Meditazioni sulla economia politica/XXVIII
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Ho detto che la riproduzione si debbe spingere quanto oltre si può: non dico portarla al colmo, perchè la riproduzione annua, praticamente parlando non vi giunge mai. Il moto dell’industria è come ogni altro moto; per quanto ei sia rapido può sempre ricevere nuova spinta, che ne accresca la quantità. Esattamente parlando, so che si tratta di elementi finiti, ma il loro limite è tanto discosto dallo stato attuale di ogni nazione d’Europa, che può considersi come infinitamente distante. Risguardisi la sola agricoltura di cui trattiamo. Sintanto che in uno Stato vi saranno dei pezzi di terreno non ancora coltivati, che vi saranno dei fondi comunali, che vi saranno dei prati e pascoli, capaci d’una coltura che renda maggior valore per alimentare un più gran numero di uomini, si deve dire che ancora resti molto da fare per i progressi dell’agricoltura. Non vi è terra che coll’opera dell’uomo non si renda feconda. Di nessuna parte d’Europa può adunque dirsi che ivi l’agricoltura sia giunta al suo colmo. Converrebbe acciocchè questo fosse, che tutte le brughiere fossero ridotte a coltura e così tutt’i fondi comunali fossero coltivati dalla mano dell’uomo; che vi fossero prati e pascoli ma solo quanto è necessario per mantenere gli animali che cooperano all’agricoltura medesima, e corrispondono alle consumazioni degli abitanti. Il numero degli animali eccedente questo limite, e che si nudriscono per servire di materia prima alle manifatture sono una sensibile diminuzione del popolo, poichè quanto più numero di bestie alimenta uno Stato, tanto minor numero d’uomini può alimentare.
A provare che l’Agricoltura fosse al colmo in uno Stato si credette che fosse un argomento l’avere ribassati gl’interessi de’ banchi pubblici ed essere stati ricercati i capitali da pochi. Dunque è segno, dicesi, che nell’agricoltura non vi sia più mezzo da fare impiego de’ capitali; dunque ella è giunta al colmo. Per conoscere la spiegazione d’un tal fenomeno basterà riflettere che gli utili che si potrebbero avere dall’agricoltura suppongono la massima libertà del Commercio delle derrate; che vi vuole una energia non volgare per intraprendere d’accrescere il valore de’ fondi terrieri; che l’indolenza umana fa che si preferisca un utile minore ma agiato, a un maggiore che richiede inquietudine, e occupazione; che dove l’attività non sia universalmente in fermento, pochi uomini osano slanciarli sopra il livello comune. Se adunque non vi saranno comodi, e sicuri impieghi de’ capitali a più alto interesse, la maggior parte de’ creditori pubblici si contenterà del ribasso, e lascierà i suoi capitali su i banchi. Da questo fatto non vi è miglior ragione per argomentare in favore dell’agricoltura di quello che vi sarebbe per argomentare in favore delle manifatture. L’interesse del denaro ribassato promuove l’industria nazionale, siccome si è detto; ma non è una prova che l’industria sia già in piena attività. Ho detto pure che dall’interesse del denaro si può calcolare la reciproca felicità delle nazioni; ma ciò s’intende un interesse uniformemente ribassato ne’ denari che si accomodano, e allora paragonando l’interesse nostro coll’interesse che corre in altri Stati avremo la misura per calcolare quale de’ due goda di maggiore felicità.