Meditazioni sulla economia politica/XXIX
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Il tributo ha moltissima influenza sull’annua riproduzione; può scemarla, può accrescerla a misura che sia bene o male regolato. Si è accennato come un tributo saggiamente collocato possa animare le manifatture interne, come possa promuovere quel genere di agricoltura che più accresca la totale riproduzione; ora dirò le teorie che mi sembrano le primordiali per conoscere e l’origine e la natura e la influenza di esso sulla prosperità d’un popolo. Sin ora ho scorsi gli oggetti proprj della Economia; mi restano ora da scorrere quelli della Finanza, parte anch’essa della Economia Politica la quale comprende il modo di rendere più ricco lo Stato, e quello di fare il miglior uso della ricchezza.
Sebbene sul tributo sieno usciti alla luce in questi ultimi anni ottimi trattati, e siensi posti in chiaro per la maggior parte i principj; con tutto ciò credo che vi resti qualche cosa da fare anche a chi scrive in quest’oggi. Per formarci un’idea della necessità e giustizia del tributo si rifletta che una società di uomini non potrebbe sussistere tosto che fosse impunita la violenza e la frode che un cittadino può fare all’altro, ovvero tosto che una nazione conquistatrice venisse a devastarla. Da quì nasce la necessità per cui una parte de’ cittadini debb’essere occupata a difendere la nazione intiera, e ciascun individuo che la compone da ogni usurpazione e violenza sì interna che esterna. Una unione d’uomini la quale non avesse veruna forma di governo, alla prima minaccia d’un invasione o dovrebbe disperdersi abbandonando il suolo nativo, ovvero tumultuariamente accorrere per respingere l’aggressore. Frattanto sarebbe abbandonata la coltura delle terre, e costretta dalla fame dovrebbe piegare alla necessità, e sottomettersi. Così tumultuariamente e con un disordine perenne si respingerebbe anche l’aggressore interno, la forza sola deciderebbe di tutto, tutto sarebbe in combustione.
Da ciò nasce la necessità di avere un numero di uomini unicamente destinati a mantenere la sicurezza della proprietà a ciascun membro dello Stato, uomini di professione obbligati in parte ad agire per respingere con impeto le usurpazioni della forza, e in parte a verificare tranquillamente i diritti d’ognuno e ordinarne la difesa; a invigilare sulla pubblica felicità da ogni suo lato, e promuoverla. Ecco l’origine dei Sovrani, della Milizia, dei Magistrati, e dei Ministri. Questa classe separata di uomini nè produttori, nè mediatori, unicamente consacrata alla sicurezza, e felicità pubblica, classe d’uomini che io chiamo direttrice, ragion vuole che sia mantenuta da quella società medesima, a cui conserva, e procura ogni bene. La necessità di avere questa classe di uomini forma la giustizia del tributo; e l’alimento proporzionato all’officio di ciascuno di questi uomini fino a quel limite a cui giunge l’utilità pubblica, forma la somma totale del tributo. Il tributo adunque si è una porzione della proprietà che ciascuno depone nell’erario pubblico, affine di godere con sicurezza la proprietà che gli rimane.
Egli è dunque interesse di ogni uomo che sieno pagati i tributi, e che sieno convertiti per il bene che gli ha fatti nascere. D’onde avviene dunque che laddove ogni altra legge: realmente coincidente coll’interesse della, maggior parte degli uomini viene facilmente ubbidita, ed è punito colla disapprovazione pubblica il violatore; le leggi del tributo per lo contrario, sebbene del pari interessanti la maggior parte, trovano un niso continuo nella nazione ad opporvisi, e non incontra mai la disapprovazione pubblica il fraudatore? Ciò forse accade perchè l’intelletto dell’uomo è fatto come l’occhio, a cui un piccolo oggetto, ma assai vicino, cuopre vastissimi oggetti rimoti, e così l’immediato male di privarsi di parte della propria ricchezza si sente assai più che non il lontano bene di venire assicurati da una eventuale violenza. Secondariamente l’idea della privata proprietà è assai più radicata nell’animo dell’uomo di quel che non lo sia l’idea generale dell’organizzazione politica d’uno Stato; e siccome il tributo è una diminuzione delle proprietà, ed è una relazione fra l’uomo e lo Stato, ogni individuo sente più la parte che è diminuita, di quello che senta il legame dei rapporti che la bilanciano. Ciò non ostante io credo che se in ogni tempo fosse stato il tributo sempre un fondo giudiziosamente impiegato, l’opinione pubblica lo risguarderebbe come un debito sacro; e forse il costume avrebbe radicata negli animi tanta vergogna al sottrarvisi, quanta ne prova ogni uomo spontaneamente unito in una privata società, se non possa pagare la sua porzione: avendo risentita la sua parte nel bene. Se i costumi hanno associata una macchia, e una vergogna a chi non paga i debiti del giuoco; perchè non se ne infligge altrettanta a chi non paga i debiti al mercante, o all’erario? Sarebbe mai per la ragione che agli ultimi provvede la legge, ai primi no? Forse è da osservarsi che l’abuso fatto in altri tempi del potere legislativo, e il più grande abuso moltiplicatosi di rendere incerta, e dubbiosa ogni legge colla interpretazione, hanno impressa nel cuore degli uomini un’idea poco favorevole alla legge, e perciò l’opinione pubblica assolve fin dove si può, quello che la legge condanna. Nelle nazioni che hanno una felice legislazione scorgesi maggiore coincidenza fralle leggi e i costumi; le condanne sono uniformi, e nel tribunale e nella opinione pubblica. Forse la divergenza di questi due principj è la vera misura della corruzione d’un popolo. Ma queste idee, secondate che fossero, troppo mi porterebbero lontano dal mio argomento.
Sarebbe pure cosa disparata dal mio soggetto s’io volessi considerare il tributo come una legittima porzione depositata nell’erario. Altri vi sono che hanno portata la luce su di questa materia. L’instituto di quest’opera mi richiama a contemplare il tributo unicamente come un oggetto che ha relazione ed influenza sulla circolazione, sulla riproduzione annua, sull’industria, e sulla prosperità dello Stato.