Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XXVI
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Il 2 maggio 1807 ebbi ad impiccare e squartare a Campo Vaccino Cesare di Giulio e Bernardino Troiani due grassatori dei dintorni di Roma, che avevano dato molto da fare ai birri. Ma le loro gesta non meritano punto di essere rammentate, perché non uscirono mai dalla più ignobile volgarità. Purtroppo anche il delitto ha un’aristocrazia propria. Si rivelano in esso, come in tutte le cose, la maggior elevatezza dell’ingegno e del coraggio, il carattere più nobile del delinquente e la forza d’animo più intensa. Questi due malfattori, che dopo aver fatto strage di poveri viandanti e dimostrata una efferatezza straordinaria contro gente infelice, al cospetto della morte tremavano come foglie - si raccomandavano alla pietà universale e piangevano come fanciulli, o come donne, - destavano un senso di ripulsione nella folla accorsa per assistere alla esecuzione, non molto densa però. Non appena furon staccati dalla forca gli spettatori si diradarono. Pareva che il pubblico non volesse conceder loro l’onore di vederli fare a pezzi.
I loro quarti restarono appesi al palco fino a notte, perché la compagnia di San Giovanni tardò a recarsi a prenderli per dar loro sepoltura. E quando lo fece si trovò che due quarti erano scomparsi, e corse la voce per Roma, che erano stati rubati per venderli. Pare cosa impossibile. Ma per quante indagini siano state fatte, non si giunse a sapere chi l’aveva portati via. Molto più interessante riuscì, invece un’altra doppia esecuzione ch’ebbi a fare il 6 luglio a Gubbio, in persona di Giuseppe Brunelli e Agostino Paoletti. Conviveva il primo da parecchi anni con Margherita Cruciani, formosissima donna, che aveva già avuto diversi amanti quando si diede al Brunelli. Alta e grossa della persona, densa di forme, rosea di volto, con begli occhi neri, folte sopracciglia e prolissa capigliatura della stesso colore, doveva necessariamente piacere e piacque a molti.
Il Brunelli se ne incapricciò a morte e tanto fece e tanto disse che la persuase a mettersi con lui. Ma le sue risorse erano scarse assai: esercitava la professione di sensale di bestiame a que’ tempi non molto proficua. In breve, per mantenerla in uno stato d’agiatezza superiore alle sue forze economiche, egli diede fondo a tutti i suoi risparmi e si trovò a dover vivere col solo frutto delle sue mediazioni. Il povero Brunelli si assoggettava ad ogni maniera di privazioni. Ma con tutto ciò non riusciva a mantener Margherita come per l’addietro, ed egli prevedeva che un giorno o l’altro ella lo avrebbe abbandonato. Vivere senza di lei gli sarebbe tornato impossibile. L’amava troppo e ne era anche ricambiato con sufficiente intensità, perché robusto e forte nelle lotte genetiche. Un bel giorno, anzi un triste giorno, Margherita e Giuseppe si trovarono senza mangiare, alla lettera, senza mangiare. Dopo aver a lungo meditato, tutto chiuso in se stesso, Brunelli trasse un profondo sospiro dal petto e accostandosi alla sua donna, le disse così:
- Senti, Margherita: io non ho core di farti più a lungo soffrire. Tu sei ancor giovane e bella e non ti mancheranno prontamente altri amanti, che provvederanno largamente ai tuoi bisogni.
- Vuoi dunque lasciarmi? - gli rispose la donna, mostrandosi un po’ corrucciata.
- È necessario.
- Eppure mi hai detto e ripetuto le mille volte che non avresti saputo menare innanzi l’esistenza lontano da me.
- Ed è vero: strettamente vero, adesso come allora.
- Non ti comprendo più. Che cosa vuoi fare?
- Una cosa molto semplice: senza di te non posso vivere, con te non posso vivere. La vita mi è dunque impossibile in tutti i modi e ho deciso di ammazzarmi.
Margherita che conosceva benissimo il carattere del suo uomo e sapeva che non era tale da far ciarle inutili, gli gettò atterrita le braccia al collo e tirandosi la sua testa sul seno, lo baciò sulla bocca passionatamente, dicendogli:
- E credi tu che io resterei al mondo senza di te?
- Margherita è necessario; io non voglio, io non posso vederti soffrire. Vedi la miseria ci ha assaliti appunto perché le preoccupazioni mi tolgono dal dedicarmi con maggiore alacrità agli affari.
- Ebbene, lo vuoi? Moriamo insieme.
- Manco per sogno.
- Mi credi incapace? Piuttosto che perderti farei tutto.
- Tutto?
- Sì, tutto - replicò la donna con intenzione. - Come sono disposta a gettar la vita per te e con te, lo sarei a...
- Continua, - febbrilmente agitato le disse il Brunelli continua.
- Impossibile, se mi guardi con quegli occhi di fuoco: mi fai paura.
E tornò ad avvinghiarlo colle sue belle e rotonde braccia, dalle quali si era tolto, stringendoselo con forza maggiore, e inebbriandolo di baci e di carezze. Nel delirio della passione Beppe perdette il senno della propria dignità, e avendo in parte indovinato ciò che Margherita voleva proporgli, le mormorò con fioca voce, quasiché non volesse che udissero le orecchie le parole pronunziate dal suo labbro:
- Prosegui, Margherita, t’ascolto. Ormai puoi tutto dire.
- Potrai sempre respingere la mia profferta, riprese la donna rinfrancata, e mi troverai sempre pronta a seguire il tuo esempio, uccidendomi.
- Parla.
- Se un altro si incaricasse delle nostre spese? - susurrò, più che non disse Margherita. Beppe sentì un fiotto di sangue salirgli alla testa; un accesso di gelosia lo colse e tonò:
- Hai un altro amante, dunque?
- No. Te lo giuro - riprese prontamente la donna - altro amante non ho e non avrò mai, perché io sarò sempre per te, per te solo. Mi capisci?
- Sì e no. Spiegati.
- Non ho e non avrò mai un amante. Ma potrei, volendolo tu, avere un protettore, un uomo facoltoso che ci aiutasse.
- Possedendoti?
- Accordandogli ciò che posso concedergli, il corpo, null’altro.
Giuseppe Brunelli si passò la mano sulla fronte madida di sudore. Il sangue gli martellava le tempie. Una voce gli diceva: "Uccidi questa vipera che ti avvelena, che ti conduce all’infamia." Ed era la voce della coscienza, la voce del dovere. E un’altra voce gli diceva: "Consenti: in fin de’ conti, non è tua moglie; il tuo onore non ne soffre. Potrai sempre staccartene, se ti ispirerà disgusto." Ed era la voce della passione brutale. Margherita, con quella perspicacia profonda che è tutta della donna innamorata, comprese di primo acchito la lotta che si combatteva nell’animo di Beppe. E nuovamente abbracciandolo con tutto il trasporto, gli mormorò:
- Se non vuoi, moriamo. Moriamo subito.
Poi correggendosi:
- Subito no. Godiamo un’altra notte d’amore, prima.
La ragione di Brunelli vacillava in quegli amplessi. La coscienza perdeva ad ogni istante terreno: e la foia erotica lo guadagnava. Perdere una donna che lo amava così? Rinunziare a quelle ineffabili ebbrezze? Affrontare l’ignoto? Perché? Per un pregiudizio. Che gli caleva, se un altr’uomo gioisse di lei, quando era certo che ella non ne avrebbe divisi i godimenti?
- Se acconsentissi, - mormorò - tu mi sprezzeresti?
- Ti adorerei, se è possibile, più di quanto ti adoro, perché il sacrificio che faresti, mi sarebbe una prova del tuo affetto.
- E quest’uomo?
- C’è.
- Ti sei già data a lui?
- Mai.
- Ti ha fatto delle proposte?
- Mille volte.
- E le hai respinte?
- Sempre.
- Giuralo per la memoria di tua madre, di tuo padre, per quanto hai di più sacro.
- Lo giuro.
- Ed è?
- Agostino Paoletti.
- Il macellaro?
- Lui per l’appunto.
- Un anziano.
- Ti duole? - domandò scherzando Margherita a Peppe baciandolo un’altra volta sulla bocca, con uno di quei baci, che danno le vertigini anco all’uomo di più freddo temperamento.
- Sia come vuoi.
- Grazie.
- Dunque lo desideravi?
- Per te.
- Io dovrò ignorar tutto?
- Al contrario; vuole il tuo pieno consenso, la tua formale adesione.
- Ma è un mercato adunque che vuol stringere?
- No: vuol essere sicuro del fatto suo: ha paura.
- Lo credo. Se vi avessi sorpresi sarebbe stata la morte per tutti.
Seguì al colloquio una notte, che fu per Margherita e Beppe, un’orgia d’amore.