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294 POESIE

     Privata io mi vivea
     Dell’amata presenza;
     Dettavami ragione,
     Che rimirarlo io disiava in vano,
     Mentre ei m’era lontano;
     Ma oggi qui venuta, ove sperai
     Acquetar questa vista
     De’ caldi suoi desiri,
     Ogni minimo indugio
     M’empie d’insopportabili martiri;
     O amorosa corte,
     Come se’ tu ripiena
     In ogni tempo e loco,
     E per ogni persona
     Di tormento e di pena!
     Altri godendo all’amor suo presente
     Piange, che non ha schermo
     Dal sempre consumarsi in fiamma ardente;
     Altri adorando una crudel bellezza
     Preghi ricerca indarno
     Da vincer l’implacabile durezza;
     Alcun per gelosia
     Sepolto in fondo de’ più rei tormenti
     Odia la cosa amata
     O gli sia cruda o pia;
     Così vive penando, anzi ben vive
     Un fedele d’Amore;
     Ma pure, e la cagion dir non saprei,
     Io volentier torrei gli altrui dolori
     Per non soffrire i miei,
     Parmi che ciascun’anima amorosa
     Possa a ragion chiamarsi
     Se meco si pareggia,
     Ne trista, nè dogliosa;
     Orsù senza dolerci
     Partiamo volentieri
     Questi graziosi affanni;
     E cerchiamo colui,
     Che con sua dolce vista.
     Ce li può far leggieri.

SCENA TERZA

Alcippo.

Giro i passi e rigiro
     In questa, e ’n quella parte,
     Nè mi si dona d’incontrar colei,
     Che cotanto desiro;
     Piè miei, che foste pronti
     A partirmi da lei,
     E me da’ suoi begli occhi
     Tanto sapeste mantener lontano,
     Giusta è questa fatica,
     Che voi durate in ricercarla invano;
     Occhi miei lagrimosi
     Del vostro lagrimar non vi dolete;
     Non foste voi possenti
     Lasciar quei lumi ardenti?
     Or s’amaste trovar tenebre oscure
     Per entro lor vivete,
     Che giustissime son vostre sventure;
     Infelici occhi miei,
     Non v’incresca soffrire
     La pena dell’errore,
     Onde voi siete rei;
     Ma tu, benigno Amore,
     Non voler misurare
     E mie colpe e miei merti;
     Volgi sol tua memoria alla mia fede;
     Fa, Signor, ch’io riveggia
     Gli occhi di Meganira,
     E ciò d’ogni mio duol sia la mercede.

SCENA QUARTA

Meganira

.

Creder vogl’io ch’Amore
     Abbia coperto d’una nebbia oscura
     Alcippo, ed al mio guardo lo nasconda;
     Cotanto hollo cercato,
     Ch’omai vo’ rimanermi
     Di più cercarlo, mentre
     Lui non so ritrovare
     Che cotanto desio,
     Temo di dimostrarmi al fratel mio
     Cui mi vorrei celare;
     Penso finchè sia sera
     In queste folte macchie,
     Che qui veggo, appiattarmi;
     Come l’aria sia nera
     Ricercherò d’Alcippo o d’Aretusa
     Con minore periglio;
     lo non son per lasciar queste contrade,
     Salvo felice appieno od infelice;
     Regga Amor mio consiglio.


ATTO TERZO


SCENA PRIMA

Alcippo, Logisto, Selvaggio.

Alc. Godo ben, che venuti
     Siate a pigliar diletto
     De’ nostri giochi; ma non taccio il vero;
     Parmi, Logisto, che si disconvenga
     A gentil giovinetto
     Mirar l’altrui valore,
     E del suo non far prova;
     Se forse teco s’accompagna Amore
     Pensa quanto gradito ed ammirato
     Alla tua bella Ninfa
     Sei per farti vedere
     Di fronde vincitrici incoronato.
Log. Consento al tuo consiglio,
     E per cammino io stimolai Selvaggio
     A porsi in paragone
     De’ veloci cursori;
     Ei di sperar vittoria ha gran cagione;
     Rapidissimo piede,
     Infaticabil lena,
     Poco ch’ei s’affatichi
     Non lascia suo vestigio in sull’arena;
     Ma io quale speranza