Noi arditi/Noi teppisti

Noi teppisti

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Noi teppisti.

Siccome il nostro maschio temperamento non ha potuto mai tollerare le prepotenze, gl’imbrogli, i raggiri e i divieti fessi — siccome qualcuno di noi, trovandosi di fronte a qualche ladro truffatore trincerato dietro le leggi, ha risolto la questione con due o tre schiaffi decisivi — siccome in occasioni in cui tutti restavano neutrali, abbiamo osato intervenire con l’energia che ci distingue — noi abbiamo oggi la fama di «teppisti»: tanto che questo nome e il nostro sono divenuti sinonimi.

Se dicessi che mi sento profondamente addolorato ed offeso per questa calunnia, mentirei spudoratamente. Visto da che parte viene l’ingiuria, si può ben sputarci sopra, e rispondere:

— Meglio teppisti che vigliacchi e rammolliti!

Difatti l’accusa è lanciata unicamente da queste due nobili categorie di persone: disgraziatamente è poi raccolta e divulgata in buona fede anche da qualche neutronesto cittadino che ha fretta e non sa. Ma l’ignoranza, in certi casi, è colpa altrettanto grave della malafede. [p. 60 modifica]Perchè ripetere da pappagalli ciò che si sente dire qua e là e non si ha il modo di controllare?

Il nostro teppismo, sappiatelo, signori italiani, non è mai stato altro che un eccesso di generosità, poichè esso ha sempre colpito l'ingiustizia, la soperchieria, la frode e il tradimento; si è sempre battuto per il debole contro il forte; ha sempre difeso le nobili cause e gli esseri perseguitati. Le donne e i ragazzi lo sanno. Domandatelo nei paesetti del Veneto dove avevan sede i nostri battaglioni. Vi diranno — le donne e i ragazzi — quanta simpatia, quanto affiatamento, quanto amore scambievole ci fosse con noi: vi diranno quanta polenta esse ci hanno offerta, condita col loro sorriso più dolce, e quante serate noi abbiamo passato nelle loro case ospitali, ballando e cantando con sincerissima allegria.

A una schietta contadina del bassanese, una volta io chiesi:

— Le piacciono gli Arditi, signorina?

Ed ella, con occhi ammirati: — Ma sì, sior. I xe tuti bei e tuti boni; e po’, i va a morir cantando, poeri fioi!

Dopo di che non mi venite a parlare di pollai saccheggiati, di alberi decimati di focolari devastati. Sono cose che succedono in guerra, [p. 61 modifica]e gli Arditi non ne hanno mai tenuto il monopolio: a quanti cavalleggeri ed automobilisti non si può rimproverare altrettanto, se non peggio?

Teppisti perchè a qualcuno di noi è sfuggita, fuor di tempo e di luogo, una pugnalata? Ma costui l’avrebbe tirata anche senza essere Ardito: e chi può dirmi quanta parte vi abbia avuto la sua intenzione e quanta la provocazione altrui?

Teppisti perchè talvolta ci siamo ribellati ai carabinieri? Ma la cosa ha un’origine umoristica. Sentite. Un giorno un camion di Arditi correva velocemente verso le prime linee, quando, vedendo a distanza dei carabinieri, quattro Arditi si misero d’accordo, e, nel passare davanti ad essi, due di essi puntarono contro di loro il moschetto, ed altri due, non visti, spararono in aria. La beffa riuscì così bene, che i carabinieri, vedendosi mirati e sentendo i due colpi, rotolarono a terra con la convinzione di essere feriti. Ma, soccorsi dai compagni, ed esaminatisi, si accorsero di essere perfettamente incolumi. Gli Arditi, dal camion, ridevano pazzamente.

Da quel momento, carabiniere e ardito furono antagonisti, e ci furono persecuzioni e rappresaglie da una parte e dall’altra. Ma quanti [p. 62 modifica]fanti, maltrattati e umiliati dai prepotentissimi «caproni» non ci hanno ringraziati? Essi che, poveri diavoli, non hanno mai potuto reagire se non con qualche innocente motteggio, vedevano in noi dei vendicatori, e ci consumavano un po’ come i loro fratelli maggiori.

Poi, anche questa lotta, che non tornava certo a vantaggio dell’Italia, si è andata a poco a poco spegnendo. In ultimo, si è visto persino, in Dalmazia, qualche Ardito far la pattuglia coi carabinieri, per spazzar via le carogne jugoslave!

L’Ardito, in qualunque circostanza, per qualunque lotta, per qualunque servizio dove ci sia da osare, è ricercato come una merce rara, come un elemento prezioso. Quando si ha bisogno di lui, tutti lo adulano, lo accarezzano, lo esaltano. La sua presenza è di conforto e di gioia, egli sa portare il calore del suo coraggio e l’ottimismo del suo largo sorriso di forte negli ambienti più gelidi e più tristi, nei cuori più timidi e incerti.

Egli ha perfino il dono di render forte e sano ciò che tocca, e di render generoso chi non lo è. Un giorno dell’estate scorsa, un Ardito venne a Roma in licenza-premio. Corre a casa e trova sua madre in lagrime perchè il padrone di casa, che avanzava parecchi arretrati, le aveva [p. 63 modifica]dato lo sfratto. L’Ardito va dal padrone di casa. Gli avrebbe potuto — egli, il teppista! — far delle minacce, costringerlo a ritirare lo sfratto. No. L’Ardito estrae la sua licenza-premio, ne legge la motivazione al burbero padrone di casa, e gli dice:

— Avresti tu il cuore di gettare sulla strada la madre di un Ardito?

Il padrone di casa aveva qualche lacrima al ciglio, e la madre dell’Ardito rimase nella sua casa.