Muse, che Pindo ed Elicona insano
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XIII
PER S. LUCIA.
Muse, che Pindo ed Elicona insano
A scherno vi prendete,
E lungo il bel Giordano
Aurei cerchi tessete,
5Giordan, che in suo sentiero
Il Tebro accusa, e ’l neghittoso Ibero:
Gigli, che all’Alba, e per le valli ascose
Più candidi fioriro;
Candidissime rose
10Oggi da voi desiro,
Per far sacro monile
Di Siracusa all’Ermellin gentile.
Oh se mie vere lodi, oh se miei prieghi
Poggino al cielo ardenti,
15Sicchè benigna pieghi
Quaggiù gli occhi lucenti,
E con atti soavi
I miei caduchi rassereni e lavi!
Ma che? s’Ella fra noi già sì cerviera
20A’ suoi fe’ si gran guerra,
Pura Vergine altera,
Vera Fenice in terra,
Alma Aurora de’ cieli,
Per cui non è Titon che si quereli.
25Vago nocchier, che pelago di lodi
Va solcando veloce,
Anzi che lieto approdi,
Può travïar sua foce:
A tale arte s’appiglia
30Chi di fallace onor fa meraviglia.
Qual vanto di Sicilia a’ pregi acquista
Alpe che al ciel si levi,
E verdeggiante in vista
Tra fontane e tra nevi
35Inverso gli alti giri
Or nembo oscuro, or vivo incendio spiri?
È ver che alto boll’Etna, alto fiammeggia
Dal cavernoso fondo,
Onde sovente ombreggia
40A mezzo giorno il mondo;
Ma su tra l’auree stelle
Lingua eterna non v’ha che ne favelle.
Non ciò che in terra i sensi infermi alletta
Anco nel Cielo aggrada;
45Indarno Alfeo s’affretta
Per così cieca strada,
E dentro il mar rinchiusa
Porta sua dolce fiamma ad Aretusa.
La gran piaggia del ciel sempre serena
50D’alme gentil s’infiora;
E di questa terrena
S’invaga e s’innamora,
Quand’Ella fior produce,
Che in lei traslato eternamente luce.
55Ma qual fior tra’ più cari e tra’ più puri
Poi colse il cielo, o pria,
Che in candidezza oscuri
I gigli di Lucia?
Cor mio, spiega le penne,
60E per aura sì dolce alza le antenne.
Ma se di lei, che tutto il ciel consola
Gli ultimi pregi io dico,
Mio dire almen sen vola
Di veritate amico;
65E se qui il mondo mira
L’arte del suo lodar cadragli in ira.
Ch’ei pure a’ sogni ed a menzogne appresso
Turba l’Orto e l’Occaso.
O Pindo, o van Permesso,
70O lusinghier Parnaso,
E lor fonte derisa,
Se in terra occhio di lince unqua l’affisa.
Non di stridula cetra favolosa
Ha Lucia sua mercede,
75Eletta di Dio sposa,
Sì gli riluce al piede;
Ed è posta da Lui
Pur quasi Dea sovra la luce altrui.
Alti trofei delle sue ciglia afflitte
80Stan di Sïonne in cima:
Sue palme eccelse invitte
Giordano alto sublima;
E nell’eterno giorno
Le fa sonar Gerusalemme intorno.