Memorie autobiografiche/Primo Periodo/IV
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Capitolo IV.
Altri viaggi.
Alcuni viaggi ancora io feci con mio padre, quindi un viaggio a Cagliari col capitano Giuseppe Gervino, brigantino Enea.
In quel viaggio fui spettatore d’un tremendo naufragio, la cui memoria mi rimane incancellabile. Al ritorno da Cagliari eravamo giunti sul capo di Noli, e con noi vari bastimenti, fra i quali un felucio catalano. Da vari giorni minacciava il libeccio, e grossissimo era il mare; quindi si scagliò il vento con tanta furia da farci appoggiare in Vado, essendo pericoloso di entrare nel porto di Genova con tale uragano.
Il felucio da principio galleggiava mirabilmente e sostenevasi da far dire ai nostri marinari più provetti, esser preferibile trovarsi a bordo di quello. Ma dolorosissimo spettacolo dovea presentarci ben presto quella sventurata gente!... Un orrendo maroso rovesciò il loro legno, e non vedemmo più che alcuni individui sul suo fianco superiore stenderci le braccia e sparire travolti nel frangente d’un secondo maroso più terribile ancora. Avea luogo la catastrofe verso il nostro giardino di destra,1 quindi impossibile aiutare i miseri naufraghi. I barchi che dietro di noi venivano, furono pure nell’impossibilità di soccorrerli, essendo troppa la violenza della bufera e l’agitazione del mare, e miseramente perivano nove individui della stessa famiglia (ciò che si seppe poi).
Alcune lacrime sgorgarono dagli occhi dei più sensibili al miserando spettacolo, esauste presto dall’idea del proprio pericolo.
Da Vado in Genova, quindi in Nizza, ove principiai una serie di viaggi in Levante ed altrove con bastimenti della casa Gioan.
Viaggiai a Gibilterra ed alle Canarie col Coromandel del signor Giacomo Galleano, comandato da suo nipote capitan Giuseppe dello stesso nome, di cui conservo grata memoria.
Tornai poi ai viaggi di Levante; ed in uno di quelli col brigantino Cortese, capitano Carlo Semeria, rimasi ammalato a Costantinopoli. Il bastimento partì, e prolungandosi la malattia più del creduto, io mi trovai alle strette. In qualunque circostanza di strettezze o di pericolo non mi sono mai sgomentato. Io ho avuto molta fortuna nell’incontro d’individui benevoli da interessarsi alla mia sorte. Tra codesti non dimenticherò mai la signora Luigia Sauvaigo di Nizza, una di quelle donne che mi hanno fatto dire tante volte esser la donna la più perfetta delle creature, checchè ne presumano gli uomini. Madre, modello delle madri, essa faceva la felicità del suo eccellente sposo e dell’amabile sua prole, che educava con una squisitezza impareggiabile.
La guerra accesa tra la Russia e la Porta contribuì a prolungare il mio soggiorno in Costantinopoli. In tale periodo mi successe per la prima volta impiegarmi a precettore di ragazzi, per offerta del signor Diego, dottore in medicina, che mi presentò alla vedova Timoni che ne abbisognava.
Entrai in quella casa maestro di tre ragazzi, e profittai di tale periodo di quiete per studiare un po’ di greco, dimenticato poi siccome il latino che avevo imparato nei primi anni.
Ripresi quindi a navigare, imbarcandomi col capitano Antonio Casabona, brigantino Nostra Signora delle Grazie. Quel bastimento fu il primo ch’io comandai da capitano in un viaggio a Maone e Gibilterra di ritorno a Costantinopoli.
Io salterò la narrazione del resto dei miei viaggi in Levante, non essendomi accaduto in quelli cosa importante.
Amante passionato del mio paese, sin dai prim’anni, ed insofferente del suo servaggio, io bramavo ardentemente iniziarmi nei misteri del suo risorgimento. Perciò cercavo ovunque libri, scritti che della libertà italiana trattassero ed individui consacrati ad essa. In un viaggio a Taganrog mi incontrai con un giovine ligure, che primo mi diede alcune notizie dell’andamento delle cose nostre.
Certo non provò Colombo tanta soddisfazione alla scoperta dell’America, come ne provai io al ritrovare chi s’occupasse della redenzione patria.
Mi tuffai corpo e anima in quell’elemento che sentivo esser il mio da tanto tempo, ed in Genova il 5 febbraio 1834 io sortivo la Porta della Lanterna alle 7 pomeridiane, travestito da contadino e proscritto. Qui comincia la mia vita pubblica: pochi giorni dopo leggevo per la prima volta il mio nome su d’un giornale. Era una condanna di morte al mio indirizzo, rapportata dal Popolo sovrano di Marsiglia.
Stetti inoperoso in Marsiglia alcuni mesi. Un giorno, imbarcato da secondo a bordo dell’Unione (brigantino mercantile francese), capitano Francesco Gazan, mi trovavo verso sera nella camera, vestito in gala per scendere a terra.2 Udimmo un romore nell’acqua del porto, e ci affacciammo, il capitano ed io, ad ambi i balconi. Un individuo si annegava sotto la poppa del brigantino, tra questa ed il molo. Io mi lanciai, e con molta fortuna salvai la vita al Francese, spettatrice un’immensa popolazione plaudente.
Era il salvato Giuseppe Rambaud, quattordicenne. Io ebbi la guancia bagnata dalle lacrime di gratitudine d’una madre e la benedizione di una famiglia intiera.
Anni prima, sulla rada di Smirne, avevo avuto la stessa fortuna col mio amico e compagno d’infanzia Claudio Terese.
Un viaggio ancora coll’Unione nel Mar Nero. Uno in Tunisi con una fregata da guerra costrutta in Marsiglia per il Bey, quindi da Marsiglia a Rio Janeiro col Nautonier, brigantino di Nantes, capitano Beauregard.
Nel mio ultimo soggiorno in Marsiglia ov’ero ritornato da Tunisi con un barco da guerra tunisino, ferveva in quella città il colèra, facendo strage grandissima. Eransi istituite delle ambulanze in cui si presentavano volonterosi ad offrire servigi. Io diedi il mio nome ad una di quelle, e nei pochi giorni che rimasi in Marsiglia passai parte delle notti custodendo colerici.