Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XIV

Capitolo quattordicesimo - La fuga e il delitto

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La sera susseguente, Domenico giunse più sollecito del consueto all’appuntamento, e vi trovò Pepita già pronta con due enormi involti di roba..

- Dove vuoi portarli? - le domandò il Guidi, evidentemente imbarazzato.

- Con noi.

- Ma se incontriamo dei birri, saremo presi per ladri, ci interrogheranno, dovremo declinare i nostri nomi e allora, addio fuga.

- Pure è necessario, se abbiamo a campare.

Il giovanotto si rassegnò, per amor della sua ragazza, a correre l’alea d’un arresto. Prese i due involti fra le braccia e si avviò all’uscita. Ma mentre stava per entrare nel vestibolo della porta si sentì afferrare pel collarino e una mano armata di coltello si levò sopra di lui e cadde replicatamente per ferirlo. Fortunatamente gli involti gli paravano i colpi e non ebbe a toccare che una lievissima quasi impercettibile scalfittura al collo. Però vedendo che l’incognito assalitore gli attraversava la via di scampo e non pareva disposto a lasciarlo, trasse di tasca il coltello e fatta scattare la molla, per assicurare la lama, si pose sulle difese. I due involti intanto erano caduti al suolo.

Le due lame s’incontrarono; quella di Domenico Guidi, deviata con abile e pronto movimento quella dell’avversario, entrò nel collo a questi fino al manico. Guidi si sentì uno spruzzo di sangue caldo bagnargli il volto e intanto vide il corpo del suo antagonista, prima barcollare, poi cadere. Pepita s’era trattenuta nella stalla per lasciare il tempo all’amante d’uscire cogli involti. Dopo pochi minuti attraversò il cortile dirigendosi verso alla porta. Il cielo era annuvolato ed era buio. Ma un raggio di luna fendendo le nubi in quell’istante, illuminò la scena sanguinosa.

- Sciagurato - esclamò l’infelice reprimendo la voce - hai ucciso mio fratello!

Indi chinatasi, raccolse i due involti e con essi scomparve nella stalla. Guidi si passò la mano sulla fronte, quasi volesse cacciare un sogno molesto. L’umidiccio del sangue, ond’era soffuso, lo richiamò subito alla realtà delle cose e si diede a fuggire disperatamente, senza meta. D’un tratto si sentì afferrato da quattro robuste braccia e una voce brusca ed imperiosa, gli domandò:

- Siete ferito. Dove vi siete accoltellati?

Nessuna risposta egli diede. Allora i due birri che lo avevano arrestato, gli tolsero il coltello di mano, tuttora fumante di sangue, gli legarono strettamente i polsi e lo portarono alle carceri di città. Il suo spirito avea frattanto ricuperato un po’ di calma, e così potè architettare il suo sistema di difesa.

Sottoposto dal bargello ad un primo interrogatorio dichiarò che s’era imbattuto per via in un ubbriaco, il quale, stava per cascargli addosso. Egli lo redarguì e quello gli si fece sopra col coltello aperto, per menargli. Aveva dovuto difendersi. S’era sentito spruzzare sul volto il sangue dello sconosciuto ed era fuggito. Dell’altro non sapeva che fosse accaduto. Invitato a precisare il luogo dello scontro titubò alquanto e così suscitò dei dubbi al bargello sulla veridicità del suo racconto.

Il bargello lo fece chiudere nella cella più sicura, quindi andò egli stesso con due carcerieri in giro per la città, ad assumere informazioni. Essendo di notte, nulla poté raccogliere e dovettero tornarsene alle carceri, senza aver nulla scoperto. Pepita, affranta dal dolore, s’era frattanto ritirata nella sua camera e disfatti gli involti aveva riposto ogni cosa, e curato che sparisse ogni traccia della sua tentata fuga. Fu una notte terribile per lei. Avrebbe voluto trovar modo di scendere per soccorrere il fratello, se fosse ancor vivo, ma temeva di destar sospetti, dai quali sarebbe forse scaturita la verità del delitto e la persona del delinquente.

Ad ogni tratto tendeva le orecchie per udire se qualche rumore le giungesse, dal quale le fosse dato arguire se il ferimento del fratello fosse stato scoperto. Ma il silenzio più profondo regnava nella casa, ed estenuata moralmente e fisicamente, finì coll’addormentarsi sull’albeggiare. Poco dopo un gran fracasso la svegliò. Tutta la casa era sossopra: si udivano voci confuse e imprecazioni e lai. Un famiglio aveva trovato nell’androne della porta il cadavere già irrigidito del figlio del padrone ed era corso a darne avviso al padre. La triste nuova si era diffusa in un baleno per ogni dove, e d’ogni dove accorrevano i curiosi per "vedere il morto" e per saper qualche cosa dell’omicidio.

La giustizia informata intervenne pure e mandò a raccogliere i particolari del fatto. I giudici associarono tosto il delitto al nome di Domenico Guidi, arrestato appunto verso quell’ora in cui doveva essere seguito il delitto. E questi fu portato al cospetto della salma. Ma egli sostenne imperturbabilmente quella vista: non un muscolo del suo volto subì una contrazione; il suo polso accuratamente tastato, non diede un battito di più.