Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino/Libro IV/Dell'Isole di Tremiti

Libro IV
Capitolo V
§. I.
Dell'Isole di Tremiti

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Libro IV - Di S. Agata di Tremiti Libro IV - Delle Fabbriche della Fortezza, e Monistero di Tremiti


1. QUest’Isole prima furono chiamate Diomede da Diomede Re d’ Etolia, allora quando perseguitato nel suo Paese si ricoverò in queste Regioni presso il Re Dauno, suo Suocero, dal quale accolto benignamente ebbe in dono buona porzione di quella parte, che si chiamava Daunia, dove ora è posta la Provincia civile di Capitanata, e che dopo aver edificate molte Città terminò i suoi giorni in queste Isole, e si vuole, come si è detto nel cap.4. $.Unico, che in una di esse si conservino le lue ceneri. E come osserva il chiarissimo Giovanni Battista Vico Napolitano fu nostro Maestro in Rettorica, lib.2. della nuova scienza, molti premuti, e vinti dalle contese eroiche, o sia degl’Eroi, che si ebbero in Grecia, si fussero dati ad andar errando con quelli della loro fazzione per ritrovare altre Terre, tra questi vi fu Diomede, che si fermò con altri della sua fazione in dette Isole, siccome de’ Troiani , distrutta Troja, Capi in Capua, Enea nel Lazio, e Anteno penetrò in Padoa.

   2. Di esse fanno gloriosa memoria per quanto appartiene alla pura Storia, Strabone, Tolomeo, Plinio, e S. Agostino nel lib.18. della Città di Dio: E perché  si favoleggiò, che gl’Etoli, compagni di Diomede da Venere fussero stati trasformati in alcuni ucelli de’ quali abbondano quest’Isole, e ne parleremo appresso, questli dando in un stridore, o sia canto lamentevole, che fanno, sembra, che esprimano il di loro cordoglio, per la morte del di loro Signore. Virgilio nel lib.11. delle sue Eneid. introduce Diomede a favellare cogl’Ambasciadori di Turno, lamentandosi tra le altre cose, che i suoi compagni fussero stati cangiati in ucelli. Ovidio nel lib.14. delle Metamorfosi descrive ampiamente questa vana, e poetica trasformazione. Scipione de Monti, celebre Poeta del Secolo XVI. nel Poema della vita, e gloriose gesta di Giorgio Castriota, detto Scanderbegh, che si conserva mss., come ci viene supposto, presso D. Gio: Bernardino Tafuri, Patrizio di Nardò nel lib.16. parlando d’un cavallo nato in una di

queste Isole, canta così di detti ucelli : 

Di Tremiti già detta Diomea.
Il conversa in Augei schiera pietosa.
Di Argivi al Duce suo l’esequie fea.

   3. Altri, non hanno mancato dire, che quest’Isole da principio fussero state unite, e che in appresso le onde del Mare, i venti, e qualche tremuoto le avesse divise in tante, quante ora si veggono: siccome si dice della Sicilia, che prima formasse la medesima un continente col nostro Regno, e che poi per un tremuoto si fusse staccata, intermezzandovi il Mare. Di questo parere tra gl’altri è il P. Guglielmo Gumppenbergh della Compagnia di Gesù lib.2. dell’Atlante Mariano, dove parlando della miracolosa Immagine della Beatissima Vergine Tremitana, così egli in singolare: A tremore, seu terrae motu nomen babet.

   4. Ma qual ne fusse la cagione della divisione, che peraltro la dimostrano li frammenti, che si veggono sotto le acque, sembra, che il nome di Tremiti non venga originato dal tremuoto, ma perché  sono tre ; e benché Tolomeo ne conti cinque, due si devono dire piuttosto scogli, e come tali si distinguono da’ Geografi , e dagl’Istorici.

   5. Sono poste nel Mare Adriatico dirimpetto alla Provincia Civile, che ora tiene nome di Capitanata, e propriamente a i luoghi, che sono in Diocesi di Larino, verso il lido del Mare. La di loro circonferenza, includendovi li canali, che le compartiscono, giugne a quindici miglia, e sono distanti da S. Agata miglia diciotto Italiane, che sono sei leghe , come si nota da alcuni Scrittori, e noi lo sappiamo di certo, e questo per mezzo giorno : a settentrione hanno il mare Adriatico ; da Levante vi è la Dalmazia, e Schiavonia ; e da Ponente gl’Apruzzi, e il golfo di Venezia, dalla quale Città sono distanti cento quaranta miglia.

   6. E per dir qualche cosa di quest’Isole più in particolare. La prima è più grande, e tiene il nome di S. Domino, per esser dedicata con una Chiesa al glorioso Vescovo, e Martire S. Domino, insieme con S. Giacomo Apostolo : è di circuito di circa quattro miglia : parte di essa è bosco grande, e montuoso , tutto di altissimi Pini ; l’altra parte è pianura con boscaglie, nella quale il rosmarino, il ginepro, il lentisco, e la mortella servono di alimento agli ucelli, e a’ cavrioli, che vi sono in gran copia. In una precipitosa, ed erta ripa si annidano i falconi, e perciò si appella la ripa de’ Falconi: E quando era uso di farsi la caccia, per mezzo di questi Ucelli, venivano fino dalla Francia i Falconieri a provedersene. La Chiesa di S. Domino veniva posta tra que’ cespugli. Nella campagna non mancano monumenti di casuccie per coloro , che la coltivavano, e di cisterne per abbeverare i bertiami. Nel bosco, e fuori vi sono saline, e vi si forma sale assai bianco. Nel principio della salita vi è un Magazzeno per uso de’ Pescatori. All’intorno si vedono alcuni piccioli posti per ricovero delle barchette, e il più principale si chiama la schiavonesca, forsi perché  si frequentasse da’ Schiavoni.

   7. La seconda Isola si distingue sopra le altre, imperciocché si vede in essa innalzata la fortezza molto rinomata, e il Monistero, che da a noi ampia materia di dire : è di circuito tre miglia, e si appella l’Isola di Nicola, dal nome della Chiesa, che vi è dedicata a S. Nicolo Vescovo di Mira, oggi detto S. Nicolo di Bari. Dall’altra parte vi è qualche poco di bosco, dove sono abitazioni per gl’operarj, e cisterne per commodo de’ bestiami. Alla marina vi sono le stanze per l’Ammiraglio, e tre magazzini per uso de’ Pescatori. Finalmente un posto capace per ricevere gran numero di barche sottili, come chiamano.

   8. La terza vien domandata la Cappera, per l’abbondanza de’ Capperi, che produce, i fiori de’ quali si confettano in aceto, e fale, e si vendono. Gira intorno due miglia, e tra que’ virgulti vi è quantità di conigli. Da una parte verso Ponente, e Maestro vi è un posto capace di molti legni.

   9. La quarta, o piuttosto scoglio, che sia si chiama il Cretaccio di mezzo miglio in circa di circuito : Questa affatto è tutta infruttifera : divide il canale, e difende il porto da maestro, da tramontana, e da greco ; come pure questo porto è difeso da tutte le Isole , e da’ scogli, comecché S. Domino lo guarda da ponente, e parte da maestro ; S. Nicola da greco, e da levante, e parte da sirocco, recando la bocca di esso larga più di mezzo miglio, per la volta di mezzo giorno, e di libeccio, di manieracche l’acqua del mare viene ad esser chiusa.

   10. La quinta è uno scoglietto assai picciolo, e di niun momento, e si chiama la Vecchia. Nelle sue caverne annidano gl’ucelli, de’ quali si è parlato di sopra e che diedero motivo alle favole. De’ quali parlando Plinio lib.10. cap.44. mosso da qualche fama volgare, scrive, che essi sono molesti a’ Forastieri, che passano da quel luogo, e la perdonano a’ soli Greci, può dirsi anche favoleggiando, forse come Paesani. Colà si chiamano Arenne, ma propriamente tengono il nome di Artenne, le virtù de’ quali per l’olio, che fé ne cava, e le loro figure furono divulgate da Francesco Redi nel lib. delle naturali sperienze, che con tanta sua lode, e utile della medicina sono state fatte, e date fuori.

   11. Il P. Coccarella, di cui appretto, nel lib.1. cap.4. descrive a minuto quanto di sopra intorno alli suddetti ucelli, ed illustrando quello Paese, stimiamo non trascurare le sue parole : Cotesti ucelli chiamati di presente Artene più grandi alquanto delle Anatre, le piume sopra la schiena sono di colore azzurro verdeggiante, bianchi sotto il petto, il capo grasso, e ritondo, gl’occhi risplendenti come fuoco, il rostro runcinato alquanto, le gambe corte, i piedi gialli cartilaginati come l’oche, le ali alquanto longhe. E tuttocche siano altrove ucelli di tal forte, trovansi nondimeno in maggior quantità in queste isole Diomedee, i quali annidano nelle caverne, e buche delle pietre, bastando loro un sol uovo da covare. Di giorno pascono nell’alto mare, e la notte nelle caverne, e fra sassi si rinchiudono. Nel tempo poscia della state, di notte fanno risuonare d’ogni intorno li scogli col loro grido, o canto simile al pianto de’ Bambolini nella culla, in guisa che chi non ne avesse cognizione giudicherebbe piuttosto che bambini nella culla piangessero, che ucelli cantassero. Nell’Autunno i loro figli sono assai grassi, e allora gl’Abitanti dell’Isole li cavano dalle caverne con certi uncini di ferro, ma non già per mangiarli, essendo la carne di cattivo odore, talché è stomacosa, sola da farne grasso, che raccolto, e conservato a varie infermità giova, cioè a contrazione di nervi, venente da frigidità provato da molti, alla debbolezza cagionata da lunga infermità, ed a’ dolori di podagra mirabilmente. In fatti si manda fuori detto grasso, e viene molto ricercato, e in quei contorni è in gran stima per gl’effètti, che se ne sperimentano.

   12. Sono quest’Isole abbondanti, e fertili, oltre ad un aria  che si gode perfetta, chiara, e amena, e il P. D. Benedetto Coccarella, parlando della principale dice: Il terreno è assai grasso, e fertile, avendo i campi pieni di varj àlberi d’olivi, e viti in particolare, in guisa che (se egli è lecito dire) alla bell’Isola di Candia, già del gran Giove nutrice, puossi aggualiare. Che ciò sia vero, vi si raccoglie vino di tal perfezione, che avvanza il Falerno. l’olio è sì dolce, che può adequarsi quello di Venafro (commendato tra gl’altri da Plinio, da Varrone, da Strabone, da Orazio, da Marziale, e da Giovenale ) usandolo nelle vivande indifferentemente in vece di butiro. Sonavi fichi di tal gusto, e sapore che crederebbesi ognuno non dal Piceno, ma dal Paratiso Terrestre esser venuti : Sonavi in oltre copia di varie forte di Ciriege, frutti, che da Cerascente portò Lucullo in Italia, onde ebbero il nome, alcuni alberi delle quali producendole due volte l’anno, ristorano soprammodo quei, che le mangiano. Non dirò della quantità, e qualità de’ pomi granati, posciacche dal sapore agro, dolce, e misto potrai dare soddisfazione al tuo gusto. Vi sono altresì molte forte di mele, tra le quali vi è quella detta di Paradiso, dolce assai di sapore.

   13. Tutto questo era a tempo del P.Coccarella un secolo, e mezzo addietro, ma al presente non vi sono Vigneti, e pochi alberi di frutti. L’olio benché poco, è di gran perfezione. Caccie in abbondanza, in particolare di Conigli, e la rende decorosa la magnificenza degl’edificj, benché dall’assenza degl’Abitatori, e molto più dell’Abate, che ne manca da circa sestant’anni, va tutto in rovina.

   14. Non solo Diomede rendé famosè queste Isole, ma in appresso furono decorate, se così possa dirsi, con due celebri esilj : Uno di Giulia, Nipote di Augusto, come riferisce Tacito. Juliam Augusti Neptem adulterii convictam projectam ab eo fuisse in Insulam Tremetum, haud procul Apulis Lictoribus ibique viginti annis exilium tolerasse: L’altro di Paolo Warnefrido, detto volgarmente Paolo Diacono, Segretario di Desiderio ultimo Re de’ Longobardi, che fu relegato in quest’ Isole da Carlo Magno, come si legge in Leone Ostiense lib.1. cap.15. e ciò per non farlo morire, secondo meritava il suo delitto ; perché  ebbe giusto riguardo al suo sapere, e valore. E qui non è da tralasciarsi, che quantunque il Ducato Beneventano si stendess molto, in particolare sotto Arechi Duca, e poi Principe di Benevento, e di Salerno, quest’ Isole però mai furono sotto il suo dominio ; perché  non avendo i Longobardi forze marittime, mai gli venne fatto porvi piede ; siccome nemmeno in Gaeta, e altre Città poste al lido del Mare, che sempre furono dominate dagl’Imperadori Costantinopolitani, e Carlo Magno l’ebbe dopo che s’impadronì dell’Italia, e fondò il nuovo Imperio in occidente, onde perciò vi mandò relegato il sopraddetto Paolo Diacono.

   15. Ma sopra tutti da fama gloriosa a quest’ Isole la dimora, che vi fece il celebre Desiderio Abate di Monte Casino, poi Papa, sotto nome di Vittore III. il quale nato da’ Principi Longobardi in Benevento, e lasciando la sposa, che i suoi Genitori gl’avevano destinata, si fé Monaco del Monastero della SSma Trinità della Cava, d’onde passò a quello di S. Sofia sua Patria, e quindi veritus ne Civium, aut Familiarum , forse Familiarium, consuetudine a Dei servitio retraheretur, ad Insulam Tremitensem Monachorum ibi degentium fama Sanftitatis allectus, perrepit. Appresso per sfuggire il governo della medefima Badia si conduste nell’Eremo del Monte della Majella, per starsene nascosto tra quei Monaci, ma poi da Leone IX. fu forzato ritornare nel Monistero di S. Sofia di Benevento, indi si condusse a quello di Monte Casino, dove fu fatto Abate coll’approvazione di Stefano IX. dal quale fu inviato Legato in Costantinopoli, per trattare la communione della Chiesa Greca, finalmente fatto Cardinale enixit Praesulum, & Principum votis, ac precibus victus in Capuana Synodo Victoris nomen, & Pontificatus insignia, quae abiicerat, resumpsit : come si legge nelle lezioni del suo Officio, che si celebra ogni anno li 16. Settembre in Benevento, e in tutta la sua Provincia, con decreto della S. Congregazione de’ Riti de’ 12. Febrajo 1729. col quale si ordina celebrarsi anche per tutta la Provincia altri officj de’ Santi Beneventani, e da noi è stato dato fuori un Direttorio proprio per la S. Chiesa di Larino, e sua Diocesi con questo titolo : Officia propria Sanctorum Beneventana Provinciae studio, & diligentia. Jo : Andrea Tria Episcopi Larinensis, ad usum hujus S. Larinensis Ecclcsiae in hunc ordinem redacta. Quibus alia particularia adiecta ejus mandato nunc primum adita Neapoli 1733.