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198 | parte seconda |
il proprietario del teatro, che sua moglie non avrebbe, di certo, recitato il séguito della Sposa Persiana, di cui aveva già inteso parlare. Fu da sua eccellenza Vendramini molto mal ricevuto, onde, non potendo il comico sfogare la sua collera col suo superiore, mise in pezzi il proprio orologio, gettandolo di colpo, nell’escire, nella vetrata di un paravento del quale mandò i vetri in tanti pezzi. Fece ancor peggio: si portò al palazzo del ministro di Sassonia che cercava comici per il re Augusto di Polonia, e s’impegnò per Dresda unitamente alla moglie, e sparvero entrambi senza dir nulla. Non vi fu uno che se ne mostrasse dolente, ed io molto meno degli altri, poichè restai in libertà di lavorare a mio piacere, e contentai i miei compatriotti, dando loro finalmente il sèguito tanto bramato. Il titolo della seconda commedia di questo mio soggetto fu Ircana a Julfa. Julfa, o Zulfa è una città distante una lega da Ispahan, abitata da una colonia di Armeni, che Scak-Abas aveva fatto venire in Persia per maggior vantaggio del commercio. Forzata Ircana ad escire da Ispahan prende la risoluzione di andare a Julfa. Ambiziosa sempre, e sempre amante, sceglie un luogo che non la tenga per troppa lontananza, divisa dal suo caro, facendosi scortare, in abito virile come già era, da un eunuco nero chiamato Bulganzar, a lei ben affetto. All’alzar del sipario mirasi il sole che comincia a spuntar dall’orizzonte, la porta di Julfa chiusa dal ponte levatoio, e Ircana che dorme a piè d’un albero. In quel tempo il negro passeggia, e pone al fatto con le sue osservazioni ed idee gli spettatori riguardo al locale della scena e alle intenzioni della Circassa. Viene abbassato il ponte levatoio che dà ingresso alla città da cui escono gli Armeni, e prendono differenti strade per andare, per quello che dicono, a scorrere i mercati di quella regione. Restano solo due, cioè Demetrio e Zaguro. Bulganzar, avido e di mala fede, propone agli Armeni la vendita di una schiava. In quest’istante Ircana si sveglia, si alza, si accorge dell’intenzione dell’eunuco, e si avanza, esibendosi ella stessa per schiava, senza altro chiedere se non se asilo e sussistenza. Ella si sottoporrà di buon grado a prestar qualunque servizio, a condizione però di non esser rivenduta e d’esser lasciata in pace circa la continenza. Ecco i due mercanti in contrasto per l’acquisto della medesima. Ircana domanda di far la scelta del padrone ella stessa, ciò che le viene subito concesso. Il preferito è Demetrio; Zaguro n’è geloso e giura di vendicarsi. All’apertura del secondo atto, compariscono quattro donne armene con lunghe pipe alla bocca che fumano e prendono caffè: esse sono la moglie, la cognata, e le due figlie di Demetrio. Egli appunto giunge in quell’istante con Ircana, che con loro fa passar per un giovine schiavo sotto il nome d’Ircano affine d’evitare i sospetti delle sue donne, il difetto nazionale delle quali è la gelosia. Seguono pertanto parecchie scene molto comiche e dilettevoli fra la circassa e le armene, che, trovando il supposto loro schiavo molto amabile, lo accarezzano e procurano di andargli a genio.
Bulganzar ritorna a Julfa, e trova il modo di parlare ad Ircana segretamente. In questo abboccamento l’avverte che Thamas, venuto a cognizione della sua dimora, è per giungere a momenti a trovarla. Ircana prova un incanto di piacere nel tornare a rivederlo, ma però non cangia carattere. Sempre fiera ed amante dà un amplesso al suo primiero amico, ed un momento dopo accommiata bruscamente lo sposo della sua rivale. Thamas disperato e nell’eccesso della passione, è pronto a sacrificare per lei la sua sposa. Non