Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LXXXIX
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La sera stessa, come aveva promesso la ballerina, si trovava nell’elegante salotto della palazzina del francese. Avevano cenato superbamente e lo Champagne era stato servito a profusione. Gli spiriti erano molto riscaldati e l’orgia d’amore fu completa. Solo un capriccio non volle Francesca soddisfare, e fu di ballare uno dei suoi passi, per lui solo.
Pregata si schermiva, dicendo:
- Son fuori d’esercizio da troppo tempo, non sono più buona a nulla. Il forestiere insisteva facendole le proposte più generose, ma la Levante persisteva nel suo rifiuto.
All’indomani mattina, prima di accomiatarla, il forestiere condusse Francesca innanzi ad un forziere e la regalò splendidamente, quindi le disse:
- Vedi, se tu accondiscendi al mio capriccio, ti darò quanto di quest’oro tu vorrai.
Francesca l’investì con uno di quei suoi sguardi, pieni di misteriosa voluttà, e uno di quei sorrisi lascivi che parevano morsi al midollo spinale.
- Ebbene ti compiacerò un’altra volta.
- Subito?
- No, subito no.
- Domani?
- È troppo presto. Posdomani.
Il forestiero l’abbracciò in segno di assenso e la congedò. La mariuola aveva avuto il suo scopo, procrastinando il soddisfacimento del capriccio del francese. Innanzi tutto bramava lasciargli il tempo di rinfrancarsi le fibre, perché sensuale com’era voleva che le nuove giostre d’amore si compissero in tutte quelle condizioni di vigoria fisica che la sua insaziabile natura richiedeva. Poi perché la vista di quell’oro le avea dato il barbaglio e fatto concepire il desiderio di impossessarsene. Per quanto glie ne avesse a dare il francese, le pareva non dovesse bastarle: lo voleva tutto.
Tornata dal suo amante, Valentini, mostrandogli l’oro avuto, gli disse:
- Vedi, questo non è che la millesima parte di quello che potremmo avere se...
- È adunque molto ricco il tuo francese?
- Mi ha mostrato un forziere pieno di rotoli di napoleoni d’oro.
- Troppo pochi gliene hai cavati, allora.
- C’è tempo.
- Devi tornare da lui?
- Posdomani.
- Converrà che tu coltivi bene la relazione.
- Sarebbe meglio fare un colpo.
- Ti comprendo. Ma come?
- Non ha che un domestico, il quale quando ha preparato il pranzo se ne va desiderando il suo padrone di restar solo.
- Ebbene?
- Potresti venire: io ti aprirei la porta.
- Solo?
- Avendo un compagno sarebbe più sicuro.
- Ho il fatto mio.
Il giorno stabilito, Francesca si recò alla palazzina del francese e fu accolta con grande entusiasmo dal giovinotto dissoluto, il quale per godere di tutte le più ampie libertà aveva già licenziato il domestico.
Francesco Valentini, accompagnato dal suo amico Vincenzo Iancoli, del quale poteva fare completo assegnamento si appostarono nei pressi. Terminata la cena fredda Francesca si spogliò dei suoi vestiti di città e indossato un costume di baiadera che aveva portato con sé, molto semplice, poiché non constava che di una sottile e trasparente veste di velo che lasciava scorgere tutta l’opulenza delle sue magnifiche forme, incominciò una danza bizzarra, nella quale Francesca andava sempre più accentuando le movenze procaci e lascive.
Il francese, steso su di una ottomana la seguiva cogli occhi avidi, saturi di desiderio, anelante di stringersi la formosissima donna fra le braccia. E così continuò buona parte della serata, finché estenuato di forze il forestiero si abbandonò ad un sonno profondo ma affannoso.