiachè il fermarsi a mezzo cammino in opere di tal natura rendasi impossibile, e sia anzi un porgere il destro al nemico sconfitto per animarlo a prendere la rivincita.

Nelle insorte questioni fra lo Sthatolder e gli Stati (parlamento) d’Olanda nel 1786, la Francia prese partito pei liberali, confortandoli e consigliandoli alla resistenza e promettendo loro che non sarebbero abbandonati dall’alleanza francese. La moglie dello Sthatolder, sorella del re di Prussia, donna ardita ed orgogliosa, come lo furono poscia fra noi le Caroline d’Austria, con sottili arti condusse la bisogna in guisa tale, che un esercito prussiano marciò contro l’Olanda per farle subire le prepotenze dello Sthatolder; e tutto ciò sotto gli occhi della Francia che indietreggiava muta e neghittosa. In quell’occasione l’Imperatore Giuseppe II d’Austria disse «La France vient de tomber: je doute qu’elle se relève» profetiche parole che preludevano alla grande rivoluzione dell’17891. Gli Italiani facciano ora un confronto, e pensino se sia attendibile [p. 34 modifica]dopo non solo tante promesse e tanti conforti, ma dopo un intervento armato in nostro favore, che la Francia imperiale indietreggi muta e neghittosa in faccia allo svolgimento del gran dramma da essa presso noi iniziato, coll’esempio storico di quanto le accadde nell’emergente olandese, di gran lunga meno importante dell’ardente questione italiana?

Le correnti attive e negative che si succedono nella politica di quel governo conviene spiegarle colle difficoltà di ogni genere contro cui deve lottare nello sviluppo della sua grande ed intelligente politica. Relativamente all’indipendenza, l’opinione pubblica in Francia ci è favorevole, non così però riguardo alla formazione di una forte potenza in Italia; e ciò per antichi pregiudizi ed inconsulte gelosie. Avvegnachè tutto abbia da guadagnare la Francia nella ricostituzione di un’Italia forte, rispettabile e rispettata, locchè non potrebbe mai aver luogo per mezzo di una federazione di molti piccoli Stati. L’Italia sarà sempre per indole, per costumi, per affetto, per interesse e per gratitudine la naturale alleata della Francia, e la geodetica costituzione politica di Europa accenna a rendere per dei secoli non solo utile, ma necessaria codesta alleanza. Il governo francese va a rilento, ma mira imperterrito, a mio avviso, al suo scopo senza lasciarsi rimorchiare dalle passioni e dalle tradizioni del passato, anche per ciò che ha tratto all’agitazione ultra cattolica. Per non illuderci teniamoci però sempre sull’avvertita a cagione precipuamente dell’instabilità negli ordini governativi e civili, che è carattere distintivo, ricordato persino da Annibale e da Cesare, di quella potentissima ed eroica nazione. [p. 35 modifica]

Identifichiamo facendoci forti il più possibile, per quanto sta in noi i suoi interessi coi nostri, e l’avremo più facilmente con noi nella buona e nell’avversa fortuna; giacchè, più deliberatamente e tenacemente essa sarà nostra alleata, più noi saremo forti, e meno bisognevoli della sua materiale assistenza! «Meglio è riposare, scrisse il nostro Romagnosi, su i taciti vincoli di fatto indotti dall’interesse, che sulle espresse convenzioni tessute colle parole. Naturale alleato sarà sempre colui che avrà uno stesso interesse con voi. Egli dunque cercherà da se stesso la vostra amicizia; e però la lega divenendo libera, sarà leale, fervida e solida.

Non abbiate mai la dabbenaggine di contare sulla generosità d’un altro popolo, o di un altro governo, ma contate soltanto sul bisogno ch’egli ha di voi... e fatto fondamento sulla massima di rispettare e farsi rispettare!»2

Note

  1. Flassau, Storia della diplomazia francese, tomo VI, pagina 407, 416.
  2. Romagnosi, Teoria delle costituzioni, parte II, § 25.