Monete del Piemonte inedite o rare - supplemento/Dogliani
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DOGLIANI.
Una monetina di basso argento venne alcun tempo fa trovata nell’alto Piemonte, la quale scorgesi essere un’imitazione del denaro piccolo battuto in Cuneo da Carlo II d’Angiò conte di Provenza già da me edito1, e che per la forma dei caratteri evidentemente appartiene ai primi anni del decimoquarto secolo.
Quantunque mancante incirca d’un terzo, tuttavia colla parte che ne rimane attorno ad una testina a collo nudo e rivolta a sinistra (T. IV, N° 37), si può distintamente leggere S. D’. SALVCI.. e dall’altro lato con una croce accantonala da quattro anelletti la parola DOLIA SIS.
La leggenda del diritto è quella che deve condurci a spiegare il rovescio. Essa subito si conosce indicare un personaggio del celebre casato dei marchesi di Saluzzo, però nessuno di quelli che ressero tale signoria, che in tal caso non sarebbesi segnato de Salucio o Saluciis come meglio pare doversi leggere, ma bensì secondo tutti sempre usarono Marchio Saluciarum; in conseguenza deve questa moneta spettare a qualche altro individuo però della stessa famiglia.
Avendo adunque riconosciuto che questo pezzo appartiene ad uno dei saluzzesi e che fu battuto in principio del 1300, perciò cercando quali fossero i membri di tal casato viventi in quel tempo, trovai che sul finir del secolo precedente reggeva il marchesato Tommaso I, il quale morì nei 1399 lasciando cinque figli, Manfredo che gli successe, Giovanni, Filippo, Bonifacio e Giorgio. I due ultimi abbracciarono lo stato ecclesiastico, cioè Bonifacio fu protonotario apostolico, e Giorgio arcidiacono della chiesa di Tours in Francia; dei due altri poi Filippo passò in Spagna, vi si ammogliò e fu lo stipite de’ conti di Peralta: Giovanni, rimasto in patria, fu capo d’un nuovo ramo in Piemonte.
Questi, nato, secondo il Muletti2, circa il 1275, fu molto amato c favorito dal padre, che nel suo testamento fatto nel 12943 lasciogli cento marche d’argento oltre l’avergli prima dato in feudo varie terre, e tra esse quella cospicua di Dogliani, come scorgesi dall’atto col quale gli uomini di essa, due mesi appena dopo il decesso del genitore, per volontà e consenso del nuovo marchese gli giurarono fedeltà4.
Prima però di parlare di Giovanni, credo cosa utile di fare conoscere come Dogliani sia pervenuto ai marchesi di Saluzzo. Dirò adunque come la prima volta che trovasi menzione di questa terra poco distante dal Tanaro nelle colline delle Langhe si è in una bolla del 1091 di papa Urbano II, colla quale conferma al priorato di Oulx le donazioni che gli erano state fatte, fra le quali nomina ecclesia Sanctae Mariae in posse Doliane5. Non vi è detto chi ne fosse il donatore, ma siccome quel priorato era sito nella valle superiore di Susa appartenente ai conti di Torino, e che questi ne furono i principali benefattori, è probabilissimo che tale liberalità provenisse da essi, i quali benissimo potevano posseder anche Dogliani, il loro stato estendendosi nell’alto Piemonte e oltre il Tanaro. Una prova che ciò così fosse è che nella guerra suscitatasi alla morte della contessa Adelaide, ultima di quella stirpe, tra i vari pretendenti alla successione di tal pingue eredità fuvvi Bonifacio del Vasto, stipite dei varii marchesi detti aleramici, il quale impossessatosi del contado di Bredulo, nel quale la nostra terra era compresa, tolse la detta chiesa di Santa Maria al priorato d’Oulx, perchè rimasto nella parte tenuta dal suo competitore Umberto II conte di Savoia, per donarla alla prepositura di S. Pietro di Ferrania da esso fondata. Nella divisione poi della sua eredità fattasi l’anno 1143 tra i varii suoi figliuoli, toccò quella terra ad Ugo marchese di Clavesana, ma mancato esso senza eredi, quanto lasciò venne diviso tra gli altri discendenti dal sopraddetto Bonifacio, e Dogliani con altre terre passò ai marchesi di Busca suoi nipoti, che furono Manfredo e Berengario, dai quali fu dato in pegno nel 1187 per 1150 genovini d’oro a Manfredo marchese di Saluzzo loro parente6, e indi nel 1196 venduto a Bonifacio marchese di Monferrato, il cui figliuolo Guglielmo per L. 1500 di bologninì nel 1221 lo diede in feudo a Manfredo III di Saluzzo, i cui successori continuarono a riceverne dai suoi discendenti l’investitura.
Ritornando ora al nostro Giovanni, esso nel 1301 giurò fedeltà a Giovanni marchese di Monferrato come a sovrano del feudo, ma essendo questi mancato di vita nel 1305 senza lasciar prole, e dopo aver instituita sua erede la sorella Violante moglie di Andronico Paleologo imperatore di Costantinopoli, ne avvenne, coinè già dissi, che molti di quelli che dicevansi discendenti da Aleramo pretesero a quella successione, e fra essi il saluzzese Manfredo, che avendo veduto come Teodoro figliuolo di Violante, appena giunto di Grecia e preso possesso dello stato cedutogli dalla madre, vi apriva una zecca, venuto con esso a rottura, ad ostentazione dei proprii diritti e non credendosi da meno di esso fece batter monete sulle quali prese il titolo di marchese di Monferrato7, esempio che subito venne seguito da altri suoi competitori.
Il veder adunque una moneta coniata da individuo appartenente alla famiglia dei Saluzzo e di quest’epoca, ed inoltre avendo veduto che Giovanni era il solo fra essi che in questo tempo possedesse il feudo di Dogliani, mi fece sospettare che ad esso potesse appartenere, onde, ben esaminato quante lettere potessero contenersi nella lacuna causata dalla parte mancante, conobbi che comodamente vi stavano le lettere IOH, le quali unite alla susseguente S formano abbreviatamente, come sulle monete dei tempi di mezzo sovente vedesi, il nome di Iohannes e indi de Suluciis; così nel rovescio tra le lettere DOLIA e SIS mettendo NEN abbiamo Dolianensis, sottinteso Moneta, e credo di non errare così leggendo. Dcvesi perciò dire che anche questi volle imitare il capo del suo casato usando d’una regalia, alla quale per nessun verso aveva diritto.
Questo fu una conseguenza dell’aver Giovanni nell’anzidetta rottura tra quei due marchesi seguito le parti del suo nipote Manfredo, ma sopraffallo dalle forze di Teodoro, tra le altre terre perdette anche Dogliani, della quale il vincitore investì Rinaldo Spinola parente di sua moglie; essendo però venuto in Genova nel 1311 l’imperatore Enrico VII, volle si facesse la pace tra le parti belligeranti, e per uno dei patti in essa stabiliti venne restituito a Giovanni quanto prima della guerra possedeva8. Preso in conseguenza nuovamente possesso del suo feudo, tranquillamente viveva in mezzo alla prole avuta dalia moglie Cubitosa, figlia ed erede di Bonifacio d’Agliano signor di Moncucco, figliuolo di Giordano Lancia conte di Giovenazzo nel regno di Napoli e consobrino di Bianca madre del celebre re Manfredi, quando discordie sorte tra i figli di suo fratello lo costrinsero nuovamente a prendere le armi.
Correva l’anno 1323, quando Manfredo, per compiacere alla seconda moglie Isabella, dichiarò che il figliuolo natogli da essa e pure di suo nome, gli avesse a succedere in danno del primogenito Tommaso, che aveva avuto da Beatrice figlia del sopraddetto Manfredi re di Sicilia; per il che con minaccia della total rovina della famiglia si accese un’aspra lotta tra il figlio Manfredo aiutato dal padre col suddetto suo fratello. Giovanni, vedendo l’ingiustizia del fratello, e nulla avendo potuto fare per impedirla, prese alla morte di esso le parti di Tommaso, e coll’armi volle sostenerlo ne’ suoi diritti contro Manfredo, il quale, avuto ricorso a Roberto re di Napoli, signore di gran parte dell’alto Piemonte, ed ottenutone un buon nerbo di soldatesca sotto il comando del senescallo Reforza, mise l’assedio alla città e castello di Saluzzo9, nel quale eransi rinchiusi lo zio col nipote; ma, dopo ostinata resistenza forzati ad arrendersi, Giovanni rimase prigione del senescallo, dal quale potè poi ottenere la libertà mediante io sborso di una grossa somma di danaro; costante però nel voler aiutare Tommaso, colta l’occasione e radunato un sufficiente esercito, assediò il detto castello occupato dai soldati di Manfredo, e dopo alcun tempo potè ottenerlo a patti.
Il Reforza, vedendo che Giovanni era il miglior sostegno di quello sfortunato marchese, per vendicarsi dell’aiuto prestatogli, nel 1345 rivolse le armi contro le sue terre, ma indirizzatosi esso per aiuto a Giovanni Paleologo marchese di Monferrato, questi presso Gamcnario venuto coi Provenzali a battaglia, intieramente li sconfisse colla morte dello stesso senescallo; e questa è l’ultima volta che trovasi menzione del nostro prode saluzzese. È ignota l’epoca della sua morte, però deve esser avvenuta sulla metà del secolo, vedendo che i suoi figliuoli li 22 giugno 135110 confermarono agli uomini di Dogliani tutti i privilegi stati loro concessi dal padre, e siccome da tal atto appare che questa terra essi in comune possedevano, ciò ci farebbe credere che tutti abbia lasciato in ugual parte eredi.
L’iscrizione sepolcrale postagli nella chiesa parrochiale di quel borgo, c che ancora esisteva sul finir dei XVII secolo11, era così concepita:
«Hic Iohannis magni ossa |
Continuarono i suoi discendenti a tener indiviso Dogliani sino a che nel 1477 un Emanuele acquistò le parti degli altri compossessori; un suo nipote lo vendette ad un capitano di Carlo V, dal quale passò ai Solaro signori di Moretta.
Questo ramo poi dei Saluzzo signori di Dogliani essendosi assai moltiplicato, fu causa della sua total decadenza, ed il solo che negli ultimi anni del 1600 ancora esisteva12 era ridotto in condizioni molto ristrette.
Note
- ↑ Monete del Piemonte inedite e rare. Tav. I, N° 11.
- ↑ Memorie storico-diplomatiche della città e marchesi di Saluzzo T. II, 1829, pag. 396
- ↑ Idem, pag. 498.
- ↑ Vassalli. Storia di Dogliani Ms N° 977 della biblioteca di S. M. a pag 17.
- ↑ Ulciensis ecclesiae chartarium Taurini, 1753, pag 1
- ↑ Vassalli Ut supra, fog. 93.
- ↑ Monete dei Paleologi marchesi di Monferrato. Torino, 1838, pag. 14.
- ↑ Moriundus. Monumenta Aquensia. Tom II. Taurini, 1790, col. 210.
- ↑ Muletti Memorie ecc. Tom. III Saluzzo, ISSO.
- ↑ Vassalli, fol. 62.
- ↑ Memorie di Carlo Saluzzo conte di Castellar, morto nei 1715. Ms. dell’archivio dei conti Saluzzo di Paesana, fog. 82.
- ↑ Ibidem.