Nicarete ovvero La festa degli Alòi/Nota a pagina 41
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Nota a pagina 41:
GLI ALÒI.
Il gentile e valente traduttore francese del Cantico dei Cantici, e della Nicarete, il signor P. Saturnin, direttore della Revue Italienne di San Remo, nello inviarmi la sua elegante traduzione di questa mia commediola, mi scrive:
«J’ai omis la traduction du mot Alói, aucun de nos hellenistes n’ayant pu me traduire ce mot que je n’ai trouvé ni dans les dictionnaires ordinaires ni dans The Dictionnary of greek and Roman antiquities de A. Rich que j’ai consultés. Ceci pour prouver simplement, hélas, que le niveau litteraire de vos lecteurs n’est pas toujours où vous le supposez...»
Ringrazio del frizzo gentile: e non ritenendo i miei lettori obbligati, in tempi di verismo, a dar la misura del livello letterario col far degli studî sulle feste di Cerere, soddisfo senz’altro la curiosità dell’amico.
Le feste degli Aloi sono la medesima cosa che le feste Talisie (θαλύσια, franc. Thalisies) descritteci da Teocrito nel VII de’ suoi Idillj e celebrantisi in Grecia e in Sicilia al raccolto delle frutta e alla vendemmia, in onore di Cerere e di Bacco. Le donne vi dedicavano in città speciali riti e riunioni gaje fra di loro, come vediam da Alcifrone; gli uomini alla campagna le festeggiavano assaggiando il vin nuovo e pigliandosi spasso su per le aje.
Luciano nomina gli Aloi nei dialoghi delle Meretrici: «E tu dunque, figlia mia, rimarrai priva d’amanti e casta, come se fossi non già una cortigiana, ma una sacerdotessa di Cerere legislatrice. Appunto oggi è la festa degli Aloi (σήμερου Αλώαέστί - sunt Arealia hodie): che cosa t’ha regalato Cherea per la festa?» Dial. Meret., VII.
Al quale passo lo Scoliaste di Luciano spiega:
«Gli Aloi sono una festa in Atene abbracciante i misteri di Cerere e di Proserpina e di Bacco, che avea luogo per la incisione delle viti, e l’assaggio del vino e degli altri frutti. Filicoro dice che così denominavansi perchè gli uomini si spassavano sulle aje (αλως significa aja).
Insomma qualche cosa di molto simile alle moderne ottobrate nella campagna romana.
Nelle lettere di Alcifrone, la meretrice Taide scrive a Tessala: «Correvano le feste degli Aloi e tutte le compagne erano alla veglia, che così toccava, in casa mia. Eusippe vi palesò il suo maltalento cominciando a ghignare e dir facezie con quell’altra; poi a cantar canzonette intorno a colui che non è più mio; poi pungendomi di frizzi per il belletto e l’unguento d’ acanto; lei che non ha nemmeno uno specchio, chè se si accorgesse del colore di sandracca del suo viso, non parlerebbe della bruttezza del mio...» — Alcifr. I, lett. 33.
E Menandro alla sua cara Glicera:
«Ora ch’io sto al Pireo mal disposto di salute (tu già non ignori i miei ordinarj acciacchi) scrivo a te che abiti in città a cagion degli Aloi della Dea...» E più oltre: «Deh ch’io possa coronarmi sempre coll’edera dell’Attica: passi pure Filemone in Egitto, egli che non ha alcuna Glicera... Tu frattanto, mia Gliceruccia, terminati gli Aloi, vola, ti prego, a me sul dorso di qualche mula da soma.» — Alcifr. II, lett. 3.
E poi vedi degli Aloi ossia delle Talisie la leggiadra pittura in Teocrito:
«Già fu che verso Alente Eucrito ed io
Dalla città partimmo, e a noi compagno
S’aggiunse Aminta. A Cerer le Talisie
Celebravan Frasidamo e Antigène...
A mezza via scontriam Licida, caro
Alle Muse; e mi dice: — Or sul meriggio
Dove ne vai, mentre il ramarro dorme
Entro alle siepi e neppur vanno attorno
Le sepolcrali allodole? Sei forse
Chiamato in fretta a un pasto: o calchi il torchio
Di qualche cittadin? — Caro Licìda,
Infra i pastori e i mietitor sovrano
Suonator di zampogna, alle Talisie
Noi si va per di qui: poichè d’amici
Una lieta brigata oggi prepara
Di sue ricche primizie un bel convito
Alla velata Cerere che a loro
Con larga mano empiè di messi l’aja...
. . . . . . . . .
Poichè a casa si fu di Frasidámo,
Ivi su letti ben cedenti al basso
Di molle giunco, e pampani ben freschi
Festosi ci adagiammo, e a noi sul capo
Scotean lor rami i folti pioppi e gli olmi.
Lì presso fuor d’una caverna uscia
Mormorando un ruscel sacro alle Ninfe...
Cantavan lodolette e cardellini,
La tortora gemea, scorreano a volo
L’api dorate intorno alle fontane...
Spirava autunno. Largamente ai lati
Ruzzolavan le mele, a i piè le pere,
E curvi i rami di susine carchi
Scendeano a terra. Dalle botti il vino
Del quarto anno spillava...»
Teocr., Le Talisie, Id. VII.