Il più grande matematico del Rinascimento Italiano
Eclettismo di un genio

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Galileo Galilei è lo studioso dell’epoca moderna che più si avvicina alle figure dei grandi dell’epoca greco-alessandrina dei quali abbiamo parlato. Il suo genio ha spaziato nel campo dell’astrazione pura, nel campo della teoria matematica, in quello dell’astronomia e in quello della fisica, donando al mondo scoperte e applicazioni di grandissima importanza. Ed egli non fu soltanto scienziato, fu anche scrittore di purissima forma, e studioso delle opere dei grandi scrittori e poeti dei secoli a lui precedenti. Fu particolarmente amante e studioso dell’Orlando Furioso. La sua prosa è così fresca e misurata, sostanziosa e chiara e semplice nello stesso tempo, ch’egli è a giusto titolo giudicato come uno dei più grandi prosatori italiani. Contrario ai vani orpelli di una prosa infiorettata, egli possiede un suo stile fatto di limpidezza e guidato sempre da una logica chiusa e rigorosa. Anche nelle prose a carattere strettamente scientifico, egli è sempre felice e interessante scrittore, ciò che permette al lettore di seguirlo anche su argomenti di levatura superiore. Fra le sue prose è stata molto discussa un’opera intitolata Considerazioni sulla Gerusalemme Liberata, nella quale egli è veramente severo e talora anche aspro ed ingiusto contro il contemporaneo grandissimo e sventurato Torquato Tasso: questa asprezza ha indotto taluni a ritenere non sua tale opera.

Qui è opportuno sostare un attimo: e sostare proprio per voi, amici miei che mi leggete. Nelle scuole, e più sovente ancora nelle famiglie, è diffusa la credenza che chi dimostra ottime qualità nel campo della lingua abbia quasi il diritto (e quasi quasi il dovere) di essere un asinello in matematica, e viceversa. Non è quasi concepibile il caso del ragazzo che sappia scriver bene, e che segua con amore e passione le lezioni di matematica. È questa una delle più grosse sciocchezze che siano maturate da anni e anni nell’ambiente scolastico, che non è solo formato di insegnanti, di allievi e di bidelli, ma che è completato dalle famiglie, morbosamente protese dietro al ragazzo che va a scuola, o... ciò che forse è meglio, olimpicamente indifferenti alle sue vicende scolastiche. È molto sovente, invece, vero il contrario. Moltissimi sono stati in tutte le epoche, i matematici scrittori di finissima prosa, e, talora, anche, di levigata poesia. Oltre il grande esempio di Galileo Galilei, tanti potremmo qui citarne: ma non lo ritengo necessario. Necessario è invece che ognuno di voi, cerchi di sfatare la sciocca leggenda... ridando il diritto al compagno che ha i più bei voti di matematica di prendere anche i più bei voti in lingua...

Intanto Galileo Galilei aveva, nella sua famiglia, un severo e ispirato cultore di musica; il padre Vincenzo, che faceva anche parte della Camerata fiorentina di Bardi, così chiamata perché si radunava nel palazzo della nobile famiglia Bardi, per discutere di musica e di poesia, e per comporre. Vincenzo compose numerose opere musicali, e in musica mise il canto dantesco del Conte Ugolino. Già a suo tempo vi ho parlato del rapporto stretto fra la musica e la matematica, della quale molti calcolavano la musica una parte. Ma la musica è anche arte, oltrecché numero: ed ecco spiegata l’ascendenza artistica e scientifica del grande pisano.

Nacque dunque, Galileo, a Pisa il 18 febbraio del 1564 da Vincenzo e da Giulia Amannati, e non appena avuto l’uso della ragione, si dispose allo studio con forte volontà. Era vivo desiderio del padre che seguisse il corso di medicina e fosse medico. ma Galileo non si sentiva portato per curare i malati (notate che non ho detto per guarire: sarebbe stato esigere troppo da un medico!... in compenso, però, non ho detto nemmeno per ammazzare, e di questo i signori medici mi devono rendere atto) e decise di dedicarsi tutto allo studio ch’egli preferiva: la matematica.

A 19 anni, quando già frequentava l’Università di Pisa, gli successe un giorno di trovarsi in Cattedrale: uno di quei sagrestani che son la dannazione di tutti i parroci, nello spostare una scaletta di legno, urtò contro una lampada attaccata con un lungo filo al soffitto. Chissà quante volte voi avete visto cose del genere, e non ci avete fatto caso alcuno! Galileo, invece, notò subito che le oscillazioni della lampada avevano tutte la medesima durata. Da questa semplice osservazione, studia e studia, ricavò le leggi che regolano le oscillazioni del pendo1o, e che adesso non sto a spiegare, perché le imparerete a tempo debito.

Fattosi subito notare per il suo studio e per il suo spirito osservatore, a 25 anni fu nominato lettore di matematica, ossia assistente all’Università di Pisa, dove aveva studiato. Ma, come tutti gli intelletti superiori, egli dava ai suoi corsi una linea tutta sua personale, e non certo conforme a quella dei parrucconi titolari delle cattedre. Vennero subito aperte le ostilità contro di lui, ed egli comprese che non avrebbe avuto vita tranquilla a Pisa: accettò perciò l’offerta fattagli proprio in quel tempo dalla Repubblica di Venezia, di assumere la cattedra di matematica all’Università di Padova, e si trasferì in quella città, dove rimase ben diciotto anni, dal 1592 al 1610, e dove veramente trovò la pace e la tranquillità necessaria ai suoi studi; la sua fama cominciò a dilagare oltre le frontiere, e il suo nome cominciò a risuonare in tutta Europa.

Un giorno del 1609, ch’egli trovavasi a Venezia, sentì raccontare che a Middelburg un fabbricante di occhiali, certo Giovanni Lipperseim, aveva presentato a Maurizio d’Orange, capo dello Stato d’Olanda, un occhiale ottenuto mediante la combinazione avvenuta per caso di un vetro concavo con uno convesso, che avvicinava gli oggetti lontani. Quest’idea lo tormentò per parecchie settimane, finché non dimostrò le leggi del cannocchiale e del telescopio, che subito costruì, facendone omaggio al Doge, com’è provato da una sua bella lettera d’accompagnamento.

Alcun tempo più tardi un suo avversario, certo Padre Grassi, astronomo e matematico, stampò che il telescopio era allievo e non figlio di Galileo Galilei. Ma questi, in un capitolo del Saggiatore, una importante opera polemica scritta nel 1623, rispose per le rime al Grassi, dimostrandogli di non essere il balio della scoperta, ma il padre.

Il grandissimo astronomo polacco Niccolò Copernico nel 1531 aveva lanciato al mondo la sua nuova teoria sul sistema solare, per la quale, come già vi ho accennato, il Sole, e non la Terra, era il centro del sistema astronomico nel quale noi viviamo. Attorno al Sole la Terra compiva la sua rotazione, come tutti gli altri corpi celesti del sistema. Questa teoria venne ritenuta eretica da una parte dell’alto clero romano, che la reputava erroneamente contraria ai sacri testi dell’Antico Testamento. Il Copernico, che molto aveva soggiornato a Roma e a Bologna, mori nel 1543, amareggiato dall’opposizione che la sua teoria aveva trovato.