Mentr'umile m'inchino al tuo gran Nume

Fulvio Testi

XVII secolo Indice:Opere (Testi).djvu Letteratura Mentr’umile m’inchino al tuo gran Nume Intestazione 29 maggio 2023 75% Da definire

Non per legar con musiche catene Ronchi, tu forse a piè de l'Aventino
Questo testo fa parte della raccolta Poesie liriche di Fulvio Testi - Parte prima
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al signor conte

GIO. BATTISTA RONCHI

Che l’invidia non dee temersi, e che la poesia
è sollevamento dell’avverse fortune
.

Mentr’umile m’inchino al tuo gran Nume,
     O Febo, e di devoti
     Incensi io spargo il riverito altare,
     De l’innocente cor le non avare
     5Preghiere e i casti voti
     Seconda tu con fortunato lume:
     Ben sai, che non presume
     L’alma gran cose, e che fra sè contenta
     Mentre poco desia nulla paventa.
10Temerario nocchier che da l’Ispane
     Rive sciogliendo i lini
     Prende a solcar i procellosi umori,
     E vago di mercar gemme e tesori
     Ne gl’Indici confini
     15Fida l’anima audace a l’onde insane,
     Chieda a Nettun che spiane
     L’atre tempeste; e perchè Borea leghi
     Porga a l’Eolio re sordidi preghi.
E chi servo si fe’ di regia corte
     20Prodigo di sè stesso,
     E non ha cor che libertate apprezze,
     Chiedendo i vani onori e le grandezze
     Ond’ei rimanga oppresso
     Vittime ambiziose offra a la Sorte.
     25Che prò? Gelida morte
     Tutti n’agguaglia; e d’Acheronte al guado
     Nulla giovano altrui ricchezza o grado.
Deh dammi tu o luminoso arciero
     Dolce snodar il canto,
     30Dolce accoppiar a l’aurea cetra il plettro;
     Quella sia ’l mio tesor, questo il mio scettro:
     Pur che d’Aonio vanto
     Sia celebre il mio nome altro non chero:
     Spiegar fors’anche i’ spero
     35Dietro la scorta del Cantor Tebano
     Per l’italico ciel volo sovrano.
Io so che di mortal veleno infette
     Invidia arrota l’armi,
     E che m’assale insidïosa a tergo:
     40Ma se Virtù d’adamantino usbergo
     Mi cigne, e che può farmi
     Importuno livor con sue saette?
     Faran le mie vendette
     Gli strali istessi; e l’innocenza illesa
     45Rilancierà ne l’offensor l’offesa.
Qual volge atro scorpion, se fiamma il chiude,
     La coda a’ propri danni,
     Tal invidia a sè stessa è rio tormento.
     Nè mai di Siracusa o d’Agrigento
     50Inventaro i tiranni
     Per affligger altrui pene più crude;
     Nè la Stigia palude
     Ha sì grave martír, che vie maggiore
     Nol provi ognora invidïando un core.
55Rota eterna Isione in giro mena,
     E con fatiche estreme
     Sisifo innalza il sasso, ed ei pur scende:
     Tantalo a i pomi, a l’acque i labbri stende.
     Ma deluso in sua speme
     60Sol morde l’aria e beve l’arsa arena.
     Pur questa è lieve pena:
     Sol può forse di Tizio il duro scempio
     Esser d’invido affetto ombra ed esempio.
Ei di ferree catene avvinto giace,
     65E la gran valle inferna
     Col busto altier tutta ingombrar rassembra.
     Stillan sanguigni umor l’aperte membra;
     Mentre ne la più interna
     Parte palpita il cor troppo vivace:
     70Quivi il rostro vorace
     Immerge avidamente augello infame,
     Ch’ha in eterna pastura eterna fame.
De le viscere appena ci resta privo,
     Che con novi natali
     75Nel lacerato sen germoglia altr’esca.

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     Non piange ei no; stupisce sol che cresca
     La materia a’ suoi mali,
     E dopo tante morti ancor sia vivo:
     Del suo cor redivivo
     80Odia i risarcimenti; e sì molesta
     Fecondità di duolo invan detesta.
Ronchi, deh tu che fuor del vulgo ignaro
     Con generose piante
     Stampi le vie di Pindo al ciel vicine,
     85Di sacra fronda incoronato il crine
     A l’ebano sonante
     Marita il plettro, e qui cantiamo al paro.
     Tinte di tosco amaro
     Le livide pupille Invidia rote,
     90Che nostre glorie affascinar non puote.
E se Fortuna rea ch’a l’opre belle
     Sempre crudel s’oppose
     Voterà contro noi l’empia faretra,
     Sia de l’inerme sen scudo la cetra;
     95Forze maravigliose
     A un armonico suon dieder le stelle.
     Fra l’Ionie procelle
     Qual corresse Arion mortal periglio
     Ascolta, e di stupor inarca il ciglio.
100Carco d’argento e d’ôr, degna mercede
     De le musiche corde,
     Mentre lieto ei sen torna al greco lito,
     Da’ suoi tesori e da i nocchier tradito
     Ne le tempeste ingorde
     105Già la morte vicina aver si vede:
     Quindi supplice chiede
     Tanto spazio al morir ch’almen si doglia,
     E ’l canto estremo in insu la cetra ei scioglia.
Con la maestra man scorrendo allora,
     110Varia ma dolce via
     Temprò d’acuto suon le fila aurate;
     E qual fa risonar le rive amate
     Di flebile armonia
     Bel cigno in sul Meandro anzi che mora,
     115Tal ei da l’alta prora
     Volto agli Dei del mar sciolse i concenti,
     E tacquer l’oude e si fermaro i venti.
Poichè ’l mondo, dicea, più fè non serba,
     Ne più giustizia ha ’l cielo,
     120Che sicuro il peccar concede a’ rei,
     Deh! voi del salso regno umidi Dei
     Mova a pietoso zelo
     L’empio rigor de la mia sorte acerba.
     Dunque troncar in erba
     125Dovrà morte sì cruda il viver mio?
     Misero in che peccai? Che mal fec’io?
Io nè del sangue altrui la terra aspersi,
     Nè gli altari spogliai,
     Profano involator de’ sacri fregi:
     130Sol con plettro innocente avanti a i regi
     Dolce lira temprai,
     E degne lodi a le grand’alme offersi;
     Sol celebrai co’ versi
     D’Amor la face e le saette acute:
     135Ma se questo è peccar, qual è virtute?
Numi del mar, cortesi Numi ah! voi
     Abbonacciate l’onda,
     E mi porgete a sì grand’uopo aita;
     Che se vostra mercè rimango in vita,
     140Farò su l’erma sponda
     Ander più d’un’altar d’odori coi.
     Tai far gli accenti suoi;
     Qui fermò i plettro, e nel ceruleo smalto
     Con intrepido cor balzò d’un salto.
145Ma pietoso delfin, che già l’aspetta
     In mezzo a l’acque, il dorso
     Volontario suppone a si bel peso;
     Nè si veloce mai da l’arco leso
     Fugge stral, come il corso
     150Lo squamoso destrier per l’acque affretta;
     Con la salma diletta
     Alle spiagge d’Acaia al fin perviene,
     E la depone in su l’amiche arene.