Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino/Libro I/Luogo preciso, in cui veniva situato Larino a tempo della Repubblica, e dell'Imperio Romano, ove del Pretorio, delle Terme, de' diversi Fonti, e altri Edifizj civili
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Capitolo X
Luogo preciso, in cui veniva situato Larino a tempo della Repubblica, e dell'Imperio Romano, ove del Pretorio, delle Terme, de' diversi Fonti, e altri Edifizj civili
1. NEl Cap.VI. fu detto, che l’antico
Larino era situato ne’ Frentani tra il fiume
Fortore, e il Biferno : ora vedremo, dove veniva particolarmente posto ; come
altresì qualche cosa dirassi della sua forma, estensione, e di quanto
si accenna nei titolo del presente Cap., riserbandoci far parola della sua distruzione nel
lib.3. cap.1., ed ivi parlare
del nuovo Larino: quindi è, che quantunque il tempo divoratore delle cose ci
abbia tolto il vantaggio di vedere in piedi questo Larino vecchio, che chiamano, e come fu a tempo della
Repubblica, e dell’Imperio Romano, non mancano però vestigj per farcelo divisare nella miglior maniera, che
possa venirci permesso.
2. Era egli posto sulla schiena di un Colle, oggi detto volgarmente
Monterone, amenissimo, pendente verso Settentrione, e di là per la parte Orientale,
come di qua ancora verso la parte Occidentale ; in tal guisa, che sembra un bel
Teatro, tutto aperto, sull’aspetto della Puglia, e del Monte Gargano per verso
Oriente, del Mare superiore, altrimente detto Adratico per Settentrione, e per
Occidente, e Mezzo giorno gran parte de’ Frentani, e Sanniti, i quali per lo più
compongono i due Abruzzi, non ostante che per la parte di Mezzo giorno venisse
appoggiato sul Monterone suddetto, come quello, il quale punto ingombra la sua
vista.
3. La di lui figura non è totalmente regolare, ma piuttosto in varie
parti
irregolare, di lunghezza da Mezzo giorno a Settentrione due miglia in circa, principiando dalla cima del Monterone,
sino alla Torre del Seminario, che
erano i due confini, quello per Mezzo giorno, e questo per Settentrione, e di
larghezza quasi un miglio nella parte meno spaziosa, cioè per Oriente dalla Chiesa di S. Primiano,
lasciando la pendenza, che sporge verso Oriente, e per
Occidente quasi fino al Fonte di S. Pardo, lasciando l’altro maggior pendio, che
scende ad un Vallone, detto il Vallone della Terra. Tutto il suo circuito ben
considerato sembra che fusse di quattro, e forsi di cinque miglia, non ostante, che
Celso Barozzini in una sua lettera de 27. Maggio 1519. che scrive a Santinello Capriolo, e
si conserva nell’Archivio del Signor Marchese
del Vasto, in un libro, che tiene il titolo : Raccolte di varie Memorie, e disegni
di cose antiche di varie Città, e luoghi delle Provincie di Abruzzo CiTra, ed Vltra: il quale, come
si dice altrove, inviato dal Marchese del Vasto di quel
tempo per far ricerca in Larino delle cose più memorabili, dice, che sono
molte le rovine, che appariscono in tutto lo spazioso sito di tre miglia in
circa della Città.
4. Veniva questa Città circondata da fortissime muraglie, e fino al
presente se ne vedono stupendi spezzoni, e molto più frequenti per verso la parte
Settentrionale, ed Occidentale, tra’ quali si vede anche un ordine di Bastioni,
che
appellano ; neppure mancano delle fosse attorno, e gli uni, e gli altri fanno
conghietturare la qualità della grossezza, e dell’altezza delle muraglie. Vi sono parimente le fabbriche di una Porta della Città, che tiene il nome di
Porta Aurea, tramandato dalla fama a’ Paesani. Ella sta posta giù per
Settentrione. Le sue fabbriche non sono tutte intere, e quelle, che si vedono
dimostrano fusse stata assai magnifica, e maestosa, e alla medesima si devono supporre uniformi le altre Porte.
5. In riguardare il sito, e le fabbriche di questa antichissima Città,
si
vedono osservate tutte quelle leggi, le quali si richedevano da’ Greci, e dagli
antichi in costruire le Città più cospicue, riferite da Platone nel lib.6.
de legib., cioè che fussero poste in alto,
ut munitiores sint,
& muniores. In fatti questa Città sta posta in dorso del suddetto Colle, tutta
aperta, e ben circondata di muraglie, e fossate ; respira nella medesima Città
un aria perfettissima, e sempre uguale, quale riflettendosi a tutte le sue
parti, si stima senza dubbio la migliore, non solo de’ luoghi di questa Diocesi,
ma anche di tutta la Regione Frentana, e si gode giocondissima, ritrovandosi
a vista dell’Adriatico, e lontana per il cammino di circa dodici miglia, non
è soggetta a quegl’incomodi, che porta la vicinanza del Mare, come appunto si
desidera da Platone de legib. lib.4. ove così dice : "Profecto Mare
Civitati proximum quotidiana quadam jucunditate eam afficit ; verumtamen vicinitas ea nimium
revera salsa est, atque amara. Nam cum mercibus, & pecuniis cauponando Civitas repleatur,
dolosi animi instabiles, & insidos mores
parit. Unde parum, & ipsa ad se ipsam, & ad gentes alias fidem, &
amicitiam colit.
6. Parimente vi era in questa Città il Pretorio, o fu il Palazzo del Senato,
l’Anfiteatro, o sia Colosseo, le Terme, i Tempj dedicati a falsi Numi, le Fonti
delle acque, che l’irrigavano, come ne’ seguenti Capitoli XI., e XII., in somma veniva ornata di tutto ciò, che fusse
necessario per formare una Città
Metropoli di una Repubblica, notato da Platone de legib. lib.6., da Aristotile
de Polit. lib.7. , da Pausania nella descrizione della
Grecia, il quale vuole, che Acherona non possa chiamarsi Città, per non avere
il Pretorio, o sia Palazzo della Repubblica, né Ginnasio, né Teatro : Acherona, dice egli,
stadium 20. via Panopaeum ducit Urbs est Phocantrum, si modo Urbem eam
appellare par fuerit, in qua Cives non Praetorium, non Gymnasium, non Theatrum , non Forum
ullum habent, non denique ullum perennis aquae receptaculum. E sebbene non vi faccia parola del Tempio, lo dice però
nel 9. libro, ove loda i Tanagrei, Popoli Greci, i quali avevano costruito il
Tempio separato dagli altri edificj privati, e dal luogo, ove si trattavano i
negozj, e così ivi : In eo sane Tanagraei praecipuam quandam prae cunctis
Graecis Religionis rationem mihii habuisse videntur, quod seorsum a prophanis AEdibus
Deorum Templa aedificanda curarunt, in Area, scilicet pura, &
ab hominum negotiationibus sejuncta.
7. Parlandosi presentemente del Pretorio, o fusse detto Palazzo de’ Decurioni,
o sia del Senato ; fino al presente si osservano le sue fabbriche. Sta egli posto
quasi nel mezzo della Città, e presso que’ Popoli tiene il nome di
Palazzo, non molto distante dall’Anfiteatro. Oltre a’ fondamenti, vi sono
fabbriche quasi intere in tutti i loro lati, e fanno divedere, che fusse fatto a
tre ordini, in gran parte atterrato per la lunghezza del tempo dall’ingrossamento del terreno.
E’ di lunghezza palmi Napolitani cento ottanta, e di
larghezza palmi cento trentasei. La grossezza de’ muri sul pian terreno è di
palmi quattro, e mezzo, e per regola di architettura de’ Romani deve supporsi sotto il pian terreno almeno di palmi
sei, ed un quarto, dandogli la quarta
parte di più della grossezza per ogni lato. Sta formato col gusto di que’ tempi
in tutte le sue parti. La superficie tanto esterna, che interna è di mattoni, e
la grossezza è composta di sassi spezzati, frammischiata la malta, la quale
è cosi indurita, che supera il marmo stesso ; e benché le muraglie si vedano scorticate,
quasi dapertutto, in alcune parti dell’edificio sono ben pulite, ed alcune volte dipinte. Tantoché
la sua grandezza era corrispondente al bisogno de1 Decurioni, e Senatori, che
formavano il Consiglio di una Città Metropoli di una intera Regione, di cui si
è fatto parola in questo medesimo lib.I. cap.7. num.2. e segg.
8. Neppur mancava in questa Città la Colonna Menia eretta in
Piazza, e forse
non discosta dal Pretorio, in cui debitores, fures, & servi fugitivi accusabantur,
& apud Trium-Viros Capitales puniri solebant, come Asconio in
Cicerone in C. Verrem vers. V. Vestri Ordinis reos : Reos vestra defenfione
condignos, vel fures, vel servos nequam, qui apud Trium-Viros Capitales apud Columnam Meniam puniri
solent. E poi vers. Ad Columnam Meniam. Menius cum domum suam venderet
Catoni, & Flacco Censoribus, ut ibi Basilica aedificaretur, exceperat sibi
jus unius Columnae, super quam testum projiceret provolantibus tabulatis ; unde
ipse, & posteri ejus spectare ni unus gladiatorum possent, quod etiam tum
in Foro dabatur. Ex ilio igitur Columna Menia vantata est.
9. E questa è quella Colonna, alla quale in Larino era stato
accusto, e condannato Manilio, Uomo malvagio, di cui parla Cicerone nella nostra
Cluvenziana : Manilium, plerique noratis. Non ille honorem a pueritia, non studia
vìrtutis, non ullum existimationis bona fructum unquam cogitarat, sed ex
petulanti, atque improbo scurra in discordiis Civitatis ad eam Columnam, ad quam multorum
saepe conviciis perductus erat cum suffragiis Populi pervenerat. Sopra di che Paolo Manuzio
vers. Ad eam Columnam, cosi dice: Jus dicebat opinor ad Columnam Meniam, ad quam
debitores, fures, & servi fugitivi accusabantur. In fatti fino a questi ultimi tempi è
stata ella
veduta; ma poi quasi infranta fu fabbricata, e posta tra le fabbriche dello
Sperone fatto per rinforzo del muro del Convento de’ Padri Cappuccini posto in
questa Città vecchia di Larino, conforme ci è stato riferito da persone,
che la viddero in essere tra altri spezzoni di fabbriche antiche.
10. Passando a parlare de’ luoghi de’ Bagni pubblici, da altri appellati
Terme,
in Greco cosi anche detti, Θιρμαι, in quanto sunt
quaedam loca publica, in quibus aut sanitatis, aut abstergendarum sordium causa lavamur
. Prescindendo
dal vedere se i luoghi siano caldi per natura, ovvero per artifizio; giacché
a sentimento di Valla in Raudensem : Thermis dicuntur, quae natura calidae sunt, balnea etiam, quae
calefiunt igne. La quale distinzione per altro
non si ammette comunemente sul fondamento, quod Neronis, & Titi Balnea,
Martiale, ed altri Thermas vocant, quae certe igne calefiebant. In
questo senso in Larino vi erano le Tenne, dove gli Uomini stanchi dalle fatiche de’
giuochi, ed esercizj, che facevano nell’Anfiteatro, si rincoravano, o si lavavano, o
si
apparecchiavano ad altre consimili, o che per delizie ciò facessero ; giacché
si osserva, e si riconosce da conghietture, che in contrada di esse non vi
era acqua naturalmente calda, e che si riscaldava artificiosamente, come appresso.
11. Le fabbriche delle Terme si vedono in Larino vecchio per
verso l’Anfiteatro,
propriamente attaccate alla Chiesa, e Spedale de’ suddetti Canonici Regolari
di Sant’Antonio Abate, distinte in diverse stanze, quattro delle quali sono
quasi intere, e tra esse varie Cellule, come piccioli ritiri, e per dentro sporgono varj Condotti, e Canali, per i
quali si dava l’acqua, e l’edifizio è di Fabbrica di terra cotta, e di pietra,
come le altre di sopra notate.
12. Vi erano, come sono, in questa Città molti Fonti di acque
limpidissime, benché rovinati i loro edifizj, e che che sia stato a tempo, che quella
Città era in fiore, quando se ne deve supporre maggior numero, disviate le acque, e
sotterrate le fabbriche dalla voracità del tempo, certa cosa è, che al presente
se ne contano sei, e se non sono le fabbriche di quella
magnificenza, che si possano figurare, le loro rovine però fanno
conghietturare la di loro antica qualità. Si stima il più magnifico in que’
tempi il fonte, che anche presentemente chiamano Fonte Palazzo, così detto, forse ritenendo il nome di
que’ tempi, perché passa, e si diffonde per
varie parti, e per diversi condotti vicino al Palazzo del Senato. Nasce quest’acqua nel
suddetto colle, chiamato Monterone, scorre per un principale
condotto, fatto a volta, largo circa sei piedi ; e si distende per una gran
pezza di cammino ; giacché niuno, per quel, che sappiamo, finora si è
inoltrato sino al fondo, e scorreva per mezzo della Città per altri minori
condotti, dando l’acqua ad altre minori fontane, come si vede.
13. Oltre al Fonte preaccennato, gl’altri, che si contano li noteremo con quel
nome, con cui presentemente si appellano. Sono, Fonte Longo, posto alla falda
d’un colle verso la parte orientale dentro la presente Vigna Baronale. Fonte
de’ Massari, che sta dentro la Vigna, detta la Torre del Seminario dalla parte
di settentrione, ed attualmente vi sono fabbriche ben formate antichissime,
con una mediocre, e deliziosa peschiera, tra le medesime fabbriche, formata dalla
bo: mem. di Monsignor Catalani Vescovo di Larino. Fonte Focolare, posto
nel confine settentrionale della Città. Fonte di S. Tecla, che ha preso il
nome dalla distrutta Chiesa vicina, situata nel confine della Città dalla parte
orientale, le fabbriche del quale sono magnifiche, e tali i suoi condotti, e ’1
vaso. Fonte Mastro-Vito, posto alla falda del Monterone, e parimente le
fabbriche di questo sono considerabili.
14. Quanto all’Anfiteatro, ci riserbiamo parlarne nel seg. cap.12.,
siccome
nel cap.12. di questo medesimo lib.I. parlaremo de’ Tempj dedicati a falsi
Numi.
15. I rottami, che vi sono, fanno conghietturare, che le fabbriche delle
particolari abitazioni fussero magnifiche, composte con mattoni, che chiamano
opus Lateritium ed altre opus reticulatum di antica struttura, e si vedono
spezzoni di pavimenti lastricati con varj pezzetti di marmi di varj colori, e
figure, che appellano opus Musivum ; oltre alle colonne, e statue di marmi
d’Imperadori,
ed altri simili monumenti di quell’antichità, si trova tra essi quantità di
medaglie, non solo di quelle, che si usavano a tempo degl’Imperatori, ma anche
a tempo della Repubblica, tanto di argento, che di Metallo, e presso di noi ne
conserviamo alcune dateci ultimamente da un Villano, nelle di cui mani erano
capitate iscavando quei terreni per la loro cultura, e ci suppongono, che per lo
passato se ne siano ritrovate in gran copia senza farsene conto, come non conosciute,
e cambiate quelle di argento con miserabile ricognizione. E non è
da disprezzarsi quel, che su di scrive il suddetto Celso Barozzini a Sentinello
Capriolo con detta sua lettera de’ 27. Maggio 1519. così leggendosi : Si seguita lo
scavo tra li Rottami di Larino antico, e per Jacovello si manda ad V. S. quello, che
si è trovato ultimamente con alcune medaglie de bronzo, ed
una de oro delo Imperatore Costantina, che io stimo assai rara.
16. In questo luogo adunque, e sito, e in detto stato fu Larino
a’ tempi della
Repubblica, come in quei degl’Imperadori, fino a tanto, che non fu trasferito
l’Imperio in Oriente, e per qualche tempo anche dopo ; appresso però colla
generale disgrazia della nostra misera Italia, e specialmente delle Regioni, che
ora compongono il nostro Regno, anche Larino restò oppresso dalle medesime sciagure, e poi totalmente
distrutto, e atterrato. Come poi, e quando ciò avvenisse, ci riserbiamo
parlarne appresso nel lib.3. cap.1. ove del moderno sito di Larino, sorto dalle
spoglie, e residui del vecchio.