Muse, che Pindo ed Elicona insano

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Canzoni Letteratura Muse, che Pindo ed Elicona insano Intestazione 5 gennaio 2024 75% Da definire

Chi è costui, che avvinto Deh chi viole nate a par col giorno
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni sacre di Gabriello Chiabrera


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XIII

PER S. LUCIA.

Muse, che Pindo ed Elicona insano
     A scherno vi prendete,
     E lungo il bel Giordano
     Aurei cerchi tessete,
     5Giordan, che in suo sentiero
     Il Tebro accusa, e ’l neghittoso Ibero:
Gigli, che all’Alba, e per le valli ascose
     Più candidi fioriro;
     Candidissime rose
     10Oggi da voi desiro,
     Per far sacro monile
     Di Siracusa all’Ermellin gentile.
Oh se mie vere lodi, oh se miei prieghi
     Poggino al cielo ardenti,
     15Sicchè benigna pieghi
     Quaggiù gli occhi lucenti,
     E con atti soavi
     I miei caduchi rassereni e lavi!
Ma che? s’Ella fra noi già sì cerviera
     20A’ suoi fe’ si gran guerra,
     Pura Vergine altera,
     Vera Fenice in terra,
     Alma Aurora de’ cieli,
     Per cui non è Titon che si quereli.
25Vago nocchier, che pelago di lodi
     Va solcando veloce,
     Anzi che lieto approdi,
     Può travïar sua foce:
     A tale arte s’appiglia
     30Chi di fallace onor fa meraviglia.
Qual vanto di Sicilia a’ pregi acquista
     Alpe che al ciel si levi,
     E verdeggiante in vista
     Tra fontane e tra nevi
     35Inverso gli alti giri
     Or nembo oscuro, or vivo incendio spiri?
È ver che alto boll’Etna, alto fiammeggia
     Dal cavernoso fondo,
     Onde sovente ombreggia
     40A mezzo giorno il mondo;
     Ma su tra l’auree stelle
     Lingua eterna non v’ha che ne favelle.
Non ciò che in terra i sensi infermi alletta
     Anco nel Cielo aggrada;
     45Indarno Alfeo s’affretta
     Per così cieca strada,
     E dentro il mar rinchiusa
     Porta sua dolce fiamma ad Aretusa.
La gran piaggia del ciel sempre serena
     50D’alme gentil s’infiora;
     E di questa terrena
     S’invaga e s’innamora,
     Quand’Ella fior produce,
     Che in lei traslato eternamente luce.
55Ma qual fior tra’ più cari e tra’ più puri
     Poi colse il cielo, o pria,
     Che in candidezza oscuri
     I gigli di Lucia?
     Cor mio, spiega le penne,
     60E per aura sì dolce alza le antenne.
Ma se di lei, che tutto il ciel consola
     Gli ultimi pregi io dico,
     Mio dire almen sen vola
     Di veritate amico;
     65E se qui il mondo mira
     L’arte del suo lodar cadragli in ira.
Ch’ei pure a’ sogni ed a menzogne appresso
     Turba l’Orto e l’Occaso.
     O Pindo, o van Permesso,
     70O lusinghier Parnaso,
     E lor fonte derisa,
     Se in terra occhio di lince unqua l’affisa.
Non di stridula cetra favolosa
     Ha Lucia sua mercede,
     75Eletta di Dio sposa,
     Sì gli riluce al piede;
     Ed è posta da Lui
     Pur quasi Dea sovra la luce altrui.
Alti trofei delle sue ciglia afflitte
     80Stan di Sïonne in cima:
     Sue palme eccelse invitte
     Giordano alto sublima;
     E nell’eterno giorno
     Le fa sonar Gerusalemme intorno.