Memorie storiche della città e del territorio di Trento/Parte seconda/Capo XXIII

../Capo XXII

../Capo XXIV IncludiIntestazione 27 marzo 2014 75% Da definire

Parte seconda - Capo XXII Parte seconda - Capo XXIV
[p. 225 modifica]

CAPO XXIII.
Della costituzione politica di Trento.

Abbiamo accennata più volte l’antica questione della superiorità territoriale tra i [p. 226 modifica]Serenissimi Conti del Tirolo, ed i Principi Vescovi di Trento. La superiorità territoriale secondo la definizione del diritto pubblico germanico non era altro che la suprema podestà, che sia negli affari ecclesiastici, sia negli affari civili e politici godevano gli Stati immediati dell’Impero ciascheduno entro il suo territorio. Si diceva suprema o sovrana salve quelle restrizioni, che vi furono recate dalle leggi dell’Impero. Le parti di questa superiorità territoriale erano quelle medesime, che i pubblicisti chiamano partes summi imperii, seu jura majestatica. I diritti maestatici vengono dagli scrittori in varie forme divisi: noi seguiremo quelli, che li dividono in esterni ed interni. Gli esterni sono 1.° il diritto della guerra e della pace, 2.° il diritto di contrarre alleanze con altre potenze, 3.° d’inviare ad esse ambasciatori o legati. Tutti questi diritti maestatici esterni competevano anche ai Principi e Stati dell’Impero germanico, e per conseguenza anche al Principe Vescovo di Trento, ch’era uno di essi, e che aveva nel Collegio de’ Principi uno dei non minori posti. Abbiam veduto più sopra; come una parte di questi diritti maestatici, ossia l’autorità de’ Principi Vescovi di Trento in quanto al diritto della guerra e della pace era stata colle convenzioni vigenti col Serenissimo Conte del Tirolo scemata e diminuita, ma che in quanto ai diritti maestatici interni, come altresì in quanto agli esterni [p. 227 modifica]medesimi in tutto ciò che nelle convenzioni non era compreso, i Principi Vescovi di Trento ritenevano illesa ed in tutta la sua integrità la suprema podestà, che apparteneva ad un Principe o Stato immediato dell’Impero, la quale non rimase sminuita se non negli articoli e punti espressamente nominati.

I diritti maestatici interni secondo la dottrina de’ pubblicisti sono il diritto della legislazione, ossia il diritto di fare e promulgare leggi, costituzioni, ed editti per l’ordine pubblico e pel buon governo dello Stato, 2.° la podestà giudiziaria, ossia il diritto di costituire i giudici ed i tribunali incaricati dell’amministrazione della giustizia nelle cause civili non meno che criminali, 3.° di conferire tutte le cariche, uffizi, ed impieghi riguardanti il governo e l'amministrazion pubblica, 4.° il diritto d’imporre a’ proprj sudditi contribuzioni, collette, e tributi pei bisogni o pel bene dello Stato, 5.° il diritto di far grazia a’ delinquenti, ossia il diritto di rimettere loro in tutto o in parte ed addolcire le pene dettate dalla severità delle leggi, 6.° il diritto di concedere privilegi, prerogative, ed onori. Tutti questi diritti, de’ quali godevano i Principi e Stati immediati dell’Impero, appartenevan pure egualmente a’ Vescovi Principi di Trento salve solo le restrizioni, che vi recavano le leggi e costituzioni dell’Impero; poichè il diritto a cagion d’esempio di concedere la dignità di cavaliere, di [p. 228 modifica]barone o di conte era riserbato al solo Imperatore, e quello della podestà giudiziaria doveva intendersi senza pregiudizio delle appellazioni nei casi permessi ai tribunali supremi dell’Impero. I casi, in cui era permesso in Trento d’appellare ai supremi tribunali dell’Impero, erano sol quelli delle cause civili, e non già delle cause criminali, nè quelli che riguardavano unicamente oggetti politici o economici, ed anche nelle cause puramente civili la facoltà d’appellare dalle sentenze del Consiglio aulico di Trento era ristretta a quelle sole cause, nelle quali il valor della lite eccedeva la somma di mille fiorini.

La suprema podestà de’ Principi Vescovi di Trento quanto ai diritti maestatici interni, ossia quanto all’interno governo del loro paese non era stata per le convenzioni vigenti coi Serenissimi Conti del Tirolo, come si è detto più sopra, punto scemata o diminuita, ma essi la conservarono intatta ed illesa in ogni sua parte. Quest’autorità però interna de’ Principi Vescovi pretendeva il Capitolo di Trento, che avesse in suo favore dei limiti in virtù della transazione seguita tra di esso, ed il Vescovo Principe Carlo Emanuele Madruzzo l’anno 1635; ma abbiamo già altrove osservato, che questa transazione era atta soltanto ad obbligare il Principe Vescovo Carlo Emanuele, con cui fu stipulata, e non mai i Principi Vescovi suoi successori. Il Principe Vescovo dunque di Trento non aveva [p. 229 modifica]rispetto al suo Capitolo altri vincoli, nè altri doveri se non quelli, che erano imposti generalmente per le disposizioni canoniche o per le consuetudini invalse dopo il secolo decimoquinto a tutti gli altri principi e sovrani ecclesiastici della Germania. Fra questi vincoli uno principalmente era quello di non potere il Principe Vescovo alienare, vendere, donare, permutare, o dare in feudo alcuna delle terre o castella nè alcun’altra cosa appartenente al Principato di Trento senza l’autorità ed il consenso del suo Capitolo, di non poter contrarre debiti ed aggravare con essi la mensa o camera episcopale, nè cedere o trasferire in altri alcuno de’ suoi sovrani diritti senza l’autorità ed il consenso del Capitolo medesimo.

Quanto alle comunità, a’ magistrati, ed a’ corpi pubblici del Principato merita d’essere qui trascritta la forma del giuramento di fedelta ed ubbidienza, che tutti dovevan prestare all’avvenimento o all’elezione d’ogni nuovo Principe Vescovo, prescritto dallo Statuto di Trento. Esso era il seguente: «In primis statuimus, et ordinamus, quod omnes et singuli Officiales, et Consiliarii, Provisores, et Procuratores, et cœteri Cives Civitatis Tridenti, omnesque Syndici, Anciani, Consules, et cæteri Officiales Plebatuum, Villarum, Castrorum, et Burgorum Diœcesis Tridentinæ, ac cœteri Jurisdictionis Episcopatus Tridenti teneantur, et [p. 230 modifica]debeant jurare corporaliter ad Sancta Dei Evangelia, se velle juvare, et manutenere ipsum Dominum Episcopum Trid. in omnibus suis Juribus, Jurisdictionibus, Honoribus, et Consiliis, et sequi suum Capitaneum, et eorum signa, et vexilla cum personis, equis, et armis, quotiescumque opus fuerit, et obsequi, parere, et satisfacere omnibus generibus suorum mandatorum, et pura devotione, toto posse, subjective gerere vices ipsius Domini Episcopi sibi commissas absque dolo, et fraude, et sua officia fideliter exercere, et semper justum et verum consilium ipsi Domino Episcopo, suoque Capitaneo præbere, et si ad aures ejus pervenerit quidquam, quod posset inferre damnum, jacturam, et detrimentum personæ ipsius Domini Episcopi, vel suæ Urbi, Burgis, Castris, Villis, et Locis, quam citius poterit per se, vel per suum specialem nuntium revelabit, et dicet ipsi Domino Episcopo, et si quod secretum fuerit sibi commissum, et injunctum per ipsum Dominum Episcopum, vel per alium suum Officialem, et Nuntium, nemini propalabit, et semper contra suos hostes inimicum se constituet.» Sebbene sì ampia e sì illimitata fosse la forma di questo giuramento, la costituzione però politica o la forma del governo in Trento non era già quella della schiavitù o del despotismo, ma quella, come ora vedremo, di un governo monarchico saggiamente temperato.

[p. 231 modifica]

Ogni comunità grande o piccola aveva il diritto di eleggere ogni anno i suoi rappresentanti per l’amministrazione de’ suoi beni e delle sue rendite, il primo de’ quali in molte aveva il nome di Regolano, in altre di Sindaco, di Console, di Maggiore, ed altri simili. Ognuna aveva il suo particolare statuto o legge municipale chiamata comunemente Carta di regola, in cui contenevansi le ordinazioni concernenti il buon uso e godimento de’ boschi, de’ monti, de’ pascoli, l’uso e regolamento delle acque, il mantenimento dei ponti e delle strade pubbliche nel rispettivo distretto. I Rappresentanti d’ogni comunità avevano il diritto di punire i danni dati nelle campagne, di conoscere e decidere in prima istanza le questioni intorno ad acquidotti o canali, intorno a termini o confini tra i possessori de’ contigui campi, intorno alle servitù non meno urbane che rustiche, e intorno a molt’altri oggetti, la cui decisione dipendesse dall’inspezion oculare. Tutte queste Carte di regola formate da ogni comunità dovevano all’elezione d’ogni nuovo Principe essergli presentate onde impetrarne la sovrana approvazione e conferma. Oltre alle Carte particolari di regola d’ogni comunità aveva il corpo intero d’ogni paese un’altra Carta di regolamenti, o di diritti e privilegi, che erano generali e comuni a tutte le comunità, delle quali era composto, qual era per esempio quella della Naunia intitolata Privilegia [p. 232 modifica]Vallium Ananiæ et Solis, quella della Valle di Fiemme e di molt’altre. Anche la città di Riva aveva il suo particolare statuto o costituzione municipale, ed il suo particolare statuto aveva egualmente il borgo o la giurisdizione di Pergine. La città di Trento, ch’era la capitale di tutto il Principato, doveva sovra ogni altra avere, come aveva, il suo particolare statuto o costituzione municipale, in cui contenevansi le ordinazioni ed i regolamenti spettanti agli oggetti sopraccennati, ed a molti altri ancora, tra i quali eran quelli che riguardavano la vendita delle carni, la vendita de’ pesci, delle biade, e dei grani, e d’ogni altra derrata, che facevasi nella città; l’ispezione su’ pubblici fornai, e sul calmiero del pane, ed altre tali cose, che troppo lungo sarebbe l’annoverare, e che posson leggersi nel secondo libro dello Statuto di Trento intitolato De Syndicis. Il Magistrato civico aveva il diritto di eleggere annualmente i Sindaci incaricati delle incombenze ed ispezioni menzionate nello Statuto suddetto: egli eleggeva inoltre e nominava i così detti giudici delle acque, i giudici delle concordie, i giudici delle subastazioni, la giurisdizione de’ quali però era ristretta a pochi oggetti. Dalle lor decisioni appellavasi al Magistrato consolare, e dalle decisioni del Magistrato appellavasi in ultima istanza al Principe ossia al suo Consiglio aulico, alla di cui superiore autorità era subordinata e [p. 233 modifica]soggetta ogni giurisdizione ed inspezione del Magistrato civico. Lo Statuto di Trento è diviso in tre libri, il primo de’ quali è intitolato De civilibus, il secondo De Syndicis, ed il terzo De criminalibus, nel quale vennero cangiate, e riformate, o ritenute le disposizioni, che erano negli antichi statuti emanati sotto i Principi Vescovi Bartolammeo Quirini, Alberto di Ortemburg, ed altri Principi. Questo Statuto è stato composto o compilato dai Consoli e Provveditori della città di Trento, e da essi presentato al Principe Bernardo Clesio, perchè ottenesse, come ottenne pure, forza e sanzione di legge, e venne reso pubblico colle stampe l’anno 1527. Esso fu formato sull’esempio o modello d’altri statuti delle varie città d’Italia, i di cui Rappresentanti composero essi pure i loro statuti con averli poi presentati a’ loro Principi onde ottenerne la sovrana conferma. Così veggiamo aver pur fatto ne’ posteriori tempi i Rappresentanti della città di Roveredo, i quali dopo aver composto o riformato il loro statuto lo presentarono al Serenissimo Arciduca d’Austria Conte del Tirolo, che lo confermò poi colla suprema sua autorità; ma tutti questi statuti egualmente che il nostro, sebbene contengano alcune utili e sagge disposizioni, dimostrano tuttavia, quanto la scienza della legislazione fosse in quei tempi ancor nell’infanzia.

Abbiam parlato nel Capo decimonono [p. 234 modifica]dei gravami, che il Magistrato consolare di Trento aveva presentati innanzi al supremo Consiglio aulico dell’Impero sopra alcuni punti di giurisdizione, de’ quali il Principe Vescovo Cristoforo Sizzo avevagli vietato l’esercizio. Pretendeva il Magistrato consolare, che il Principe Vescovo far non potesse alcuna mutazione o riforma delle leggi o disposizioni contenute nello Statuto di Trento sì nelle civili come nelle criminali materie senza il consentimento del Magistrato medesimo. Questo punto di controversia venne tolto e regolato mediante una supplica o dichiarazione, che il Magistrato presentò al Vescovo Principe Cristoforo Sizzo, ed una lettera chiamata pubblica, che il Principe gli indirizzò in risposta, nella maniera seguente. Il Magistrato dichiarò, ch’egli riconosceva ogni sua autorità e giurisdizione essere interamente subordinata e soggetta alla superiore autorità del suo Principe, ed a quella del di lui Consiglio aulico: che egli riconosceva pure nel suo Principe la suprema podestà legislativa in tutte le materie ed in tutti i rami della legislazione, ma ove si trattasse di annullare o cangiare alcuna delle disposizioni civili o criminali contenute nello Statuto, che il Principe dovesse prima d’ogni cosa invitare il Magistrato a proporne egli medesimo e chiederne la riforma: che se il Magistrato ricusasse di ciò fare, potesse allora il Principe usare del supremo suo potere legislativo con riformare o abolire la [p. 235 modifica]disposizion statutaria, di cui si trattasse, e promulgarne una nuova, ma che in tal caso fosse pur salvo al Magistrato il diritto di reclamare e ricorrere ai supremi tribunali dell’Impero, allorchè la nuova legge gli sembrasse non giusta, o non conforme al bene pubblico, intendendo però tutto questo ristretto alla sola città e pretura; perchè riguardo agli altri paesi e giurisdizioni del Principato, che formavano la parte più grande e più numerosa, niuna ingerenza o diritto vi aveva, e non pretendea nè pure d’avervi il Magistrato civico di Trento: che finalmente l’autorità del Principe non potesse mai estendersi a privare arbitrariainente il Magistrato civico di quei diritti e di quelle prerogative, che gli erano state concedute da’ Principi Vescovi antecessori, nè di quella giurisdizione ed autorità, che in virtù dello Statuto o d’antiche consuetudini legittimamente competevagli, e che aveva sempre esercitata in passato; poichè questi diritti e privilegi della città dovevano essere sempre sacri ed inviolabili. Anche tutti gli altri paesi e giurisdizioni del Principato di Trento godevano varj privilegi e diritti, i quali dovevano essere ugualmente sacri; poichè niun Principe dell’Impero germanico poteva privare arbitrariamente i proprj sudditi de’ diritti o privilegi loro conceduti, se non allorchè v’intervenisse una legittima e giusta causa, o allorchè il comandasse imperiosamente il bene ed il vantaggio pubblico.

[p. 236 modifica]Insigni sopra tutti gli altri eran i diritti, de’ quali godeva la città di Trento. Il Magistrato consolare, allorchè usciva in pubblico in occasione di processioni o d’altre pubbliche funzioni, vestiva per facoltà concessagli dal Principe Dominico Antonio de Thunn un ricco abito alla spagnuola: egli era preceduto da due grandi mazze d’argento portanti scolpito lo stemma della città, ed era seguito con pomposo apparato da numerose livree. I cittadini di Trento avevano il diritto di eleggere e nominare ogni anno i Consoli e Provveditori della città al numero di sette, che formavano il Magistrato civico, composto sempre dei più rispettabili gentiluomini e cavalieri o dei più riputati cittadini. Fatta l’elezione il Magistrato civico presentava con sua supplica al Principe i nomi delle persone elette, a formare il nuovo Magistrato supplicandolo della suprema sua approvazione e conferma. Essendo avvenuto, che in una nuova elezione fu negata dal Principe o dal suo Consiglio la conferma di tre persone elette all’uffizio di Consoli, il Magistrato civico reclamò altamente contro questa arbitraria riprovazione dei tre eletti rimostrando, che sarebbe del tutto vano ed illusorio il diritto dell’elezione competente a’ cittadini di Trento, se avesse a dipendere dal puro arbitrio o volere del Principe il confermare o rigettare l’elezione, ed egli ottenne poi dal Principe e Cardinale Cristoforo Madruzzo un rescritto o decreto, [p. 237 modifica]in cui fu dichiarato, che non sarebbe più negata in avvenire la conferma delle persone elette senza legittima e giusta causa, la quale verrebbe pure chiaramente espressa e manifestata. Presentata al Principe o al a suo Consiglio la supplica, per l’approvazione e conferma della fatta elezione soleva segnarsi alla supplica il seguente rescritto: «Confirmantur omnes in ordine nominati, qui se sistant in Consilio diei....... fidelitatis et obedientiæ juramentum præstituri.» Si presentavano poi nel giorno assegnato il vecchio ed il nuovo Magistrato innanzi al Principe sedente nel suo Consiglio, ove giunti il nuovo Capo-Console pronunziava un rispettoso discorso, al quale rispondeva il Cancelliere aulico; indi i nuovi Consoli presentavansi tutti l’un dopo l’altro alla sedia del Principe, ove tutti prestavano toccati i santi Evangeli il giuramento di fedeltà ed obbedienza secondo la formola prescritta dallo Statuto, che abbiamo di sopra riferita, e che veniva allora preletta; il che fatto tutti ritornavano al Palazzo civico, ed i nuovi Consoli assumevano, tosto l’esercizio delle loro cariche.

Il Magistrato civico aveva inoltre il diritto di nominare tre o più giureconsulti alla carica di Podestà presentando questa nomina con sua supplica al Principe, affinchè tra i nominati soggetti egli scegliesse, quello che più gli fosse piaciuto, per l’amministrazione della giustizia nella città e pretura di Trento. [p. 238 modifica]Fatta dal Principe la scelta il Magistrato civico gli presentava poi solennemente il nuovo Podestà nel suo Consiglio aulico, ove il Principe dava in mano del Podestà due simboli uno indicante la giurisdizione, che gli veniva conferita per l’amministrazione della giustizia nelle cause civili, e l’altro quella, che gli veniva conferita nelle cause criminali, giurisdizione però ristretta al solo giudizio di prima istanza subordinata e soggetta all’autorità superiore dell’eccelso Consiglio aulico, a cui si devolvevano tutte le appellazioni o richiami contro le sentenze pretorie. Il Podestà prestava poi al Principe come ogni altro suddito il giuramento di fedeltà ed obbedienza secondo la formola, che abbiamo già detta. Anche la città di Riva godeva egualmente il diritto di presentare al Principe la nomina di tre o più soggetti per l’elezione del suo Pretore, e lo stesso diritto di presentare al Governo austriaco la nomina di tre o più soggetti per la carica di Pretore aveva pure la città di Roveredo.

Il Magistrato civico di Trento aveva oltre tutto ciò il diritto di nominare ancora il custode delle carceri pretorie, il quale però doveva essere aggradito e confermato dal Principe, ed essere presentato al Cancelliere aulico, nelle di cui mani prestar doveva il giuramento di fedeltà e d’obbedienza. Il Magistrato consolare aveva eziandio il diritto di eleggere il Magistrato così detto della Sanità, al quale [p. 239 modifica]venivano per lo più eletti que’ soggetti, che nel precedente anno stati erano Consoli. Questo Magistrato dopo aver ottenuta la suprema conferma del Principe doveva presentarsi nel suo Consiglio aulico, ove prestava il giuramento di esercitare con ogni sollecitudine e cura l’importante uffizio, a cui era stato nominato; il che fatto il Principe deputava uno de’ suoi Consiglieri aulici, che presieder doveva a questo Magistrato.

Il Magistrato consolare aveva l’amministrazione della pubblica Annona in Trento, ed il diritto dell’appalto per la vendita del pane ne’ pubblici fondaci, come altresì il diritto dell’appalto per la vendita delle carni ne’ pubblici macelli, coi proventi de’ quali appalti egli doveva far fronte alle spese necessarie al mantenimento e riparazione dei ponti e delle pubbliche strade nel suo circondario, e se mai questi proventi in qualche anno a ciò non bastassero, ed il Magistrato bisogno avesse d’imporre qualche contribuzione nel suo distretto, egli ricorreva al Principe per ottenere da esso la facoltà ed il diritto d' imporla.

Abbiam detto, che la giurisdizione, i privilegi, ed i diritti spettanti al Magistrato consolare di Trento, ed agli altri Magistrati e Corpi pubblici del Principato dovevano essere sempre sagri, e che il Principe spogliarli non poteva di essi arbitrariamente; ma questi diritti non iscemavano punto, nè [p. 240 modifica]diminuivano la sovranità del Principe Vescovo; perchè ogni autorità e giurisdizione de’ Magistrati era sempre soggetta all’autorità superiore del Principe, e se mai essi nell’esercizio de’ loro diritti abusato ne avessero, qualunque abuso di autorità, che fosse avvenuto, veniva dalla superiore podestà del Principe o del suo Consiglio riformato o corretto. Tal era la costituzione politica di Trento, e tale la forma del suo governo non già dispotico ed arbitrario, ma governo monarchico saggiamente temperato e moderato, nel quale la sovrana autorità del Principe annodavasi felicemente co’ diritti e colle legittime libertà de’ sudditi.

Al Consiglio aulico di Trento presedeva personalmente il Principe Vescovo, ed in sua assenza il Cancelliere aulico. In esso trattavansi e decidevansi tutti gli affari di stato o di governo, ed esso era pure il tribunale supremo in tutte le cause civili e criminali, non meno che politiche o economiche di qualunque genere. Il Principe sedeva sotto baldachino, e dirimpetto a lui ed alla sua tavola sedeva il Cancelliere aulico, il quale leggeva tutti i dispacci e tutte le suppliche, che venivano presentate, e a tutte dettava dopo aver udito il parer del Consiglio il conveniente rescritto. Alla destra del Principe sedevano ad un’altra tavola il Decano del Capitolo, i Canonici Consiglieri aulici, e due Secretarj. Alla sinistra sedevano ad un’altra tavola il Capitano della città ed i Consiglieri [p. 241 modifica]aulici secolari secondo l’anzianità della loro nomina. Negli affari politici e di governo il voto tanto de Consiglieri Canonici, che dei secolari non era semplicemente che consultivo, spettando al Principe udito il loro parere l’autorità di prendere quelle determinazioni, che più convenienti sembravangli. Nella decision delle cause civili e criminali niun diritto di suffragio avevano i Consiglieri Canonici, e quello de’ Consiglieri secolari era decisivo, ed alle lor decisioni niuna parte prendeva il Principe, ma le sentenze ed i decreti del Consiglio esser dovevano eseguiti secondo la loro forma e tenore. Nel Consiglio aulico solevano sempre aver seggio preclari soggetti, de’ quali si onora ancora la memoria, e si pronunzia il nome con rispetto. Nè io voglio qui tacere i nomi di due insigni uomini, che fiorirono a’ nostri giorni, e che sedevano nel Consiglio del Principe Cristoforo Sizzo, cioè di Gian Paolo Ciurletti di Trento, e di Francesc’Antonio Vigilio Barone Cristani di Rallo, i quali per la gravità e probità de’ loro costumi, e pel profondo loro sapere sarebbero stati degni d’aver posto in qualunque più cospicuo senato o consiglio. Non dobbiam dissimulare però, ch’eguale non fu lo splendore di questo tribunale sotto il governo di Pietro Vigilio; perchè non tutte le persone, ch’egli aveva decorate di questa carica, erano adorne di quelle doti e qualità, alle quali i popoli accordano la loro venerazione.

[p. 242 modifica]Il Principato di Trento malgrado delle smembrazioni e delle perdite, che in varj tempi ha sofferte, conservava ancora all’epoca della secolarizzazione de’ Principati ecclesiastici un riguardevole avanzo de’ suoi antichi dominj, ed il suo territorio, come osservato abbiamo nella prima Parte delle nostre Memorie, conteneva tuttavia una popolazione di cento ottantamila anime circa. Non si contano in questa popolazione le giurisdizioni ed i paesi, che i Serenissimi Conti del Tirolo ebbero a titolo di feudo dal Vescovato di Trento non essendo questo che un vassallaggio di puro nome. Quanto a’ paesi, che conceduti furono in feudo a’ Conti di Castelbarco, ai Conti di Lodron, ai Conti di Trapp, e ad altri Signori, il Principe Vescovo di Trento esercitava sempre sovra di essi il suo supremo potere, e le appellazioni o richiami dalle sentenze de’ loro giudici si devolvevano in ultima istanza al Consiglio aulico di Trento come a tribunale supremo, al quale apparteneva il confermarle o correggerle ed annullarle.

Trento, dacchè incominciò il temporale dominio de’ Principi Vescovi, fu per quasi otto secoli la città capitale di tutto lo Stato trentino, e godette di tutti i vantaggi, di cui godono que’ luoghi, ove la sede ritrovasi del principe e del governo. Niuno le negherà certamente il vanto ed il nome di città illustre per ben molti titoli, ma singolarmente pei grandi ed esimj personaggi, che in essa [p. 243 modifica]regnarono, o che in essa o nel suo territorio ebbero i natali, come ora vedremo.