Memorie di un pulcino (1918)/Presentazione
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I.
Presentazione.
Nacqui a Vespignano, nel Mugello, in Toscana, l’anno 1874.
Il babbo non l’ho conosciuto, e tutte le volte che ne domandavo alla mamma, era una scena da far intenerire anche i sassi. Si metteva a schiamazzare in modo compassionevole, e fra quei suoi gridi raccapezzavo a stento qualche cosa, come per esempio, girarrosto, fuoco, tirare il collo e altre piacevolezze dello stesso genere.
Io, come potete immaginarvi, ero in quel tempo troppo piccino, per capire come fosse andata la faccenda; ma fin d’allora cominciai a non poter più soffrir gli spiedi, e quando per cercar la mamma ero costretto a far capolino nella cucina della massaia, mi sentivo venire i bordoni. Ma lasciando da parte que’ momentacci, che, del resto, procuravo sfuggire a più non posso, la mia vita era tutt’altro che noiosa.
Si stava tutti, la mamma, i miei quindici fratellini ed io, in quel bel pollaio, grande, arioso, pulito che era una delizia; il giorno, poi, eravamo padroni di girandolare in un gran campo pieno d’ogni ben d’iddio; alberi di qua, alberi di là, ciliegie grosse grosse, carciofi, baccelli, piselli, tanti da non saper dove se li mettere; grano poi! ce n’era da sfamare una mezza città, a quel che diceva Giampaolo, un contadinone lungo come una pertica, che tutti di casa riverivano e chiamavano maestro.
Era lui quello che teneva le chiavi della dispensa, del granaio e della cantina; ma non c’era pericolo, no, che se ne tenesse di tutti quegli onori; anzi era affabile, buono e alla mano più degli altri; anche con noi pulcini se la diceva; e spesso, spesso, quando gli andavamo fra’ piedi, ci sbriciolava una bella midolla di pane.
Peraltro, il pulcino a cui tutti volevano più bene ero io; e la ragione non l’ho mai saputa; forse, mi si perdoni la superbia, sarà stato perchè non ero scontroso come i miei fratellini.
Quando Giampaolo, la massaia o anche la Mariuccia, figliuola di quest’ultima, mi venivano incontro, non scappavo mai; mi lasciavo pigliare ed accarezzare finchè fosse loro piaciuto; sicuro, se invece avesse voluto acchiapparmi qualche monello, tanto per tirarmi la coda o le penne, avrei fatto come gli altri: me la sarei data a gambe, e chi s’è visto s’è visto; ma con quella buona gente potevo star sicuro che male non me l’avrebbero fatto neppur per celia.
La sera, poi, quando la mamma ci chiamava per andare a letto, ero sempre il primo a obbedire; e se vedevo che i miei fratelli si facevano aspettare, mi sentivo limar lo stomaco; infatti com’è possibile il fare star in pensiero la mamma?
La Marietta diceva che ero piuttosto bellino, e siccome mi voleva un ben dell’anima, mi aveva messo al collo un nastrino rosso che, secondo lei, doveva crescermi bellezza. Ma io, a dirla fra noi, avrei fatto volentieri a meno di quell’impiccio, e più d’una volta mi provai a beccarlo e lacerarlo; la Manetta, però, me ne rimetteva subito un altro, esortandomi all’obbedienza.
Ohe cosa dovevo fare? Che cosa avreste voi fatto ne miei piedi, o bambini? Mi rassegnai.
Su’ primi giorni, lo confesso, la rassegnazione mi parve duretta, ma poi mi avvidi che la mia padroncina ci pativa, e io, per far piacere a lei mi tenni il nastrino in santa pace e mi ci avvezzai.
Date queste notizierelle che mi parevano più che necessarie per farmi un po’ conoscere, comincio subito a raccontar la mia storia, o, come oggi si direbbe, le mie avventure.
È una storia, sono avventure da pulcino, ma non dubitate, no, la mia parte di disgrazie l’ho avuta anch’io, e i giorni neri sono stati più frequenti di quelli color di rosa. Tuttavia ho cercato di sopportare i dispiaceri con quella fermezza d’animo che il buon Dio mette anche nelle povere bestioline, e a’ tempi felici non sono mai montato in superbia e ho cercato sempre di fare quel po’ di bene che stava in me.
Ora me la passo discretamente.
Di pulcino son divenuto un’robusto e svelto galletto e se ho la fortuna di rimanere co’ padroni co’ quali sto ora, sono certo, certissimo di morir di vecchiaja.