Meditazioni sulla economia politica/XXXIV
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È da considerarsi oltre ciò che qualora si ripartissero tutt’i tributi su i fondi di terra si perderebbe affatto il beneficio che lo Stato può ricevere da una tariffa ben fatta che regoli il tributo sulle merci, sì all’ingresso, sì all’uscita. Il tributo sulle merci fa l’officio di allontanare la nazione rivale, come le gratificazioni fanno l’officio di accostarci alle altre nazioni in quella parte, in cui gl’interessi dell’annua riproduzione lo richiedono. Un tributo sulla uscita d’una materia prima può essere un incentivo fortissimo ad accrescer l’annua riproduzione col ridurla a manifattura. Un tributo sopra una manifattura estera può dar vigore a una consimile manifattura interna. Io non mi estenderò su questi elementi chiaramente sviluppati da varj scrittori. La direzione che può darsi providamente all’industria col mezzo della tariffa, l’accrescimento sensibile dell’annua riproduzione che si può operare col tributo saggiamente imposto sulle merci, sono beni di tale importanza ch’io credo che superino di gran lunga l’inconveniente delle spese della percezione.
Una ben regolata tariffa può essere utilissima adunque a proteggere l’industria nazionale, ed a promuovere la riproduzione dello Stato: ma non perciò credo io che il tributo sulle merci possa mai far concorrere le terre forestiere al tributo nazionale; poichè o trattasi di merci estere introdotte nello Stato, e il tributo che loro s’imponga lo pagherà il consumatore nazionale siccome si è veduto: ovvero trattasi di tributo imposto sull’uscita delle merci nostre, e questo pure si pagherà dal consumatore estero bensì, ma non caderà mai sulle terre. Il terriere come terriere non paga mai tributo, il tributo lo paga sempre, e infallibilmente il consumatore; egli è vero, che i consumatori sono alla fine quei che possedono, poichè pagano ai non possessori (de’ quali consumano il tempo) tutte le loro consumazioni subalterne; però non è in qualità di possessori che pagano il tributo, ma bensì di consumatori. Se però vorrà farsi concorrere al tributo in tal modo il consumatore estero, le nazioni rivali nella vendita potranno annientare la nostra esportazione offrendo le merci a minor prezzo.
Credo giovevolissima allo Stato una tariffa saggiamente immaginata, e un tributo giudiziosamente imposto sulle merci, ma non credo che sia utile giammai il proibire l’uscita d’alcuna materia prima dallo Stato; sebbene credo utile l’imporre a quell’uscita un tributo. La ragione di ciò si è già accennata altrove, perchè le leggi proibitive e vincolanti l’uscita avviliscono il prezzo, perchè al bel principio sottraggono tutto il numero de’ compratori esteri a fronte dei venditori nazionali. Avvilito il prezzo se ne deve diminuire la coltura necessariamente, e la materia prima caderà nelle mani di alcuni pochi monipolisti che non lasceranno godere alla nazione nemmeno l’abbondanza di questa materia prima, di che ho parlato più sopra; laddove un tributo cautamente impostovi fa l’effetto di allontanare il compratore estero bensì, ma non l’esclude, nè si dà luogo a nascere il monipolio.
Per la tutela poi di questo tributo sulle merci è da osservarsi che quanto più le merci sono voluminose e di valore, tanto più si può accrescere il tributo; e quanto meno ne è il volume o il valore, tanto debb’essere più leggiero il tributo: e ciò perchè quanto è più facile la frode, e quanto maggiore interesse vi è di farla, tanto più si fa; e la pena naturale del contrabbando si è la perdita della merce fraudata.
La tariffa dovrebb’essere un semplice vocabolario succinto e portatile, dove per ordine d’alfabeto si ritrovassero tutte le merci soggette a tributo, con di contro la quantità che per ciascuna si deve pagare in due casi: quando entri, ovvero quando esca dallo Stato. I meri transiti dovrebbero lasciarsi esenti, perchè questa esenzione sempre più inviterà il passaggio per lo stato e il denaro che i condottieri vi lasceranno di gran lunga ricompenserà la poca perdita di quel tributo; perchè in secondo luogo o il tributo di transito s’impone indistintamente a peso, ovvero distinguendo le mercanzie in classi; se indistintamente si fa, dovrebbe pagare lo stesso tributo un centinajo di libbre di seta e oro, e un centinajo di vasi di terra, sproporzione ingiustissima e che escluderebbe i transiti più numerosi delle merci meno preziose; se si fa con distinzione, debbono dunque assoggettarsi alla visita le cose che transitano, e il proprietario della merce non soffrirà che passi da uno Stato dove colla presenza del solo condottiere debbe scomporsi e ricomporsi, con pericolo d’essere poi o mancante o mal rassettata. Gl’inconvenienti e i pericoli d’imporre tributo ai transiti sono tali a mio giudizio che non sono compensati dal poco utile che può recare quella tenue porzione di tributo; e la libertà totale del passaggio è tanto ospitale, e conforme alla ragione e agl’interessi pubblici che non mi pare possibile il provarvi un inconveniente.Alcune merci pagano ai misura, altre a peso, altre a numero, altre a stima del valor capitale. La tariffa dovrebbe secondar l’uso della negoziazione e tassare su quella misura sulla quale si fanno comunemente i contratti. A stima di valore si dovrebbero tassare quelle merci che nella contrattazione, nè si pesano, nè si misurano; poiche in quel genere di merci vi è somma differenza nel valor capitale anche fra due cose che avranno lo stesso nome. Ogni trasporto interno dovrebbe poi essere libero pienamente, e il tributo dovrebbe esser uniforme in ogni parte dello Stato sulla merce medesima. Così la totalità del tributo sarebbe portata da tutti i fondi stabili, e da tutte le merci cadenti nel Commercio esterno; dal che verrebbero i commercianti a sollevare in parte i pesi dell’agricoltura; si lascerebbero neutrali i possessori della merce universale d’impiegarla in aumento dell’annua riproduzione, o nell’agricoltura, o nelle manifatture; e si sarebbe posto il censo su tutt’i possessori censibili.
È stato proposto il quesito se qualora tutte le nazioni si accordassero ad abolire il tributo sulle merci, cosicchè liberamente e senza verun carico ogni merce potesse entrare o uscire in uno Stato, se, dico, questa operazione sarebbe universalmente giovevole, ovvero quali effetti produrrebbe. Se questo accordo fra le potenze d’Europa fosse sperabile è molto facile il prevedere quali ne sarebbero le conseguenze; cioè le medesime che nascono in uno Stato, togliendogli i tributi sulla interna circolazione. Si accosterebbero le nazioni fra di loro; si moltiplieherebbero i contratti; l’industria generalmente e l’annua riproduzione si rianimerebbero per tutta l’Europa; gli uomini goderebbero di comodi maggiori; ma la potenza degli stati cioè la relazione che ha uno stato coll’altro resterebbe la medesima. Se fosse sperabile un accordo così fortunato (nel tempo in cui nemmen si è fatta una convenzione per ridurre i pesi e le misure all’uniformità generale, il che pure non porterebbe sacrificio alcuno o dispendio a farsi) nessun uomo vi sarebbe che volesse contraddire a una idea tanto provida e umana, che tenderebbe ad accrescere il numero de’ nostri simili, e ad aumentare gli agj della vita sopra di ciascuno. Ma fin tanto che altri Stati impongono tributo sulle merci, e che si sforzano di allontanare le nostre dal consumarsi entro i loro confini, necessità vuole che noi pure rendiamo ad essi più care le materie prime che ricevono da noi, e in paragone nell’interno consumo dello Stato aggraviamo di tributo le manifatture estere; cosicchè le nostre abbiano, sempre che si può, la preferenza; che se ciò non si facesse da una nazione sola, dico, che quella soffrirebbe colla massima energia i mali che posson cagionare i tributi sulle merci, e avrebbe rinunziato alla utilità che se ne può risentire.
Riassumendo la Teoria del tributo io dirò che la esatta giustizia vorrebbe che il tributo venisse ripartito sopra di ciascun possessore a misura di quanto possede, ma gl’inconvenienti che altrimenti nascerebbero obbligano a escludere i meri possessori della merce universale. I soli possessori adunque dei campi e delle merci vendibili sono i naturali anticipatori del tributo che si paga finalmente dal consumatore. Collocato il tributo, in ogni altra parte sarà sempre di maggior peso alla nazione.