Meditazioni sulla economia politica/XXXIII
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Restano dunque censibili i fondi d’agricoltura, le case, e le merci. Non mancano in questi ultimi tempi delle opere scritte profondamente sulla materia del tributo, nelle quali con assai precisione si dostiene dover questo cadere interamente sopra le terre, e doversi i fondi d’agricoltura considerare come i soli beni censibili dello Stato. Questa forma di ripartire il tributo è perfettamente corrispondente ai cinque canoni stabiliti di sopra; poichè non caderebbe mai di slancio su i poveri; sarebbe di pochissima spesa la percezione; avrebbe leggi inviolabili che escluderebbero ogni arbitrio: non s’interporrebbe mai a interrompere la circolazione, nè punirebbe l’accrescimento dell’industria, soltanto che le terre rese nuovamente a coltura si lasciassero per leggi esenti dal tributo per un determinato numero di anni. Non si può dare maniera più semplice di questa. Una stima generale di tutti i fondi dello Stato formerebbe il catastro sul quale ripartire il tributo. Ogni anno si potrebbe sapere di quanta somma abbia bisogno l’erario pubblico, quante spese si debban fare dallo Stato per mantenere le opere pubbliche, le strade, i ponti, gli argini ec. (spese le quali è sempre bene ripartirle universalmente su tutta la società), quanto importerebbero le nuove opere da farsi per render navigabili i canali, e i fiumi, veicoli dell’industria che avvicinano reciprocamente le terre ec. Tutte queste spese territoriali unite a quelle stabili dell’erario formerebbero la somma da imporsi fu tutti i fondi di terra registrati nel catastro, e così con un facile conteggio verrebbe dichiarato quanto si debba pagare per ogni scudo di valor capitale de’ fondi stabili. Ogni terra, ogni distretto avrebbe il suo catastro provinciale colla quantità totale degli scudi a cui è valutato il suo territorio, e colla specifica nomenclativa della quantità del valore dì ogni campo; onde con un semplice editto ogni possessore saprebbe quando scada il tempo, e quanto debba pagare per il tributo. Ogni terra avrebbe il proprio esattore obbligato a sborsare nella cassa della provincia nel dato termine la data somma. L’esattore talvolta dovrebbe anticipare la somma a nome di qualche possessore, contro del quale avrebbe l’ipoteca privilegiatissima dei fondi obbligati al tributo, e dal quale dovrebbe percepire un frutto del denaro anticipato, fissato bensì dalla legge, ma più alto dei correnti interessi. Le casse delle provincie disporrebbero poi del tributo o trasmettendolo alla capitale, ovvero a misura degli ordini che ricevessero dalla camera.
Ma se tutto d’un colpo si abolissero le gabelle e si collocasse l’intero tributo sulle terre egli è certo che con questa operazione si verrebbe a diminuire il valor capitale di tutti i fondi terrieri di tanto quanto ascende il capitale l’interesse di cui sia uguale al tributo nuovamente imposto. Se ad un podere si accrescano di tributo perpetuo trentacinque lire annue quel podere al momento è diminuito di prezzo mille lire per lo meno, giacchè gl’impieghi in fondi stabili si fanno a meno del 3 1/2 per 100. e il padrone del fondo se lo venderà riceverà mille lire di meno del suo podere. Quand’anche collo scorrere di molti anni, mutando padrone i fondi, dovesse trovarsi la società in un felice sistema, resterebbe da vedere se sia cosa poi tanto ragionevole il sacrificare totalmente il ben essere della società vivente, e avente una odierna ragione di bene esistere alla ventura società di ignoti successori. Io non lascerò di condannare la spensieratezza de’ nostri antenati i quali con molte cattive operazioni e con debiti pubblici hanno fatto cadere sulla generazione vigente la pena de’ loro abusi; ma l’altro estremo è vizioso del pari. Sin tanto che gli affari politici saranno maneggiati dagli uomini, e che le opinioni vi avranno il loro giuoco non meno che i movimenti sconosciuti che noi chiamiamo fortuna credo che sarà sempre un cattivo partito l’affrontare un male certo e sensibile per ottenere un bene pubblico in un tempo rimoto che sarà sempre incerto, perchè entro un lungo spazio di tempo accadono dei bisogni e delle circostanze affatto imprevedibili ad una nazione.
Ho detto al §. XXX. che il tributo si conguaglia sopra i consumatori: ma un tributo di slancio imposto sopra i fondi di terra diventa una perpetua servitù passiva del fondo, e una diminuzione del capitale, e una vera sterilità politica rispetto al proprietario attuale; il quale se vende il fondo non si risarcirà del tributo giammai e lo avrà portato solo, se lo conserva non potrà giammai risarcirsi sulle vendite de’ frutti delle sue terre ammeno che non venisse intercetto l’ingresso nello Stato di simili frutti; operazione ostile per tutto il popolo e che importerebbe le gabelle per custodia togliendo la uniforme semplicità che si ricerca da chi così propone. Quindi a me pare che sarebbe ingiusta cosa il collocare di slancio una parte sensibile di tributo sulle terre abolendo altri tributi perchè non è giusto preferibilmente collocare i pesi pubblici a una sola classe in modo che ella non possa averne conguaglio e perchè anche i possessori delle merci son possessori che ricevono dallo Stato una egual protezione sulla lor proprietà reale, e in conseguenza debbono egualmente a proporzione della ricchezza portar parte del peso della pubblica tutela. Se l’annua riproduzione è il vero fondo della ricchezza nazionale, e se quest’annua riproduzione parte è formata dalle derrate e dai frutti della terra, e parte dalle manifatture; sarà indifferente che l’uomo sia ricco perchè posseda le une piuttosto che l’altre; e se la giustizia suggerisce di far che contribuiscano i possessori nel tributo a misura della loro ricchezza, mi pare evidente che il possessore mercante debba portare una parte del peso appunto come il possessore terriere.
Se vorrà darsi una esenzione totale al mercante, e appoggiare il carico totalmente sul possessor terriere, resterà l’industria degli uomini rivolta più alle manifatture che non all’agricoltura, e vi sarà pericolo che quest’ultima non risenta i mali del tributo; quando il di lui difetto è originato dalla sproporzione colle forze dei contribuenti. Nè potrà il terriere giammai conguagliare sulla nazione il gravoso tributo impostogli, tosto che la nazione possa ricevere le derrate anche da estero paese: essendo che qualora il terriere volesse risarcirsi vendendo a più caro prezzo il grano, il vino, l’olio ec. il negoziante introdurrebbe da paesi esteri le medesime derrate, e forzerebbe il proprietario terriere a ribassare. Si osservi in tal proposito che anzi se lo Stato confinasse con un paese fertile, e in cui il tributo sulle terre fosse leggiero, tutte le derrate estere entrandovi senz’alcun tributo verrebbero ad avere la preferenza, ammeno che il proprietario delle terre nazionali non ribassasse al loro livello il prezzo delle derrate nazionali; e così il tributo nuovamente imposto sulle terre ricaderebbe in una costante diminuzione di ricchezza del terriere sia nella rendita annua, sia nella vendita che volesse fare dei fondi. In uno Stato estero e grande quest’inconveniente non si farà sentire se non verso i confini; ma in una più ristretta società il danno passerà in ogni parte, e penetrerà fino al centro.
Tutt’i tributi che si pagano dal contadino e nel vestito, e nel cibo, e nei contratti, e sotto qualunque altra forma gli paghi, realmente gli paga il proprietario del fondo. Questo è evidente; poichè dalla riproduzione annua, dei campi si debbono prededurre le spese della coltivazione, il vitto del contadino, e ogni tributo pagato dal contadino; il restante sarà la porzione dominicale; e se al contadino si toglierà ogni tributo, di altrettanto verrà a potersi dilatare la porzione dominicale. Dunque il tributo del contadino cade sul proprietario. Lo stesso dico del tributo che paga ogni domestico salariato dal padrone dei fondi di terra, essendo che colui che non possede in questo mondo altro che il suo salario, da questo cava di che pagare il tributo; onde di tanto potrebbe sgravarsi il proprietario sulla porzione colonica di quanto fosse aggravata la dominicale; e di tanto pure sgravarsi il padrone su i salarj de’ domestici, di quanto essi fossero sollevati nella consumazione; e il manifattore di tanto pure diminuire le mercedi della man d’opera di quant’essa fosse sollevata. Sin tanto adunque che si aggraverà la parte dominicale del proprietario terriere di tutto il tributo che pagavano i contadini, e i salariati; con queste operazioni si saranno ottenuti due ottimi fini; cioè rendere più certa, e indefettibile la rendita per l’erario, e sollevare il proprietario medesimo, gli agricoltori, e i salariati dall’arbitrio, e dalle maggiori spese della percezione dell’antico tributo.
Ma in una nazione si considera che la quinta parte di essa vive nelle città, e sebbene quella proporzione asserita da uno scrittore, che fu dei primi a meditare sopra alcuni di questi oggetti sia stata contrastata da un filosofo Inglese, si troverà in pratica generalmente vera. Delle quattro quinte parti della nazione che vivono fuori delle Città, ve n’è una porzione sensibile che non vive d’agricoltura, ma bensì sulla negoziazione. La parte che vive nelle città non è certamente composta tutta di possessori delle terre, e de’ loro salariati. Vi è un ceto considerabile di Cittadini possessori di merci, e molti salariati dipendenti da essi, e tutta la somma del tributo che attualmente pagano i possessori delle merci e loro salariati sarebbe una somma di sopraccarico che caderebbe sulle terre con troppo peso ai proprietarj, e con fisica e reale diminuzione della loro ricchezza.
Quando tutto il tributo fosse sulle terre egli è vero altresì che il proprietario per le consumazioni proprie, come vitto, vestito, addobbi, livree, cavalli, e loro mantenimento ec. riceverebbe un sollievo, poichè tanto meno dovrebbe spendere per questi oggetti, quanto era il valore del tributo che portavano, delle spese della percezione di esso, e dell’arbitrio, a cui era sottoposto. Ma questa utilità sarà ella paragonabile al sopraccarico che gli piomberebbe sulla parte dominicale? Sarà bilanciata se le spese diminuite nella percezione saranno eguali al tributo che pagavano tutt’i sudditi non possessori di terre, non salariati da essi, non contadini.