Monarchia/Libro III/Capitolo XII

Libro III - Capitolo XII

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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino (1468)
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Pruova che ·lla autorità dello inperio non è dal papa, per questa ragione: che quello sanza l’essere del quale è altra cosa, quell’altra cosa da questa non dipende.

Posti et rimossi gli errori, a’ quali coloro molto s’acchostano che dicono l’autorità del romano inperio dal pontefice romano dipendere, è da ritornare a dimostrare la verità di questa terza quistione, la quale si proponeva da prencipio per dichiararla: la quale verità apparirà sufficientemente se, sotto prefisso prencipio ricercando, la prefata autorità sanza mezo dipendere dalla sommità di tutto l’essere dimosterrò, che è Dio. E questo sarà dimostrato overo se autorità della chiesa sia rimossa da essa — conciosiaché di quella nonn–è alterchatione — o se si mostra chiaramente da Dio sanza mezo dipende[re]. Et che l’autorità della chiesa non sia chagione della inperiale si pruova così: quello, sanza l’essere del quale è altra cosa, quell’altra cosa da questo non dipende; et non esendo la chiesa, overo non dando virtù, lo ’nperio ebbe tutta la virtù sua: adunque la chiesa non è chagione della virtù dello inperio, né della sua autorità, essendo tutt’uno la virtù et l’autorità sua. E questo così si mostra: sia la chiesa A, l’inperio B, l’autorità et virtù d’inperio C. Se, nonn–esendo la A, C è in B, è inpossibile che ·lla A sia chag[i]one dello essere C in B, perch’egli è inpossibile che ·llo effetto preceda la chagione sua nello essere. Ancora, se mentre che ·lla A nulla adopera, C è in B, è necessario che ·lla A non sia chagione dello essere C in B, perch’egli è necessario che alla produtione dello effetto la chagione innanzi adoperi, spetialmente la chagione eficente, della quale al presente parliamo. La maggiore propositione di questa dimostratione è dichiarata ne’ termini; la minore è confermata da Cristo et dalla chiesa. Da Cristo, quando naque et quando morì, come di sopra è detto; dalla chiesa, dicente Pagolo negli Atti degli Appostoli: «Io sto innanzi al tribunale di Cesare, ove mi conviene essere g[i]udichato». Et poco poi l’angiolo di Dio disse a Pagholo: «Non temere, Pagolo; innanzi a Cesare ti conviene conparire». Et di sotto disse Pagolo a’ G[i]udei ch’erano in Ytalia: «Contradicendomi e G[i]udei, io sono costretto appellare Cesare, non per acchusare in alcuna cosa la gente mia, ma pe rimuovere l’anima mia dalla morte». E ·sse Cesare nonn–avesse allora avuto autorità di giudicare le cose tenporali, né Cristo arebbe questo persuaso, né ·llo angiolo arebbe quelle parole anunziate, né ·ccolui che diceva «Io disidero di morire et essere con Cristo» arebbe appellato inconveniente g[i]udice. Ancora, se Gostantino nonn avesse avuto autorità, in patrocinio et aiuto della chiesa quelle cose dello inperio che diputò alla chiesa non arebbe potuto di ragione diputare; e ·ccosì la chiesa ing[i]ustamente huserebbe quel dono, conciosiaché Dio voglia l’offerte essere inmaculate, secondo quel detto del Levitico: «Ogni hofferta che farete a Dio sarà sanza formento». El quale comandamento, benché paia che sia agli offerenti, nientemeno è ancora a’ recipienti. Stolto è credere che Dio voglia che si riceva quel che vieta dare, massime perché inel medesimo libro si comanda a’ Levitichi: «Non vogliate contaminare l’anime vostre, et non tocchate alcuna di quelle cose, acciò che non siate inmondi». Ma a dire che ·lla chiesa così husi male el patrimonio a ·ssé diputato è molto inconveniente: adunque era falso quello di che questo seguita.