Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XXVII
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Agostino Paoletti era un uomo sulla cinquantina dalla larghe spalle, dall’ampio torace, dalla testa grossa, munito d’un naso formidabile e d’una larga bocca, le cui grosse labbra davano chiaro indizio di una sensualità molto pronunciata. Giovialone, amico del buon bicchiere e della pappatoria, come della femmina e delle sue dolcezze, s’installò con Giuseppe Brunelli e la Margherita, senza che la gente di Gubbio se ne formalizzasse troppo. Non aveva famiglia ed era quindi naturale che giunto sul declivio dell’età, ne cercasse un’altra nella quale potesse adagiarsi e trovar quelle cure e quelle attenzioni che sono indispensabili agli uomini anziani, vissuti sempre nel celibato.
Aveva nella casa del Brunelli una bella camera, ben arredata, e con un ampio letto, che gli permetteva di fare tutti i suoi comodi, senza violare quello del suo ospite. Mangiavano insieme, uscivano insieme, si divertivano insieme. Era insomma un vero matrimonio a tre, nell’intimità delle domestiche pareti, una relazione sulla quale non c’era nulla da dire nelle esteriorità. Certamente non saranno mancate le male lingue, che, specialmente ricordando il passato di Margherita, avranno fatto delle supposizioni maligne. Ma chi si curava di loro?
Coll’appoggio del compare, così Beppe e Margherita solevano chiamare il macellaro, gli affari del Brunelli prosperavano. Da semplice sensale era salito al grado di mercante di bestiame. Aveva una stalla propria, e si assentava spesso per far degli acquisti nei paesi vicini, trattenendosi fuori anche più giorni. E così coi quattrini cresceva la sua rispettabilità. D’altra parte il contegno del Paoletti non poteva essere più riguardoso. Mai una parola, un atto, uno sguardo gli sfuggiva che potesse eccitare la suscettività del marito posticcio.
Il benessere, l’agiatezza, appesantivano però di molto il Brunelli e gli toglievano quegli ardori, che gli avevano procacciato l’amore di Margherita, la quale se ne risentiva e incominciava a concepire una certa repulsione per il suo Beppe. Sulle prime la manifestò, ma le accoglienze che ebbero le sue manifestazioni da parte d’ambo quegli uomini ai quali prodigava se stessa, la persuasero che quella non era una buona strada per lei. Cosa fatta capo ha, diceva Mosca Lamberti, e diceva bene. Non fu difficile a Margherita capacitarsene.
E pensò a procacciarsi d’altra parte quelle ebbrezze che non trovava più fra le braccia di Brunelli, e non aveva mai trovato in quelle del Paoletti. Ritornando una notte da una delle solite sue escursioni, Beppe trovò il macellaro sul portone di casa.
- Ti aspettavo, gli disse Agostino. Ho da parlarti.
- Andiamo su, compare, e chiacchiereremo finché vi pare.
- No, di sopra, no. Son cose che dobbiamo sbrigarle fra noi: le donne non vanno poste di mezzo. Parve strana la proposta del macellaro a Beppe; tanto più avendo notato nel suo accento una emozione che tentava indarno di dissimulare. Tuttavia non fece vista d’avvedersene e disse tranquillamente:
- Verrò domattina al negozio, se vi piace compare.
- Vieni a mezzodì. Andremo a mangiare un boccone in campagna. Dirai a Margherita che dobbiamo recarci fuori per affari.
- Come vi piace.
Si strinsero la mano e salirono insieme, senza dare a vedere la menoma preoccupazione. All’indomani all’ora stabilita, Beppe si recava al negozio di Agostino. Questi aveva già socchiusa la bottega e stava ad aspettarlo. Quando lo vide comparire, serrò del tutto il negozio e disse:
- Andiamo, Beppe.
Traversarono la città in silenzio e giunti innanzi ad una osteria suburbana, il macellaro entrò, comandò il pranzo in una camera superiore, e vi condusse il compare. Pranzarono non parlando che di cose insignificanti e con evidente imbarazzo d’entrambi. Beppe non sapeva spiegarsi, per quanto ruminasse in testa, la cagione di quel convegno, il soggetto del discorso che il compare doveva tenergli e che non gli teneva. Il Paoletti non sapeva come attaccare l’argomento disgustoso e spinoso. Quand’ebbero mangiato, il Brunelli, comprendendo che le esitanze del compare dovevano derivare dal timore, risolse d’incoraggiarlo, prendendo lui la parola e gli disse:
- Beviamo sempre alla vostra salute!
- Grazie! E alla vostra.
- Grazie! a mia volta. Ma se, non abbiamo altre persone alle quali brindare, sarà bene che ci spicciamo. Margherita starà inquieta, forse.
- Hai fatto bene a dir "forse."
- Non credete, compare, che possa esserlo?
Ormai la botta era partita, non c’era più da indietreggiare. Agostino Paoletti lo comprese e rispose:
- Credo che possa avere chi la conforti, quando è sola.
Beppe scattò in piedi, posò i pugni sulla tavola e calmo pur nell’ira che gli bolliva in petto, disse lentamente:
- Compare voi dite una cosa ben grave. Fose v’è sfuggita, senza rifletterci?
- Non ho l’abitudine di avventurar parole senza fondamento.
Una nube di sangue passò innanzi agli occhi del Brunelli. Due opposti sentimenti lottavano in lui. Per un lato, sentiva rinascere i furori gelosi dei primi giorni del suo amore con Margherita. Per l’altro, temeva che la sua condotta alienasse il Paoletti dal loro consorzio. Si era abituato a quella felicità grassa, ed a quella beatitudine materiale, e gli pareva di non potersene staccare, se non lasciandovi un brano della sua carne.
- Voi credete dunque fermamente che ci inganni? - domandò con voce cupa ad Agostino.
Era la prima volta che alludeva a quella promiscuità nei godimenti della donna che avevano stabilito. Ma il Paoletti non morse all’amo e replicò non senza sottolineare il pronome:
- Ho la certezza materiale, purtroppo, che Margherita ti tradisce.
Quel pronome così sottosegnato dalla voce del compare era una pugnalata per il cuore di Beppe. Lo riteneva come una offesa personale, perché Paoletti con ciò mostrava chiaramente di non desiderare la solidarietà della vergogna. Pure dissimulò, ricacciandosi in fondo all’anima l’amarezza che gli aveva prodotto. E assecondando il compare nel suo intendimento di voler sciogliere il vincolo morale che li legava, riprese:
- Vi ringrazio d’avermi posto sull’avviso.
- Era mio stretto dovere d’amico.
- Un dovere che raramente si compie.
- Non tutti coloro che lo dicono sono amici, come io di te, per la vita e per la morte.
- Che mi consigliate voi di fare?
- Prima coglierla sul fatto.
- Poi?
- Se hai bisogno d’una mano che ti aiuti, ecco qui la mia - così disse lanciando un lampo d’odio dagli occhi, e brandendo un coltello.
- Sarà fatto! - rispose Beppe Brunelli stendendo la destra al Paoletti, che fortemente gliela strinse.
- Bravo. Così parlano e così agiscono gli uomini.
- Ecco intanto una esistenza infranta, una felicità distrutta, una amicizia...
- Cementata, resa inscindibile, Beppe. Ricordati Beppe delle parole che ho pronunziato poc’anzi e che ora ti ripeto: per la vita e per la morte.
- Per la vita e per la morte - replicò il sensale stringendo fortemente la mano che per la seconda volta il macellaio gli porgeva.
- Ma è tempo ti narri come avvenne la scoperta - ripigliò il Paoletti. Perciò appunto qui ti condussi.
- Parlate. Vi ascolto.
- Una notte, mentre tu eri fuori, rientrando tardi nella mia camera udii del rumore nella tua.
Supposi che tu fossi rientrato improvvisamente e mi avvicinai per aprirla; era chiusa. Udendo all’interno un bisbiglio, mi persuasi sempre più che Margherita era con te, certo sola non si trovava, bussai, e ribussai, ma nessuna risposta ottenni.
- Brutta conocchia! - esclamò Beppe.
- Allora ebbi un’idea, vaga, un sospetto quasi impercettibile, ma che andava prendendo man mano forma e colore. Ero ancora vestito: ridiscesi pian piano per non farmi udire; giunto alla porta, che avevo, trovata aperta entrando e aperta lasciata, la rinchiusi dietro di me, e andai a collocarmi nel vano della casa dirimpetto, donde potevo vedere, ma non essere veduto, perché protetto dall’ombra densa. Dopo pochi minuti vidi il lume attraverso la mezzaluna che sta sopra la porta, ma questa non s’aprì.
- Il maiale credeva di trovarla ancora aperta e aveva dovuto risalire per farsi dare la chiave. È evidente.
- Infatti, passati pochi momenti, rividi il lume attraverso la mezza luna, la porta si dischiuse e ne uscì un giovinastro. Ma dietro a lui v’era un’ombra bianca.
- La sgualdrina.
- Margherita, discinta, che prima di lasciarlo partire gli gettò le braccia ignude al collo, lo tirò a sé e lo baciò un’altra volta.
- Perché non ero ne’ vostri panni? Li avrei ammazzati entrambi, come cani.
- Perché entrambi? Lui, lui solo doveva, deve morire.
- E lei, la prostituta? - domandò il Brunelli, al quale il racconto del compare aveva riacceso le furibonde ire gelose.
- Lei sarà abbastanza punita colla morte del ganzo. E le servirà di lezione per l’avvenire.
Queste parole del Paoletti produssero al sensale l’effetto di una doccia fredda. La febbre che lo aveva per un istante assalito, scomparve. Egli lesse, allora soltanto, chiaro nella mente del macellaro, le intenzioni di lui. Voleva ucciso l’amante, che turbava la sua domestica intimità, ma salvata la donna, agli amplessi della quale non sapeva, non voleva rinunziare. Per lui, Beppe, la vendetta non era completa. Gli bastava per quanto concerneva gli interessi, ma non appagava la sua gelosia, non lavava abbastanza l’affronto subito. Margherita gli aveva giurato che ogni suo affetto sarebbe riposto in lui. Poteva dare il suo corpo ad altri, senza cessare d’essere esclusivamente sua. Invece lo aveva soppiantato un altro. Egli non era più che un secondo compare, che divideva a perfetta metà col primo i godimenti mercenari di quella donna.
Uccidere l’amante le avrebbe cagionato dolore. Ma un dolore troppo tenue a confronto del suo. E poi se ne sarebbe consolata con un altro. Doveva tornar da capo? Anche se gli venisse fatto d’ammazzare impunemente tutti i drudi che Margherita si sarebbe dato, un dopo l’altro, non si sarebbe soddisfatto, perché in quel momento, risorgeva impetuosa e prepotente la passione che gli aveva ispirato. Ad onta di questa battaglia che si combatteva nell’animo suo, Beppe si mantenne esternamente impassibile. La sua decisione era presa: avrebbe ucciso l’amante ed eseguito poi contro la donna una vendetta lenta, lunga, inesorabile, inestinguibile, come il suo dolore. Paoletti attribuiva il breve silenzio del Brunelli, ai calcoli che andasse facendo per compiere la decisa uccisione dell’amante di Margherita, e volle tosto informarlo dei particolari ulteriori della sua scoperta, affinché gli servissero di norma.
- Lasciai il tempo - riprese a dire il macellaro - a Margherita di risalire e di ricoricarsi, poi andai a letto anch’io. All’indomani mattina la rividi, ma né lei parlò a me della notte, né io ne feci cenno a lei. Per due o tre notti vigilai attentamente; ma l’amante non venne più.
- Si saran dato convegno fuori.
- È appunto quello che pensai. Mi posi sull’avviso e mi accorsi tosto che Margherita usciva di buonissim’ora e restava fuori per mezza giornata. L’altra mattina mi appostati e quando la vidi uscire la seguii non veduto alla lontana. Alla porta s’incontrò con l’amante, li seguii ancora e vennero qui.
- Qui? - chiese esterefatto per la sorpresa Beppe.
- Qui. Li lasciai entrare, quindi entrai io pure. Presi lingua dall’oste, che è un mio conoscente e seppi che i due colombi vengono qui ogni mattina a tubare per due o tre ore. Domandai all’amico che mi desse una camera vicina, d’onde potessi vedere senza esser veduto, e udire all’occorrenza, ed ebbi questa. Guarda un po’ da quella porta.
Il sensale s’alzò e andò a guardare fra le commessure dell’uscio dirimpetto alla tavola sulla quale sedevano. Si vedeva il letto ancora disfatto.
- Dunque son venuti anco stamani? - gridò, sorpreso ancora da uno de’ suoi accessi di gelosia.
- E verranno ancora domani, rispose il compare, marcando le parole con intenzione.
- Risparmieremo all’oste l’incomodo di rifare il letto.
Paoletti rise sinceramente di questo frizzo di mediocre gusto, quindi disse:
- Bisognerà che fingiamo di assentarci.
- No: sarebbe un errore. Certa di poterla fare impunemente sarebbe capace di riportarsi a casa il drudo. Partirò io solo: voi continuerete come di consueto.
- Ci troveremo fuori di porta all’alba.
- E così sia.
Il macellaro e il sensale discesero, pagarono il conto all’oste e tornarono in città, tranquilli e soddisfatti, come se avessero combinato una partita di piacere.