Monete dei romani pontefici avanti il mille/Paolo I
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757-767.
Appena fu sepolto Stefano che venne eletto a succedergli Paolo diacono suo fratello, e senz’altro subito consecrato.
Scrisse immantinente al re Pipino per dargli parte della sua elezione1, ed in detta lettera lo chiama ausiliator et defensor Rex, quod firmi et robusti usque ad animum et sanguinis nostri effusionem in ea fide et dilectione, et caritatis concordia, atque pacis foedere, quae praefatus beatissimae memoriae dominus et germanus mens sanctissimus Pontifex vobiscum confirmavit, permanentes, et cum nostro populo permanemus usque in finem. Cioè gli promette di mantenere que’ patti, già firmati da Stefano, di pace ed alleanza, alludendo probabilmente alla pace segnata tra essi ed i Longobardi.
Intanto Desiderio avendo con finte promesse ottenuto il suo scopo di avere il papa favorevole quando voleva salire sul trono, ora credendosi di più non averne bisogno non pensò ad attenderle, ed a mala pena e a forza di preghiere, si contentò di restituire alcuni fondi siti nel suo Stato, e già di proprietà della Chiesa.
Paolo cominciava ad esser, almeno in apparenza, in migliori relazioni coi Longobardi, quando i Greci, che nulla aveano voluto fare per difender contro questi l’Italia, ora, confidando nella debolezza dei papi, minacciarono di togliere alla Chiesa l’esarcato, onde Paolo si raccomandò a Pipino, tanto più che aveva scoperto alcune pratiche di Desiderio a danno di Roma e di Ravenna, ma però non risulta che ciò avesse alcun seguito.
Dello stesso anno (753) abbiamo una lettera del senato e popolo romano a Pipino2 in risposta ad altra sua, nella quale loro raccomandava di essere fedeli a S. Pietro, alla Chiesa cattolica ed al papa da essi chiamato beatissimum et evangelicum spiritualem patrem nostrum a Deo decretum Dominum nostrum Paulum Summum Pontificem.
Il Dominum nostrum mise negli imbrogli il Muratori3, il quale vedendo il popolo chiamare suo Signore il papa, confessa di non più comprendere quale fosse allora il governo di Roma. Uguale incertezza gli causò una lettera di Paolo4, nella quale dice, che lo sdegno dell’imperatore Costantino contro questa città da altro non proveniva, che dall’opposizione che vi trovava all’abolizione del culto delle sacre imagini; ma ciò che fece fare mille induzioni al nostro grande storico, parmi sia semplice, chè, non pensando più da lungo tempo que’ cesari alla difesa di questa provincia, vedendo la calda protezione che i Franchi prendevano dei papi, e non sentendosi essi forti abbastanza per opporsi a sì potenti avversari, contentavansi d’incassarne i tributi e che negli atti pubblici e sulle monete il loro nome si conservasse, lasciando che si governassero que’ popoli come meglio loro gradiva, contenti d’altronde de’ pontefici che tanti sacrifizi avevano per essi fatti senza carico dell’imperial erario, e senza impiego delle loro truppe.
In quanto al governo della città e forse di buona parte del ducato, una porzione appartenendo già prima ai papi, pare che sotto l’alto patronato di questi dal senato essa si amministrasse; vedendosi e dagli atti de’ pontefici e dalla sopra citata lettera, nella quale loro raccomanda Pipino di essere fedeli ai medesimi, che nessuna ombra di sovranità in quel corpo esisteva.
Questo ottimo pontefice e buon padre, come lo chiamavano i Romani, sulla metà del 767 passò a godere nell’altra vita il merito dovuto alle sue virtù.
Per le stesse ragioni, per le quali abbiamo detto non potervi esistere monete di Stefano II, nemmeno possono esservene di Paolo, e probabilmente nemmeno tessere, essendo stata migliore sotto il suo pontificato la condizione di questa provincia, se questa puossi dire una ragione sufficiente per non averne più battute.