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Nelle lettere di Alcifrone, la meretrice Taide scrive a Tessala: «Correvano le feste degli Aloi e tutte le compagne erano alla veglia, che così toccava, in casa mia. Eusippe vi palesò il suo maltalento cominciando a ghignare e dir facezie con quell’altra; poi a cantar canzonette intorno a colui che non è più mio; poi pungendomi di frizzi per il belletto e l’unguento d’ acanto; lei che non ha nemmeno uno specchio, chè se si accorgesse del colore di sandracca del suo viso, non parlerebbe della bruttezza del mio...» — Alcifr. I, lett. 33.
E Menandro alla sua cara Glicera:
«Ora ch’io sto al Pireo mal disposto di salute (tu già non ignori i miei ordinarj acciacchi) scrivo a te che abiti in città a cagion degli Aloi della Dea...» E più oltre: «Deh ch’io possa coronarmi sempre coll’edera dell’Attica: passi pure Filemone in Egitto, egli che non ha alcuna Glicera... Tu frattanto, mia Gliceruccia, terminati gli Aloi, vola, ti prego, a me sul dorso di qualche mula da soma.» — Alcifr. II, lett. 3.
E poi vedi degli Aloi ossia delle Talisie la leggiadra pittura in Teocrito:
«Già fu che verso Alente Eucrito ed io
Dalla città partimmo, e a noi compagno
S’aggiunse Aminta. A Cerer le Talisie
Celebravan Frasidamo e Antigène...
A mezza via scontriam Licida, caro
Alle Muse; e mi dice: — Or sul meriggio
Dove ne vai, mentre il ramarro dorme
Entro alle siepi e neppur vanno attorno
Le sepolcrali allodole? Sei forse
Chiamato in fretta a un pasto: o calchi il torchio
Di qualche cittadin? — Caro Licìda,
Infra i pastori e i mietitor sovrano
Suonator di zampogna, alle Talisie
Noi si va per di qui: poichè d’amici
Una lieta brigata oggi prepara
Di sue ricche primizie un bel convito
Alla velata Cerere che a loro
Con larga mano empiè di messi l’aja...
. . . . . . . . .
Poichè a casa si fu di Frasidámo,
Ivi su letti ben cedenti al basso
Di molle giunco, e pampani ben freschi
Festosi ci adagiammo, e a noi sul capo