Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XXII - Segue degli uomini di Chiesa.

Capo XXII - Segue degli uomini di Chiesa.

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Capo XXI - Cevesi illustri per pietà e per dottrina in materie ecclesiastiche. Capo XXIII - Cevesi illustri nella Magistratura e nelle lettere.
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CAPO XXII.


Segue degli uomini di Chiesa.



I. Alberto Ceva.

Il marchese Alberto Ceva figlio di Agamennone, dei marchesi di Ceva e Signori di Sale, Priero e Castelnuovo, ultimo di sua famiglia si ritirò dal secolo, entrò nei cappuccini di S. Barnaba a porta Carbonara in Genova, prese il nome di fra Arcangelo, e prima di emettere i voti solenni, fece il suo testamento il giorno 13 giugno 1601, rog. Giulio Romoirone, e dispose del suo ricco patrimonio nel modo seguente:

Legò alla comunità di Sale una cascina detta Gamellona, coll’obbligo d’una messa quotidiana perpetua all’altare di S. Sebastiano nella cappella di S. Siro, con tenere a quest’effetto un prete di più delli ordinarii, col sovra più di reddito si concorrerà alla manutenzione d’un maestro, e se la comunità di Sale non adempie per lo spazio di due anni a questo legato, sarà devoluto al monastero della Madonna Santissima di Grazia di Ceva. Lega pure un censo alla Madonna della Guardia di Ceva, nominando esecutore di questo legato, il signor Roberto Ceva protonotario apostolico. Fece altri legati pel valore di 5600 e più scudi d’oro a chiese, a parenti e ad amici.

« Del restante dei suoi beni mobili ed immobili, feudali, rusticali ed allodiali, ragioni ed attioni utili, e dirette reali e personali, miste persecutorie, hippotecarie e penali, etc., etc., [p. 124 modifica]herede suo universale instituisce, e di sua propria bocca ha nominato e nomina la madonna SS. del Mondovì a Vico, cioè l’opera santa e pia infrascritta, la quale in particolare raccomanda con tutte le viscere del cuore, a sua Altezza Serenissima di Savoia, facendola partecipe in essa et in tutti li meriti e preghiere, che perpetuamente usciranno da sì santo instituto...... coi redditi da ricavarsi da quest’eredità, vuole ed ordina, ne siano mantenuti poveri orfanelli ed orfanelle nell’hospitale, et altra casa della detta Maria SS. di Mondovì a Vico, quali poveri orfanelli siano mantenuti e governati in numero corrispondente a detto reddito, ossia entrata nel modo che sono governati, mantenuti ed instrutti alla Madonna SS. di Savona, constituendo fideicommissarii, et esecutori d’essa opera, e di far dette vendite e compre di redditi, e censi, come sopra detta Altezza Serenissima di Savoia e suoi successori, monsignor reverendo vescovo del Mondovì...... Vuole parimenti esso testatore e così espressamente ordina, che gli orfani et orfanelle di Ceva, Sale, Priero, Castelnuovo, e quelli della sua casata di Ceva poveri siano anteposti a tutti altri.......

Li beni feudali, rusticali ed allodiali allegati di sopra, sono l’infrascritti.

E prima gli feudali, cioè:

La sua parte della giurisdizione di Ceva, e del molino Lezza, pedaggio con il sito che è nel castello di detto luoco.

E più la sua parte della giurisdizione di Priero con suoi molini, pedaggio, censo feudale, et il bosco del riscoso con alcuni livelli di galline, e certi quatrini, che sogliono dare li uomini particolari di quel loco, come per li libri di suo padre si vedrà.

E più la sua parte della giurisdizione di Sale, con il suo molino, censo feudale, pedaggio, roide, decime ed altri livelli di galline, con alcuni quatrini e cera, come etc.

[p. 125 modifica]Vi sono inoltre due enfiteusi, l’uno di due stara di grano, l’altro di due stari di vino....... Vi è anche la sua parte della massaria della Braida e della Bandita.

E più la sua parte della giurisdizione di Castelnuovo, con suo molino, censo, pedaggio, il reddito delle mole et altri livelli di galline, etc....

E più il Castello di Sale.

Più il sito nel castello di Priero, quale essendo stato prostrato e gettato a basso, quando si pubblicò la pace....

E più il sito nel castello di Castelnuovo, e più il sito dello stalazzo con alcuni pezzi di terra ivi attinenti.....

Li beni allodiali e rusticali sono infrascritti:

E prima la possessione del Prileto, quello del Mateto, e prato di Canile.

E più la possessione della Bierda, con li alteni di Canile, Ponzani, casa fredda e suo bosco, et il campo di pra di Pizzo.

E più il giardino grande, e quello delle rive con gli orti del pozatello, o rochi e mori.

La casa degli allechi.

La stalla grande.

La colombara, con quella stanza ivi vicina ove si pone il grano della decima quando si coglie.

E più le case ove si tengono le legna attaccate al castello, et all’orto delli mori, quali beni sono posti in Sale, nel ricetto.

Vuole però e dichiara il detto rev. testatore che sia esclusa, come esclude da detta lascita, ed instituzione d’herede, non ostante quanto sovra quella porzione della Chiusa qual fu venduta dal detto signor suo padre all’Ill. sig. Giovanni Batt. di Savoia al presente posseduta dai signori di Raconiggi. »

Copia di questo testamento fu estratta dal R. Archivio dei notai di Genova, li 20 luglio 1849, dall’archivista Giuseppe Onofrio Rapallo a richiesta di monsignor [p. 126 modifica]Fra Tommaso Ghilardi Vescovo di Mondovì dalla di cui cortesia l’ebbe in imprestito lo scrittore di queste memorie li 17 marzo 1857.

Quest’eredità non si riconobbe sufficiente ad aprire un ricovero pei due sessi, e si restrinse a quello pei figli maschi, i quali si ritirano all’età non maggiore d’anni 12, si ammaestrano negli studi elementari sino alla seconda grammatica, son diretti da un superiore ecclesiastico e servono da chierici nel santuario della Madonna SS. di Vico. Sono tuttora ammessi a goder di questo benefizio gli orfani di Ceva, di Sale, di Priero e di Castelnuovo a misura che si fanno posti vacanti in quel piccolo seminario, monumento perenne della pietà e generosità di quest’insigne benefattore marchese Alberto Ceva.

Questo piccolo seminario ebbe anche un altro benefattore nella persona del Monregalese Giovanni Bernardino Cordero che ne aumentò il redditto nel 1670, a benefizio dei poveri orfani di sua patria.


2. L’abate Ceva di Roascio.

In quest’elenco degl’illustri ecclesiastici di Ceva merita un posto distinto, l’abate Demetrio Ceva di Roascio, di cui si riferisce qui alla lettera, la necrologia che di lui si pubblicò nella Gazzetta Piemontese, delli 16 marzo 1839, n. 63.

« Nel giorno 10 dello scorso mese di febbraio (1839) mancava ai vivi in Vercelli nella grave età di oltre 16 lustri, e dopo brevissima malattia, l’abate D. Giuseppe Demetrio Ceva de’ marchesi di Roascio e Lesegno cavaliere della sacra religione ed ordine militare de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, limosiniere onorario di S. M., Canonico arcidiacono della metropolitana, e Vicario generale di quella diocesi.

Distinto per nobiltà di natali, ma più ancora per intemerati e semplici costumi, e per religiosa pietà quest’insigne ed assiduo operaio della vigna evangelica, percorse il lungo stadio di vita, che la provvidenza gli aveva prefisso, facendosi specchio altrui, d’ogni cristiana e [p. 127 modifica]civile virtù; zelatore integerrimo dei proprii doveri, cui provvedeva con maturità di senno, e con perspicace prudenza, tenero verso gli infelici, che soccorreva di denaro e di conforto, largo di consiglio, e di aiuto agli oppressi che a lui si volgevano, dolce di maniere, umile di cuore, la sua perdita è stata vivamente sentita, ed è amaramente compianta da tutti coloro che lo conobbero, e ne ammirarono anche nei dì cadenti l’altezza di spirito, e le preziose doti dell’animo. È conforto ai numerosi congiunti, agli amici superstiti, il pensiero che la memoria di questo uomo dabbene non sarà cancellata sì tosto, ma sarà invece a lunga pezza, ed a profondi caratteri scolpita nei cuori dei poverelli soccorsi e di tutti quelli, che ebbero lumi, consiglio, e protezione dall’illustre, ed a giusto titolo lacrimato defunto. »

Era nato nel forte di Ceva di cui era comandante suo padre il marchese Giuseppe Ignazio Ceva di Roascio e Lesegno li 22 dicembre 1757, ebbe per padrini il conte Garelli di Rifreddo, e la contessa Adelaide Del Carretto.

Non volle che la sua memoria venisse meno in Ceva sua patria e fondò un anniversario perpetuo in questa collegiata, in suffragio dell’anima sua con una generosa retribuzione ai signori Canonici, ai signori Cappellani ed a tutti gl’inservienti di questa funebre funzione (ordinato capitolare 11 gennaio 1832).

Legò pure a questa chiesa un magnifico stolone ricamato in oro.


3. D. Pio Bocca.

Quantunque di quest’illustre benefattore della città di Ceva sua patria siasi dovuta fare onorevole menzione parlando delle sue generose elargizioni alle opere pie, non deve però omettersi in quest’elenco dei distinti uomini di chiesa, tanto più che il suo elogio è compendiato con eleganza di stile in un’iscrizione latina del Cevese avvocato Stefano Dalmazzone, già suo scuolaro, stampato in Torino nel 1840 del tenore seguente.

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Joannes Pius Bocca
eximius Sacrorum Minister
vir integerrimus

ingenii acumine, doctrina ac praeclaris animi dotibus commendatus. Qui ad alumnos, in eloquentiae et Philosophiae studiis erudiendos vitam alacrem exercuit tot ingenii animique ornamentis unum, vel maximum addidit liberalitatem, qua homo caeteris saepe eminet mortalibus, ac nomen comparat illustre non tantum divitias cumulasse quam illas honeste impendisse gloriae tribuitur. Quae vero maior munificentia quam quae scientias, literas, artesque protegat; sic consulit eximius hic sacerdos, qui donationem inter vivos in pium scholarum institutum Caebae contulit, ac illud viginti mille nummis auxit, quo melius instituantur alumni, institutores honestus alantur, ac quaeque disciplina florida magis vigeat. Discat inde quisque quis debeat esse usus auri, quod a morientibus semper a viventibus raro donatur, sitque tantae liberalitatis perenne in animis monumentum.


Il che suona in italiano:

Giovanni Pio Bocca esimio ministro degli altari, uomo integerrimo, commendevole per acutezza d’ingegno, per dottrina e per preclare doti d’animo, il quale passò alacremente la sua vita nell’insegnare agli alunni l’eloquenza, e la filosofia, a tanti pregi d’ingegno ed animo, uno ne aggiunse che è il più grande, la liberalità, per mezzo della quale l’uomo s’innalza al dissopra degli altri mortali e s’acquista celebrità non tanto per aver accumulate ricchezze, quanto per averle ben impiegate. E qual vi sarà più grande munificenza di quella che protegge le scienze, le lettere e l’arti? Così fece quest’esimio Sacerdote con una donazione tra vivi di ventimila franchi a favore del pio istituto delle scuole, onde meglio provvedere all’istruzione degli alunni, ed al sostentamento dei professori, e così sempre prenda maggior vigore ogni più fiorente disciplina. Impari quindi [p. 129 modifica]ciascheduno quale debba essere l’uso dell’oro, il quale dai morienti sempre, e dai viventi raramente si dona. Viva perenne negli animi la memoria di tanta liberalità.