Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XLII
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L’anno 1817 lo inaugurai, il venti gennaio, decapitando per la prima volta in provincia colla ghigliottina, a Macerata, l’uxoricida Saverio Gattofoni. Da Pusolo, da Recanati, da Civitanova e da tutti i paesi circonvicini, era accorsa una folla immensa, per assistere al nuovo spettacolo, intorno al quale si erano diffuse le più strane dicerie. Si credeva che la ghigliottina agisse automaticamente per un interno congegno meccanico e non fu scarsa la sorpresa, quando mi videro giungere col condannato, salire con lui sul palco, legargli le mani dietro al dorso, spingerlo innanzi sulla piattaforma e premere il bottone per far cadere la mannaia. Quasi quasi pareva loro d’essere stati defraudati. Saverio Gattofoni era un bel giovane di ventott’anni, cocchiere al servizio di una leggiadra e capricciosa signora, vedova da poco tempo d’un vecchio che l’aveva sposata per la sua straordinaria avvenenza, benché di umilissima condizione, appartenente cioè ad una famiglia del popolo minuto.
Saverio aveva per moglie una donna buona, lavoratrice, assidua ed economa, di non sgradevole aspetto e di discreto personale, di nome Giacinta Pozzuoli, la quale sentiva per lui, più che amore, una vera venerazione, e n’era da lui contracambiata, se non con pari intensità ed ardore, con sincero affetto. Ma il suo temperamento sensuale lo portava spesso in braccio d’altre donne, colle quali però non contraeva vincoli permanenti. Erano sfoghi, più che altro, della esuberante sua vitalità. Del resto non aveva mai alzato gli occhi sulla contessa sua padrona, per la quale aveva la più grande soggezione benché sapesse che non era certo nata in un letto sormontato dalla corona comitale.
Una fredda sera di autunno Saverio, entrando a prendere gli ordini della sua signora, per l’indomani, prima di ritirarsi, la trovò sdraiata su una poltrona, innanzi al caminetto, coi piccoli piedi bianchi ed ignudi calzati da babuccie di velluto rosso ricamate in oro. Indossava una vestaglia di casimiro bianco soppannata di raso rosso, chiusa alla cintola da un cordone d’oro. Aveva la bruna capigliatura raccolta disordinatamente sulla sommità del capo tenuta ferma da uno spillone pure d’oro. Nessun’altro ornamento, né alle orecchie, né alle mani, né alle braccia che uscivano nude dalle ampie maniche della vestaglia, la quale aperta anche sul seno lasciava scorgere la candida gola, il principio di un seno torreggiante, coperto a mezzo dalla camicia di battista smerlettata, che colle sue trasparenze, rendeva più seducente. Evidentemente la contessa aveva già fatta la sua toletta notturna e prima di coricarsi aveva voluto godersi le dolcezze di una fiammata crepitante nel caminetto, sormontato da un’alta specchiera lievemente inclinata, per modo da riflettere l’immagine della signora e la parte posteriore del salotto. Non appena sollevata la portiera di stoffa, Saverio si fermò sull’ingresso, chiedendo indifferentemente:
- Ha ordini a darmi signora contessa?
Questa non rispose, ma si diede ad esaminare, guardando nello specchio, le sembianze del suo cocchiere. E pare che l’esame non gli riuscisse sfavorevole, perché le sue labbra voluttuose sbozzarono un sorriso.
- Signora contessa - ripetè Saverio, dopo aver atteso un poco, nella tema che la sua presenza non fosse stata avvertita dalla padrona.
La signora non rispose ancora. Si divertiva a vedere, sul riflesso della specchiera, il volto bello, ma corrucciato del cocchiere.
- Ha ordini a darmi? - ripetè un’altra volta Saverio.
- Hai fretta? - rispose finalmente con piglio canzonatorio la signora.
Saverio alzò il capo e i suoi occhi volgendosi a caso allo specchio incontrarono uno sguardo fiammeggiante della contessa riflesso dal medesimo. Rimase attonito, comprendendo che i sensi di quella formosissima donna, dovevano trovarsi in quel momento di molto eccitati; ma neppure un pensiero gli traversò la mente, men che rispettoso per la sua padrona.
- Se ti lascio libero ora, dove te ne andrai? A gozzovigliare probabilmente.
- No, signora contessa, non ho questa abitudine. Me ne vado a casa da mia moglie.
- Ah! sì. Sei ammogliato. Me n’era scordata.
Così dicendo la signora fece un motto come di dispetto; poi soggiunse:
- Che mania è quella di ammogliarsi così giovani e di crearsi degli impicci.
- La famiglia - biascicò il cocchiere per dir qualche cosa e la contessa di rimando:
- La famiglia! La famiglia! se ne ha una quando si nasce, e si è sempre a tempo a formarsene un’altra prima di morire.
Scherzando coi fiocchi del cordone che le cingeva alla vita la vestaglia, ne aveva sciolto il nodo, e questa si apriva sempre più allo sparato, lasciando intravedere tesori, che incominciavano a ferire la fantasia facilmente accensibile del giovane cocchiere.